Andar per vigne in Collio e nella Brda

Il Collio e la Brda. Uno maschile ed uno femminile. E’ interessante notare come il nome di queste due regioni confinanti rifletta una differenza di genere nella lingua italiana e slovena. "Il Collio" è maschile in italiano, mentre "la Brda" è femminile in sloveno. Questa differenza di genere nei nomi non è rara nelle lingue romanze e slave e può essere vista come un riflesso delle diverse influenze culturali e linguistiche che caratterizzano la regione. Il Collio, o "Collio Goriziano", è una zona vinicola situata nella parte nord-orientale dell'Italia, mentre la Brda è la sua continuazione oltre il confine in Slovenia. Entrambe le regioni condividono non solo un paesaggio simile ma anche una tradizione vinicola secolare, eppure mantengono le loro distinte identità linguistiche e culturali. La diversità di genere nei loro nomi simboleggia la ricchezza e la varietà di questa area unica, dove la terra e la lingua si intrecciano strettamente.

La primavera nel Collio e nella Brda è un periodo di rinascita e di colori vivaci, di cui in tanti hanno certamente goduto in questa domenica la cui temperatura era decisamente estiva. La natura si è risvegliata prepotentemente dopo il riposo invernale. Le colline si vestono di un verde tenero, e i vigneti iniziano a mostrare i primi germogli, preannunciando la ricchezza delle vendemmie autunnali.

Con l'arrivo della primavera (non è trascorso ancora un mese) il paesaggio del Collio e della Brda si trasforma in un quadro impressionista. I ciliegi in fiore adornano i bordi dei campi, mentre i papaveri e le margherite selvatiche punteggiano i prati di rosso e bianco. Le giornate si sono allungate ed il sole già caldo accarezza la terra, invitando a lunghe passeggiate tra i filari.

La biodiversità del Collio e della Brda è particolarmente evidente in primavera. Gli insetti impollinatori sono al lavoro nei campi, e il canto degli uccelli si fa coro nei boschetti e nei vigneti. Questo periodo dell'anno è ideale per gli amanti del birdwatching e per chi desidera scoprire le specie endemiche della flora e della fauna. La primavera nel Collio e nella Brda è un'esplosione di vita e di colori, un invito a rallentare il passo e a godere delle piccole gioie che la natura offre. È un tempo di festa, di comunità e di apprezzamento per il ciclo vitale che si rinnova ogni anno, rendendo queste regioni un gioiello incastonato tra Italia e Slovenia. Il Collio e la Brda rappresentano un esempio unico di come la natura, la storia e la passione per il vino possano intrecciarsi creando un'esperienza indimenticabile per chiunque visiti queste terre.

La foto è di Beny Kosic

Una terra di golosa bellezza da vivere in quattro stagioni

Costretta, per lungo tempo, ad un quasi forzato immobilismo, libri e serie tv mi hanno consentito di rendere meno insopportabile la situazione. Ho sempre amato gli autori locali. Da Carlo Sgorlon a Fulvio Tomizza, tanto per restare nell’alveo di quelli che ormai considero dei classici, per evitare qualche imperdonabile omissione, la mia più recente scoperta è stata Angelo Floramo eclettico scrittore, attore, studioso e regista udinese. La Veglia di Ljuba racconta, in maniera magistrale, la vita intensa di un uomo, esule più per vocazione che per destino. Ma soprattutto la storia del protagonista diventa lo spunto per narrare la storia del Novecento lungo il confine tra Italia e Jugoslavia. Dai villaggi dell’Istria profonda alle pagine nere del fascismo, dall’occupazione titina di Trieste al terremoto in Friuli del 1976 e alla successiva ricostruzione, fino ad arrivare ai giorni nostri. In pratica, la biografia di un uomo si sovrappone alla biografia di una terra complessa, plurale, qual è la nostra terra di confine.

Nei giorni scorsi, sul quotidiano locale, Floramo ha disegnato un ritratto del nostro territorio talmente emozionante che non posso non condividere. Lo stesso titolo: sintetizza ciò che ho sempre affermato. Ovvero che non c’è regione più bella del Friuli Venezia Giulia.

Primavera. È sicuramente la stagione delle colline, buona per la classica uscita fuori porta. Qui resta una tradizione, e ha radici antiche. Era il tempo della “merenda”. Una voce latina antica, bellissima e piena, tanto da coccolarsene in bocca il nome prima ancora del suo contenuto. Le mirinde, in lingua friulana: ciò che ci si deve meritare. Qualcosa di profondamente buono però. I falciatori la custodivano nella parte più protetta del carro, preservando dalla calura il suo prezioso contenuto con foglie fresche e frasche. Era un cestino di vimini intrecciato, un zej, dentro il quale la tradizione vuole si riponessero alimenti facili da consumare e da digerire, e al contempo capaci di dare nutrimento e soddisfazione a chi, sul bordo erboso dei campi, ne gustava la meritata ricompensa. Uova sode per lo più. Qualche crosta di formaggio. Forse una frittata impastata con erbe e cipolle. Personalmente arricchirei la sporta con alcuni assaggi di quel formaggio che nella vicina Fagagna è ormai un imprescindibile presidio del gusto. Il suo sapore è intenso e gli viene conferito dalle erbe e dai fiori di questi stessi prati. La mia scelta ricadrebbe senz’altro sul “vecchio”, di un anno almeno di stagionatura. Guai dimenticarsi del bottiglione con un vino rosso leggero, appena appena frizzantino. Un bacò fresco come un bacio che sa di terra e di fatica, un misto di lampone, mora e amarena. Il giorno declinerà lasciando una memoria di sé difficile da dimenticare.

