"Naš Tito" sull’asfalto di Gorizia. Quando la storia bussa al presente

La notte tra venerdì e sabato, qualcuno ha scritto "Naš Tito" – “il nostro Tito” – sull’asfalto di una strada a Gorizia. Nulla di clamoroso, in apparenza. Una scritta fatta in fretta, forse con la vernice, destinata a scomparire sotto le ruote delle biciclette del Giro d’Italia che proprio sabato avrebbe attraversato la città. Eppure, quel gesto ha suscitato reazioni. Alcuni lo hanno letto come una provocazione, altri come un atto identitario, altri ancora come un messaggio nostalgico. Ma a Gorizia – città che vive da sempre all’incrocio di frontiere, guerre, esodi e riconciliazioni – nessuna scritta è mai solo una scritta.

“Naš Tito” non è un semplice omaggio a un leader del passato. È una frase che riapre una faglia profonda nella memoria collettiva, una di quelle crepe che né il tempo né la retorica riescono a colmare. E il fatto che sia comparsa proprio dove stava per passare il Giro, simbolo popolare e condiviso dell’Italia contemporanea, ha reso il contrasto ancora più visibile. Quasi a voler ricordare che, mentre il presente corre, il passato resta lì, sotto le ruote, ancora pronto a emergere.

A Gorizia, quella scritta non è neutra. Evoca memorie spezzate, racconti contrastanti, ferite ancora aperte. Tito è stato un eroe della resistenza per i popoli jugoslavi, un simbolo di libertà dal nazifascismo. Ma per tanti italiani dell’Istria, di Fiume, di Zara – e anche di Gorizia – è stato il volto dell’esodo, delle foibe, dell’imposizione ideologica.

La scritta “Naš Tito” dialoga idealmente con quella, enorme e visibile, sul Sabotino. Lì, da decenni, campeggia “TITO” in lettere bianche, tracciate con pietre sul versante sloveno della montagna. Un messaggio rivolto a chi guarda da Gorizia, che negli anni ha suscitato stupore, fastidio, orgoglio, rancore. Ma la domanda che dovremmo porci oggi non è se Tito sia un eroe o un criminale. È troppo facile dividere il mondo in buoni e cattivi, giusti e sbagliati, dimenticando che la storia, soprattutto quella di confine, è fatta di ambiguità, zone grigie, memorie intrecciate.

La vera domanda è: come possiamo costruire una memoria condivisa senza rinunciare alla verità di nessuno?

Serve coraggio. Il coraggio di ascoltare storie diverse dalla propria. Il coraggio di ammettere che l’antifascismo non può giustificare ogni crimine. E che l’italianità non è automaticamente innocente. Il coraggio di dire, insieme: sì, c’è stata la resistenza. Ma c’è stato anche l’esodo. C’è stata la liberazione. Ma anche la repressione.

Gorizia e Nova Gorica, insieme Capitale europea della cultura 2025, hanno una grande occasione. Non per cancellare le scritte – né quelle sui muri né quelle nella memoria – ma per riscriverle insieme, aggiungendo contesto, voci, sguardi nuovi.

Non basta più dire “Tito è il nostro” o “Viva l’Italia”. È tempo di dire: questa storia è la nostra. Intera. Complessa. Condivisa.

11 commenti:

  1. il coraggio di dire che nessuno può scagliare la prima pietra!

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  2. brava! condivido totalmente!

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  3. Condivido la tua riflessione. Credo comunque che la nuova generazione, non coinvolta nelle contrapposizioni ideologiche del passato, sia più disponibile all'integrazione con i vicini sloveni e a cogliere quelle opportunità culturali che di solito offrono i contesti inclusivi e linguisticamente plurali.

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    1. Per fortuna direi! Anche se, ahimè, la storia non la conoscono. Ed è invece la nostra ricchezza.

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  4. Sono d'accordo, la nostra storia è una ricchezza però non ci deve schiacciare, recuperiamo quella dimensione cosmopolita che caratterizzò Gorizia fino alla guerra mondiale prima che il nazionalismo la soffocasse. Mi sembra che con Go/NG 25 si sia sulla strada giusta . Così spero.....

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  5. Bravissima, condivido quello che hai scritto!

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