La torta Linzer alla maniera di Franca

Noi, gente di confine, amiamo lo strudel di mele e la torta Linzer. Che sia tutta una questione di DNA? Ma come resistere davanti ad una coppa di crema pasticcera (la base per la carsolina) o di un tiramisù? Insomma quei dolci che a me, personalmente, piace offrire in monoporzioni dopo aver steso sul fondo due biscotti imbevuti di caffè ed averci versato sopra un cucchiaino di cacao amaro. Sia nella crema pasticcera che nel tiramisù. Perché rispetto la ricetta tradizionale che vuole i savoiardi nella teglia o terrina per la crema pasticcera, base per la zuppa inglese, amo utilizzare i coccini bianchi. E qui, tenuto conto che le ricette per la crema pasticcera e per il tiramisù sono pubblicate in centinaia di siti web, appunto il mio consiglio per una crema pasticcera perfetta. Non c’è altro da fare che conservare in un bicchiere un po’ del latte freddo utilizzato e, a fine cottura, aggiungerlo lentamente all’impasto tolto dal fuoco. La crema apparirà incredibilmente liscia. Mentre gli albumi, che è sempre un peccato gettare via, li utilizzo per fare la Pavlova. Anche in questo caso con una piccola variante. Nel senso che, invece di distendere la meringa a cerchio, getto le cucchiaiate seguendo il perimetro di una cerchio. In tal modo costruendo una ciambella che, a fine cottura, risulterà molto più semplice tagliare a fette, dopo avervi versato sopra la panna montata ed i frutti di bosco.

In attesa di riprendere a dedicarmi all’arte culinaria, tenuto conto che d’estate cerco di evitare di accendere forni, fornelli e, comunque, di limitare l’assunzione di calorie, ecco che – una sera all’improvviso – scopro che anche una torta può essere talmente squisita da chiedere la ricetta a Franca che l’ha realizzata stoicamente, accendendo il forno in un torrido pomeriggio di agosto. La torta che Franca ci ha portato e che ha concluso la serata piacevolmente trascorsa sotto il gazebo, nel mio amato cottage garden, è una variante della famosissima torta Linzer che, lo dice il nome, prende il nome dall'omonima città di Linz. In pratica, è una torta austriaca con un disegno a forma di reticolo sopra l'impasto.

Questa la ricetta:

Ingredienti: 1 uovo intero + 1 tuorlo, un pizzico di sale, 100 g zucchero integrale, 1 cucchiaio latte, 2 cucchiai succo di limone, 100 g burro + 20g per la tortiera, 100 g mandorle non pelate tritate, 2 cucchiaini cannella, 150 g farina integrale, 2 cucchiaini lievito vanigliato, marmellata di ribes, noci.

Preparazione: lavorare a crema uova e zucchero e poi aggiungere di seguito gli altri ingredienti fino a formare un panetto morbido. Avvolgerlo con la pellicola e metterlo in frigo per 20 minuti. Stendere circa metà del panetto per ricoprire il fondo della tortiera già infarinata, poi dopo aver formato i bordi stendere la marmellata. Stendere il resto della pasta frolla e tagliare i nastri. Sistemare i gherigli delle noci e infornare.

Forno termoventilato: 20 minuti a 180 gradi.

Ecco qua! Non difficile ed assolutamente squisita. Provare per credere.












 

Gorizia e la questione del nazionalismo nell'odonomastica


La toponomastica (o odonomastica)
è una questione che mi sta particolarmente a cuore, come ben lo sanno coloro i quali segueno questo Blog! E' naturale quindi ci ritorni periodicamente, con l'obiettivo di far radicare un concetto che, a mio avviso, è importantissimo. Ovvero quello di chiarire che la normativa in materia di toponomastica ha il fine di costruire la memoria collettiva di una Comunità. Ringrazio, quindi, l'avvocato Marco Barone per l'analisi svolta in occasione dell'incontro che si era svolto l'autunno scorso (e che qui sotto viene pubblicato integralmente) che manifesta, qualora ce ne fosse stato bisogno, il senso univoco delle scelte operate dalla Amministrazione comunale di Gorizia. Scelte che, perlomeno da vent'anni in qua, sono state riproposte ed esasperate ed a proposito delle quali certamente ritorneremo.