Estate. Quando il caldo si fa sentire è opportuno cercare refrigerio in uno dei tanti isolati recessi di “limpide fontane e fresche ombre” di cui il Friuli è ricchissimo, lontano dalle congestioni delle spiagge ma anche dai sentieri montani e dai rifugi, ugualmente presi d’assalto da parte di un’umanità chiacchierona e invadente. Si raggiunga la valle del Torre. Bisogna partire da Tarcento. E ne vale la pena. Oltrepassando il ponte, oltre via dei Molini, ci si congiunge alla strada regionale 464 prendendo, poco prima dell’ingresso nel paese, la via delle Cascate, che porta al borgo di Zomeais. Da qui si scende fino a costeggiare il greto del torrente. Mentre si procede la luce cambia e così i riflessi dell’acqua, che oscillano dalle tonalità smeraldine a quelle turchesi. Si direbbe che questo luogo sia abitato dalle fate d’acqua care alla tradizione mitologica delle genti friulane: le Aganes. E’ tradizione da queste parti la grigliata tra i sassi del fiume. Birra e anguria troveranno la giusta refrigerante temperatura tra i flutti. Gli amanti delle osterie invece ne troveranno moltissime disseminate nei paraggi. A cominciare da Pulzut, facilmente raggiungibile dal sito delle cascate: basta tornare indietro e raggiungere Coia di Levante. La strada è molto bella. Scivola solitaria tra i prati e la boscaglia. Poco prima di raggiungere il paese, tra vigne antiche, orti e prati, lasciatevi sorprendere da questa vecchia locanda, una di quelle sane e robuste di una volta. Poche pretese, cibo squisito e stagionale, un vino che stilla dai legni antichi e ha la sapienza della terra. Qui più slava che friulana.

Autunno. E’ senz’altro una bella età dell’anno. In questa stagione i profumi della terra si fanno forti. Hanno il sapore del legno e della cantina. Appena dietro l’angolo di casa mia, a Borc di Ruvigne, si apre una regione particolarmente selvaggia e purtroppo poco conosciuta dagli stessi friulani. Parlo di Castelnovo del Friuli. Piccoli orti, prati da falciare e un bosco diffuso che per millenni aveva concesso ai loro antenati tutto ciò di cui avevano bisogno: legno, miele, bacche, funghi, cacciagione. E balze erbose sulle quali allevare capre e pecore, capaci di regalare un latte denso, profumato e tendente al giallognolo, dal quale ancora oggi si ricava un formaggio di sapore intenso, che qui chiamano “formadi Asìn”, conservato in antiche salamoie che ne affino profumo e sapore. Qui i meli e i susini producono frutti di straordinario pregio, già tutelati dai presidi alimentari. Se ne faranno composte e marmellate. Le vigne, che sono tutte orientate a cercare i raggi del sole, sono di legno antico. Regalano vini scomparsi e dimenticati. Tra tutti il Piculit Neri. I tini sono stati riempiti nelle cantine e le essenze che rilasciano sono inebrianti. Passato il ponticello sul Cosa, meraviglioso corso d’acqua, dal fondo verdissimo, si diriga il passo verso Molevana: è come smarrire data, epoca, tempo. Perché si cade dentro alle pieghe di un paesaggio che ricorda le illustrazioni dei libri di fiabe. Se non fai attenzione l’osteria “Al Puntiç” te la perdi confondendola con le altre case. Qui, come un tempo, quello che bolle in pentola te lo dice a voce la padrona. Segno che dalla cucina escono i prodotti di stagione. Vi si trova, su ordinazione, perfino il latte d’asina! Il nome deriva da una delle meraviglie della zona. A pochi passi infatti un antico ponte di pietra alza il suo arco sulla vertiginosa forra che racchiude le pozze smeraldine.

Inverno. Chi ha mai detto che il mare a febbraio non può essere speciale? Restituisce i luoghi ai loro abitanti. Se dovessi consigliare una passeggiata invernale, inviterei a cercare proprio in Monfalcone quello sguardo straniante che fa la differenza. I platani saranno ormai privi di foglie. Immaginate la bora che arriva dal Carso, quella immensa distesa di terre desolate e di rocce che appena fuori dalla città precipita verso i Balcani. Avrete voglia di cercare una via più piccola e accogliente, un caffè in cui trovare rifugio. Non è infrequente trovare ancora, presso qualche angolo di via, qualcuno che arrostisce le castagne. Sarà certamente il profumo di buono ad addolcirvi il crepuscolo. A dicembre qui non è infrequente che l’aria gelida porti con se qualche fiocco di neve, perfino se il cielo è terso: viene da un altrove inimmaginabile. Bisogna resistere. Solo così si conquista la rocca spartana, con la sua torre di pietra che domina la città. Pare sia stata fatta erigere dal grande re degli Ostrogoti Teodorico intorno al 490 dell’era Volgare. Ma se volete davvero condannarvi all’inferno dei golosi non potete farvi scappare i dolci preparati in casa. Se invece volete andare contro ogni schema e conoscere anche l’altro volto di Monfalcone, allora non fermatevi qui. Proseguite oltre la piazza, verso quel labirinto di strade che vi porterà nei quartieri multietnici della città. In prevalenza impiegati nei duri lavoro portuali, gli immigrati hanno arricchito il tessuto urbano con i colori del mondo che si esprimono anche attraverso i negozi, i costumi, gli accenti policromi e variegati. L’impressione è che tanta bellezza, che inevitabilmente nasce dall’intersezione e dall’incontro fra culture diverse, renda qui meno duro il rigore dell’inverno. Ecco un’altra buona ragione per visitare questa piccola regina proletaria dell’Adriatico nella stagione più cruda dell’anno. Se avete un cuore, ve lo saprà scaldare come nessun altro luogo ha mai fatto prima. Buon viaggio, dunque. E buon appetito.

La foto è di Beny Kosic

L’ex Cortina di ferro è diventata la rete della biodiversità europea

L’European green belt collega ventiquattro Paesi e rappresenta la spina dorsale di una rete verde pan-europea. In Italia il suo sviluppo è relativamente limitato, ma il borgo di Stregna (Friuli-Venezia Giulia) è comunque riuscito a distinguersi per una serie di iniziative virtuose.

Scrivevo, alcune settimane fa, che le nostre giornate sono scandite dalle news. Apri una nuova scheda, nel pc, nel tablet o nel cellulare, che il motore di ricerca preselezionato ti propone delle notizie. Per quel mistero recondito (almeno per me) sul funzionamento degli algoritmi, le informazioni che mi vengono proposte, a volte, sono mille miglia lontane dai miei interessi; ma talvolta il grande fratello c’azzecca proprio. Stamattina, ad esempio, mi è stato presentato un articolo pubblicato da Linkiesta che ha catturato subito la mia attenzione e che desidero condividere su questo Blog, tenuto conto che l’argomento trattato è totalmente coerente con lo spirito che ha caratterizzato il mio intento originario, ovvero diffondere la specificità del nostro territorio.

"Dalla Cortina di ferro alla cortina verde: Stregna, un borgo piccolissimo, poco più di trecento persone, nelle Valli del Natisone, in Friuli, quest’anno ha ottenuto il Model municipality award, il premio che la European green belt association assegna ai comuni più virtuosi nel proteggere l’ambiente lungo la Green belt, per la valorizzazione del territorio in chiave sostenibile e per la collaborazione transfrontaliera. L’European green belt è un lunghissimo corridoio ecologico creato sulle ex zone di confine tracciate dalla Cortina di ferro che, da nord a sud, dal mare di Barents sul confine russo-norvegese lungo la costa baltica, e attraverso l’Europa centrale ed i Balcani sino al Mar Nero, per dodicimilacinquecento chilometri, divideva l’Europa in due blocchi: abbandonate dopo la fine della guerra fredda, queste zone rappresentano un unicum a livello geografico, storico e naturalistico perché, lasciate allo stato naturale per quasi quarant’anni, hanno dato vita a una rete di biodiversità di straordinaria importanza, conservando un paesaggio della memoria dall’eccezionale valore.

Fin dagli anni Settanta, in diverse zone d’Europa, gli ambientalisti avevano posto la loro attenzione sulla natura rigogliosa e sulla fauna selvatica che hanno proliferato indisturbate. Lungo questa ex barriera politica, infatti, la Cortina di Ferro, impedendo l’antropizzazione, ha concesso alla natura uno spazio dove potersi conservare e la zona di frontiera è così divenuta rifugio per molte specie in via di estinzione. Oggi quest’area tutelata, il cui nucleo è stato costituito nel 1989, collega ventiquattro Paesi, rappresenta la spina dorsale di una rete ecologica pan-europea ed è un simbolo della cooperazione transfrontaliera di un comune patrimonio naturale e culturale. La sua straordinaria importanza è evidente: attraversa quasi tutte le regioni biogeografiche europee e, in una fascia di cinquanta chilometri su entrambi i lati, si trovano quaranta parchi nazionali e più di tremiladuecento aree naturali protette.

Divisa in comparti, comprende la Green Belt of Fennoscandia (Gbf), che si estende per milletrecentocinquanta chilometri lungo il confine tra Norvegia, Russia e Finlandia, dal Mare di Barents sino al Mar Baltico, con ambienti caratterizzati da licheni, muschi e arbusti nani, innumerevoli zone umide, paludi e laghi, luoghi di riproduzione per il cigno selvatico, mentre nella parte centrale e meridionale regna la taiga, con le sue vaste foreste di conifere, rifugio per i grandi mammiferi come l’orso bruno e l’alce; la Green belt baltica, una cintura costiera di habitat marini subacquei, grandi sistemi di dune, spiagge, imponenti scogliere e lagune, riserva per milioni di uccelli migratori e molti animali marini, come la foca grigia e la foca dagli anelli; quella centroeuropea, parzialmente sfruttata da una agricoltura intensiva, che comprende il Massiccio Boemo con i suoi parchi transnazionali ricchi di foreste, come la Selva Boema, si sviluppa lungo i fiumi come nelle pianure alluvionali della Mura e della Drava e segue poi la dorsale delle Caravanche e delle Alpi Giulie, terminando nel Mare Adriatico.

Infine quella balcanica, prevalentemente localizzata lungo le catene montuose della penisola balcanica, con un mosaico estremamente eterogeneo di paesaggi naturali, tra cui ecosistemi alpini incontaminati, foreste e habitat steppici, laghi e zone costiere e specie animali minacciate come l’aquila imperiale e la lince dei Balcani.

In Italia, la Green belt si sviluppa interamente lungo il confine tra il Friuli-Venezia Giulia e la Slovenia e segue il tratto della Cortina di Ferro storicamente più aperto. Nonostante lo sviluppo limitato a circa duecento chilometri, racchiude una moltitudine di paesaggi naturali e culturali diversi: si passa dalle Alpi e Prealpi con quote elevate, selvagge e con ampi corridoi naturali, alle fasce collinari ricche di vigneti, fino al Carso e al mare.

Il premio al borgo di Stregna è stato assegnato per l’organizzazione di Ikarus – Green Belt Festival, un evento multilingue e multiculturale ricco di eventi, nato nel 2021 per diffondere la conoscenza dell’identità e delle tradizioni del territorio e condividere la cultura a ridosso della linea di confine italo-slovena, costruito attorno a un gruppo di lavoro con oltre cinquanta partner e settanta patrocini tra Comuni, organizzazioni no profit, aziende e associazioni. Il Comune, inoltre, si è impegnato nella designazione e nella gestione del biotopo “Prati di Tribil Inferiore – Dolenji Tarbji” e nella costituzione dell’Associazione fondiaria Valle dell’Erbezzo che promuove un modello di sviluppo agricolo e di crescita sostenibile del territorio, per contrastare lo spopolamento valorizzando le ricchezze del paesaggio, anche culturale, dei territori montani delle valli del Natisone.

Qui, la Green belt è un percorso fatto di trenta chilometri di sentieri sul confine italo-sloveno tra storia (dalla Prima guerra mondiale, alla guerra fredda) e ambienti naturali modellati dal rapporto coevolutivo con le comunità locali (castagneti, prati stabili, terrazzamenti). Ora, il nuovo progetto a cui il comune di Stregna, insieme a quelli di San Leonardo e Grimacco, sta lavorando è “Vas je dom | Il paese è casa, abitare il confine”, un piano legato ai fondi del Pnrr che mira a valorizzare i piccoli centri come attrattiva turistica culturale, naturalistica e storica, ma anche a promuovere un ritorno alla residenzialità in questi luoghi che negli ultimi decenni hanno subito un forte spopolamento.

Si basa su un nuovo modo di abitare il borgo con tre obiettivi principali: aumentare la consapevolezza della necessità di conservazione e di tutela pro-attiva del patrimonio dei borghi aumentando la capacità di produzione culturale originale, creare nuovi servizi per le famiglie (accoglienza, spazi gioco, biblioteca), per gli anziani (luoghi di ritrovo), per chi lavora (spazi di coworking) e, terzo, realizzare adeguate infrastrutture gestite da soggetti locali per ospitare servizi per la popolazione e attività culturali.

«Partecipiamo a questo progetto – spiega il sindaco di Stregna Luca Postregna – con una nuova sfida, molto più grande, che mira alla rigenerazione delle nostre località. Contrastare l’esodo demografico, infatti, è una sfida che richiede un lavoro su più fronti: la creazione di opportunità economiche, la messa a punto di servizi a supporto delle famiglie e delle persone, ma anche la capacità di comunicare il valore del territorio all’interno e all’esterno dello stesso»."

In viaggio con Nora

A volte mi chiedo se chi vive altrove e non, quindi, in un paese o città che non ha mai avuto alcun legame con l’Impero austro-ungarico subisce anche, come succede a me, il fascino di Vienna. Di turisti italiani, l’ultima volta che ci sono stata, come del resto mi era capitato in occasione di una visita a Praga, ce ne sono sempre tantissimi. Anzi, a dire il vero, i turisti italiani li trovi sempre dappertutto e sono riconoscibilissimi, per l'inseparabile zainetto. Insomma, non so se l'Italia possa definirsi ancora un paese di santi, poeti e navigatori, ma di viaggiatori certamente si!

Questo dicembre ho rifatto un viaggio a Vienna. L’ho fatto in compagnia di Nora. Chiudere gli occhi, dopo aver letto le sue descrizioni, mi ha riportato nuovamente nella splendida capitale dell'Austria, evocando una miscela affascinante di emozioni. Camminando per le strade mi sono sentita nuovamente avvolta da quell’atmosfera di eleganza e storia che non ho mai provato altrove. Assieme a Nora ho visitato i sontuosi palazzi imperiali, come il Palazzo di Schönbrunn e il Belvedere, mi sono sentita trasportata indietro nel tempo. Ed ho partecipato con lei, indossando un elegante abito da sera ai balli in cui si scriveva la storia del ‘900.

Vienna, per me rappresenta una nostalgia dolce-amara, una sensazione di aver perso qualcosa di prezioso nel passato. Per questo motivo ho letto tutto d’un fiato “Lontano da Vienna” l’ultima fatica di Hans Kitzmuller che ripercorre la vita intera di questa straordinaria donna, Nora Gregor, goriziana, diventata prima una delle più acclamate attrici di teatro a Vienna, per diventare, poi, una delle star di Hollywood.

Lontano da Vienna non è solo un romanzo. E’ la biografia di una donna che visse, in prima persona la Storia collegata ai due conflitti mondiali. Sposò, infatti, il politico principe austriaco Ernst Rüdiger Starhemberg, il quale si oppose fortemente all’annessione, da parte di Hitler, della sua amata Austria, con ciò costringendo la coppia a fuggire all’estero.

Si tratta, in sostanza, di una ricostruzione romanzata dell'autobiografia andata perduta di Nora Gregor (1901 - 1949) e si basa su frammenti ritrovati dei suoi diari e su un'accurata consultazione di fonti, lettere, interviste e articoli, dell'epoca. Goriziana di nascita, la giovane Nora insegue il suo sogno di diventare una star del cinema a Hollywood. Tornata in Austria si afferma come attrice drammatica a Vienna che la incorona stella del Burgtheater. Con l'annessione dell'Austria alla Germania nazista Nora si trova costretta a fuggire prima a Parigi, dove accetta il ruolo di protagonista nel famosissimo film di Jean Renoir La Règle du jeu e, in seguito all'arrivo delle truppe tedesche in Francia, deve riprendere insieme al figlio la sua fuga che la porterà in Argentina e in Cile. Inizia il lungo viale del tramonto di Nora Gregor che lei nelle sue memorie sogna di ripercorrere a ritroso. Nora muore a Santiago del Cile pochi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, a soli 48 anni per un arresto cardiaco.

Il Libro è disponibile alla libreria Ubik a Gorizia e a Cormons da Vecchiet.

Alida Valli l'anti-diva che da Pola trionfò a Hollywood

Il ricordo più intenso di Alida Valli attrice, che appartiene ad una generazione precedente alla mia, è quello che mi rimane dell’interpretazione di un personaggio scomodo, cattivo, direi quasi odioso nell’indimenticabile film La prima notte di quiete di Valerio Zurlini. Un film, il cui protagonista, Daniele Dominici, interpretato da uno straordinario Alain Delon perennemente con addosso il cappotto color cammello, tanto da diventare un must have per una intera generazione di uomini, rimane un cult e, forse uno dei più bei film di Valerio Zurlini. Un personaggio difficile quello della madre di Vanina, la studentessa di cui Daniele, professore supplente in un liceo di Rimini, si era perdutamente innamorato. Ma Alida accettava tutte le parti, perché si considerava un anti-diva. Nel senso che si è sempre opposta agli stereotipi e alle aspettative tipiche delle dive, ovvero delle celebrità femminili che si distinguono per il loro fascino, la loro eleganza, il loro talento e la loro fama. Alida anti-diva, quindi, ovvero una “diva” che non cerca di apparire perfetta, glamour o sofisticata, ma che si esprime con autenticità, originalità e indipendenza. In pratica, una donna che sfida le convenzioni sociali e culturali e che rivendica la propria identità e libertà. E coerente è stata in tutta la sua vita, pubblica e privata.

Del resto, 110 film interpretati in quasi settant’anni di attività, dovrebbe dirla lunga sulla sua professionalità. Eppure, questo rilevante numero: da “I due sergenti”, per la regia di Enrico Guazzoni (1936) a “Semana santa, per la regia di Pepe Danquart (2002)- in una carriera tra Italia e Stati Uniti - non è stato, tuttavia, sufficiente a celebrarne la grandezza, nonostante il suo grande talento e fama e l’aver lavorato con alcuni dei più grandi registi del cinema mondiale. Soltanto nel 1997, a 76 anni, Alida Valli ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera al Festival del cinema di Venezia. Premio molto ambito, (nello stesso anno furono premiati anche Gérard Depardieu e Stanley Kubrick) il prestigioso riconoscimento le venne assegnato per il suo contributo significativo al successo del cinema italiano. Insomma, la sua versatilità come attrice, la sua capacità di interpretare una vasta gamma di ruoli, sia drammatici che comici, e la sua dedizione alla professione hanno reso Alida Valli una figura di spicco nel panorama cinematografico italiano. Ed il fatto che nell’albo d’oro del premio risultino soltanto due altre attrici italiane: Claudia Cardinale nel 1996 e Sophia Loren nel 1998, la dice lunga sull’aforisma nemo propheta in patria.

Alida, fiera del suo nome che significa (dal germanico) di nobile stirpe, guerriera, nacque a Pola,il 31 maggio 1921 (oggi Croazia), quando faceva parte dell'Italia, da padre insegnante di origine nobile e madre musicista, ma si trasferì sul lago di Como con la sua famiglia quando aveva 8 anni. Non tornò mai nella sua città natale, perché disse che sarebbe stato troppo doloroso. Ma degli anni della sua infanzia conservò sempre un ricordo nitidissimo. Il suo vero nome era Alida Maria Altenburger von Marckenstein und Frauenberg, ma lo cambiò in Valli perché il suo cognome originale era troppo lungo e complicato. Il cognome di Alida venne scelto dall’elenco telefonico. Si racconta, (ed il fatto venne confermato dalla stessa attrice in un’intervista) che il regista Mario Bonnard le suggerì di cambiare il suo cognome con uno più semplice e accattivante. Alida aprì a caso un elenco telefonico e scelse il primo che le capitò sotto gli occhi: Valli. Così nacque il suo pseudonimo, che la rese famosa in Italia e nel mondo.

Iniziò la sua carriera cinematografica nel 1935, quando aveva solo 14 anni, e divenne presto una delle star del cosiddetto "cinema dei telefoni bianchi", un genere di commedie brillanti ambientate in contesti borghesi. Negli anni 40 si trasferì a Hollywood, dove fu scritturata dalla Selznick International Pictures, la stessa casa di produzione di Via col vento. Qui recitò in film come Il caso Paradine di Alfred Hitchcock e Il processo Paradine di David O. Selznick, ma non ebbe il successo sperato e tornò in Italia nel 1950.

Alida Valli ha avuto una carriera cinematografica significativa negli Stati Uniti. Era sotto contratto con il produttore David Selznick, che voleva farne “la Ingrid Bergman italiana”. Per questo motivo, venne affidata al regista britannico Alfred Hitchcock ed entrò nel cast del film “Il caso Paradine” (1947) insieme a stelle del calibro di Gregory Peck e Charles Laughton, per interpretare l’avvenente vedova Maddalena Paradine, accusata dell’omicidio del marito. Dopo Hitchcock, nel 1948, Alida ottenne un ruolo da protagonista in “Il miracolo delle campane” di Irving Pichel con Frank Sinatra, e in “Il terzo uomo” (1949) di Carol Reed, interpretato con Joseph Cotten ed il mitico Orson Welles.

Tuttavia, Selznick era noto per voler avere il controllo totale sui suoi attori e Alida, essendo una donna libera, iniziò a mal sopportare le costrizioni. Pagò, quindi, una grossa cifra di penale (ben 150 mila dollari) ma ottenne la rescissione del contratto, dando in tal modo addio alla strada che l’avrebbe trasformata in diva. Scelta che compì senza alcun rimpianto, dicendo anche alla madre: mai più sarò una schiava pagata!. In Italia riprese la sua carriera con film di grande prestigio: Il grido di Michelangelo Antonioni, Edipo re di Pier Paolo Pasolini, Il conformista di Bernardo Bertolucci. Ma fu il ruolo della contessa Livia Serpieri in Senso di Luchino Visconti a divenire una di quelle interpretazioni che valgono una carriera intera: tratto da una novella di Boito, il soggetto si ambienta a Venezia nel 1866, alla vigilia della Terza guerra di indipendenza, e racconta una passione tragica e insensata, inserita nel contesto storico, nel conflitto fra patrioti italiani ed esercito austriaco.

Ma se nei film brillò sempre come una vera stella, la sua vita privata è stata segnata da amori, matrimoni e tragedie, a partire proprio dal suo primo vero grande amore. Quello con l’aviatore Carlo Cugnasca che morì in guerra in Libia. Alida conservò per sempre le sue lettere oltre al suo ricordo. Dal suo diario “Buio. Tobruk, 14 aprile 1941, perché se n’è andato? Perché ha dato la sua vita inutilmente? E’ impossibile soffrire di più”. Un dolore fedele, durato fino alla sua morte. Nel 1944 si sposò negli Stati Uniti con Oscar De Mejo, un artista e compositore, dal quale ebbe due figli: Carlo, che diventò attore, e Larry, che diventò musicista jazz. Il matrimonio durò fino al 1952.

Alida Valli fu poi, coinvolta, nel cosiddetto caso Montesi: uno dei più grandi scandali della storia italiana, che ha coinvolto la politica, il cinema, la cronaca nera e la società dell’epoca. Il caso riguardava la morte misteriosa di una giovane ragazza, Wilma Montesi, il cui corpo fu ritrovato sulla spiaggia di Torvaianica nel 1953. Le indagini sulla sua morte portarono alla luce una rete di intrighi, festini, droga e sesso che coinvolgeva personaggi influenti e potenti. Tra questi c’era anche Alida Valli, in quanto compagna di Piero Piccioni, figlio dell’allora ministro degli esteri Attilio Piccioni e musicista di talento. Piero Piccioni fu accusato di essere l’amante di Wilma Montesi e di averla uccisa durante una festa nella tenuta di Capocotta, gestita dal marchese Ugo Montagna. Questa accusa fu sostenuta da una testimone chiave, Anna Maria Moneta Caglio, detta il “cigno nero”, che affermò di aver assistito alla scena del delitto. Alida Valli difese sempre l’innocenza del suo compagno e testimoniò a suo favore in tribunale. La sua testimonianza fu decisiva per scagionare Piero Piccioni dalle accuse. Tuttavia, lo scandalo Montesi ebbe un forte impatto sulla sua vita e sulla sua carriera. Alida Valli fu costretta ad allontanarsi dalle scene per un periodo e a subire l’ostilità del pubblico e della stampa. Il caso Montesi non fu mai risolto definitivamente e rimase avvolto nel mistero e nelle polemiche. Alida Valli riuscì a riprendere la sua carriera e a recitare in numerosi film di successo, ma non dimenticò mai il dramma che aveva vissuto.

Nel 1954 conobbe, poi, sul set di Senso il regista Giancarlo Zagni, che sposò in Messico ma la coppia si separò nel 1969. Negli ultimi anni della sua vita, Alida Valli ebbe dei problemi economici e ricevette il vitalizio previsto dalla legge Bacchelli. Morì nella sua casa di Roma il 22 aprile 2006, all’età di 84 anni, con il cuore sempre rivolto alla sua città natale Pola. Due anni prima, la città natale la voleva celebrare, offrendole la cittadinanza onoraria ma Alida rifiutò. Sul suo diario scrisse: “Hanno offerto ad Alida Altenburger la cittadinanza onoraria di artista croata! Ho risposto che troppe volte, come la mia città, avevo cambiato pelle, ma sono nata e morirò italiana». Dal 2008 una sala cinematografica di Pola porta il suo nome.

Nel 2008 Pierpaolo De Mejo (figlio dell'attore Carlo, scomparso nel 2015 e nipote quindi di Alida Valli) aveva diretto un documentario sulla vita della nonna, dal titolo “Come diventai Alida Valli”. “A un anno dalla scomparsa di mia nonna, ho avuto paura che la sua figura, così riservata e poco appariscente nel corso della sua esistenza, andasse gradualmente sparendo nell’immaginario collettivo”. Oggi, un omaggio alla (anti)diva è il documentario “Alida” che Mimmo Verdesca ha realizzato grazie proprio alla collaborazione e al materiale messo a disposizione dal nipote Pierpaolo De Mejo. Il film, preziosissimo per coloro i quali hanno apprezzato l’attrice, è ricchissimo di materiali e testimonianze eccellenti. Un omaggio doveroso alla prima vera diva del cinema italiano, riservata nella vita quotidiana quanto grande sugli schermi. Il film è disponibile su Raiplay. https://www.raiplay.it/programmi/alida

GO! 2025 si parte sabato 2 settembre

Sono una boomer e non conoscevo gli Editors! Per fortuna mi è venuto in aiuto Bing il quale mi ha spiegato che: “Gli Editors sono una band rock inglese formata nel 2002 a Birmingham. Inizialmente conosciuti come Pilot, The Pride e Snowfield, la band attualmente è composta da Tom Smith (voce principale, chitarra, pianoforte), Russell Leetch (basso, sintetizzatore, cori), Ed Lay (batteria, percussioni, cori), Justin Lockey (chitarra solista), Elliott Williams (tastiere, sintetizzatori, chitarre e cori) e Benjamin John Power (compositore e produttore)1. Gli Editors hanno finora pubblicato due album in studio di platino e sette in totale, con diverse milioni di vendite combinate. Il loro album di debutto The Back Room è stato pubblicato nel 2005. Conteneva i successi “Munich” e “Blood” e l’anno successivo ha ricevuto una nomination al Mercury Prize. Il loro album successivo An End Has a Start è arrivato al numero 1 nella classifica degli album del Regno Unito nel giugno 2007 ed ha guadagnato alla band una nomination ai Brit Awards come miglior band britannica. Ha anche generato un altro singolo di successo nella Top 10, "Smokers Outside the Hospital Doors"

Poi, fra gli eventi che faranno da prologo al calendario principale di GO! 2025 Patti Smith, la leggendaria “poetessa del rock”, si esibirà il 5 ottobre sul piazzale della Casa rossa. Lo stesso spazio, in pratica, che ospiterà sabato prossimo gli Editors! Insomma, non solo circhi, mercati e giostre. Questo spazio ampio, a cavallo quasi tra Italia e Slovenia potrebbe veramente reinventarsi a questo scopo. Vedremo!

Ci ho pensato un po’ prima di convincermi sull’opportunità di questi eventi di musica contemporanea per celebrare un evento come quello di GO! 2025. Ma a ben vedere, la musica è sempre stata una forma di cultura. Ed anzi, è un’espressione artistica appartenente a tutte le culture del nostro pianeta. Fonti ne attestano l’esistenza almeno a partire da 55 000 anni fa, con l’inizio del Paleolitico superiore. Alcuni studiosi ipotizzano la sua nascita in Africa, quando le prime comunità umane conosciute iniziarono a espandersi sul globo. Chi ha visto il film Incontri ravvicinati del terzo tipo ricorderà la bellissima scena dell'interpretazione della musica come linguaggio interstellare.... La musica è un’arte molto diffusa e nel periodo storico che viviamo, visti i mezzi di cui oggi disponiamo, forse la musica è la forma d’arte più diffusa, più della pittura o della letteratura o del cinema stesso. La musica, più di ogni altra forma d’arte, “arriva” davvero alle “masse”, coinvolgendole. Quindi, al bando l’elitarismo e la musica abbia inizio!

Ogni informazione relativa al concerto degli Editors organizzato dal GECT è disponibile a questo indirizzo: https://www.go2025.eu/editors-bend-ki-se-ne-boji-eksperimentiranja/

Gorizia e l'Accordo di Osimo

Ci sono alcuni fatti che, per coloro i quali vivono a Gorizia, dovrebbero essere ben noti. Perchè se l'insegnamento della storia nella scuola si ferma, molto spesso, alla prima guerra mondiale o, nel peggiore dei casi, alle guerre d'indipendenza, dovrebbe essere d'interesse di ciascuno conoscere il proprio territorio. Tra due anni Nova Gorica e Gorizia saranno chiamate, assieme, a rappresentare la sintesi di ciò che dovrebbe significare l'essere europei, ovvero la rimozione mentale di ogni confine. Uno dei pilastri sui quali è stato edificato il rapporto di collaborazione tra le due città è senz'altro l'accordo o, meglio, gli accordi di Osimo.

Gli Accordi di Osimo, firmati il 10 novembre 1975 dai ministri degli Esteri di Italia e Jugoslavia, comprendevano un insieme di accordi. I due atti principali, denominati Trattato e Accordo per la promozione della cooperazione economica, avevano intenti differenti: il primo era inteso a risolvere le questioni ancora pendenti tra i due Stati; il secondo, con carattere largamente programmatico, poneva il quadro per lo sviluppo di futuri programmi coinvolgenti comuni prospettive di collaborazione in diversi campi². Ai due testi principali si univano numerosi allegati, dieci al primo e quattro al secondo². Gli Accordi, redatti in lingua francese, unica loro versione autentica, entravano quindi in vigore con lo scambio delle ratifiche, una volta espletate le relative procedure interne, il 3 aprile 1977². Gli Accordi di Osimo costituirono un importante atto di stabilizzazione tra due stati, in sintonia con quanto concordato dai governi europei nella Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa a Helsinki (1.8.1975): «dare il proprio contributo al rafforzamento della pace e della sicurezza nel mondo» e, soprattutto, ritenere «inviolabili» le reciproche frontiere⁴.

Fu ratificato dall'Italia il 14 marzo 1977 (legge n. 73/77) ed entrò in vigore l'11 ottobre 1977. Fu il primo trattato internazionale i cui negoziati per l'Italia non vennero curati dal Ministero degli affari esteri. Le trattative furono condotte deliberatamente in maniera riservata. L'incarico venne infatti affidato dal governo ad un dirigente del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato, Eugenio Carbone. Oggi, un cenno ad una strada diventata strategica per la Comunità.

La strada del Monte Sabotino

Prima degli accordi internazionali, esistevano diversi valichi di frontiera secondari tra il Collio sloveno e il Friuli Venezia Giulia, ma avevano un orario di apertura limitato, che impediva alle persone di comunicare normalmente con il loro paese d'origine o le costringeva a utilizzare un percorso molto più lungo, utilizzando la strada che sale a nord sulla valle dell'Isonzo fino a Plava e prosegue verso Nova Gorica, dove la maggior parte degli abitanti andava a lavorare.

Il Trattato di Osimo stabilì espressamente, all'articolo 9, di costruire un collegamento rapido tra le due aree che oggi si trovano in Slovenia. L'articolo 6 dell'Accordo sullo sviluppo della cooperazione economica dettagliò con precisione i rispettivi adempimenti. La strada fu costruita secondo il progetto elaborato dalla commissione mista italo-jugoslava prevista dall'art. 6 dell'accordo sulla promozione economica e finanziata dai governi italiano e jugoslavo, ciascuno per il proprio tratto di competenza della strada. Nel 1978 il governo italiano destinò all'ANAS un finanziamento di 1,55 miliardi di lire.

Un interessante commento agli accordi è disponibile a questo indirizzo: https://www.avvenire.it/agora/pagine/osimo-

(1) GLI ACCORDI DI OSIMO (Diritto internazionale) - Regione Storia FVG. https://www.regionestoriafvg.eu/upload/allegati/ACCORDI_DI_OSIMO.pdf.

(2) Regione Storia FVG. https://www.regionestoriafvg.eu/tematiche/tema/254/Trattato-di-Osimo.

(3) Trattato di Osimo - Wikipedia. https://it.wikipedia.org/wiki/Trattato_di_Osimo.

(4) Il Trattato Italo-Jugoslavo di Osimo (10 novembre 1975) http://www.storico.org/italia_boom_economico/trattato_osimo.html.