"O Gorizia, tu sei maledetta, un noto verso poco amato dalle parti di Gorizia, una città vittima sull'altare di due catastrofiche guerre mondiali, a partire dalla prima, con la quale venne sottratta all'Austria, che per qualche misterioso motivo era nota come la "Nizza d'Austria" per diventare la città "santa d'Italia". E di vie dedicate a santi comunque ve ne sono diverse a Gorizia. Se ne contano una decina. Ma quelle che abbondano di più, rimanendo in tema, solo le vie dedicate al “militarismo” che hanno segnato in modo potente l'identità di questa città. Gorizia fa rima con guerra, con eserciti, con militarismo. Ma questa storia può anche cambiare in una società che vuole lasciarsi alle spalle un passato superato e che si auspica di non dover più rivivere.

Sono ad esempio una ventina le vie dedicate alle brigate e reggimenti vari come la: BRIGATA ABRUZZI, BRIGATA AVELLINO, BRIGATA CAMPOBASSO, BRIGATA CASALE, BRIGATA CUNEO, BRIGATA ETNA, BRIGATA GRANATIERI DI SARDEGNA, BRIGATA LAMBRO, BRIGATA PAVIA, BRIGATA RE, BRIGATA SASSARI, BRIGATA TOSCANA, BRIGATA TRAPANI, BRIGATA TREVIS,DIVISIONE GORIZIA, DIVISIONE JULIA, DIVISIONE MANTOVA,Reggimento Piemonte, Terza Armata, Reggimento "Cavalleggeri di Lodi", QUARTO STORMO CACCIA. Ci saranno ovviamente vie dedicate a date simboliche nella prima quanto per i fatti della seconda guerra mondiale, come via 9 agosto, via 4 novembre, via 24 maggio, o largo 27 marzo.  Così come non mancheranno le classiche vie dedicate a personaggi simbolici o similari, come gli immancabili, per citarne alcune, Cadorna, Diaz, D'Annunzio, Duca d'Aosta,via Martiri della Libertà d'Italia, piazza della Vittoria, via Oberdan, corso Italia, via Volontari irredenti giuliani martiri della libertà d'Italia, per arrivare a una via Balilla. Balza all'occhio anche la via dedicata a Balilla. Che da una prima lettura potrebbe far pensare all'Opera Nazionale Balilla, istituzione fascista creata da Benito Mussolini, a carattere parascolastico, fondata nel 1926 e sciolta nel 1937, quando per ordine del duce confluì nella Gioventù italiana del littorio (GIL), alle dirette dipendenze del Partito Fascista. Ma in verità trattasi  di tale Giovan Battista (Giambattista) Perasso, detto Balilla, irredentista, genovese, e neanche a dirlo, anti austriaco.  Passando dalle vie dedicate a monti o fiumi sacri per la guerra, come via Piave, via MONTE CALVARIO, via del MONTE CANIN , via del MONTE FESTA, via del MONTE HERMADA via del MONTE LUNGO, via del MONTE NERO, via del MONTE SABOTINO, via del MONTE SANTO, via del MONTE SEI BUSI, via del MONTECUCCO, via del MONTEGRAPPA. via del Montello, salita Monteverde.  Insomma, l'odonomastica fotografa l'identità di una città, questa è quella che si è voluta sino ad oggi preservare a Gorizia. Identità profondamente nazionalista e militarista. La storia non si cancella, ma la toponomastica e l'odonomastica, i nomi delle vie, delle piazze, che determinano l'identità dei luoghi, e i valori che si vogliono tramandare, sì. Si possono riscrivere.

Contrariamente da come si potrebbe pensare non tutte le città italiane hanno una via, un piazzale, dedicata alla via simbolo della Resistenza e della liberazione dal nazifascismo, data universale, a prescindere da quando poi la liberazione sia effettivamente avvenuta. Ad esempio a Trieste c'è una piazza dedicata al XXV Aprile, a Udine c'è un viale dedicato al 25 aprile, a Pordenone c'è una piccola via dedicata al 25 aprile, ma a Gorizia, questa intitolazione non c'è. Ed è altrettanto interessante osservare come la città confinante con Gorizia, sia invece sfuggita all'italianizzazione dei nomi, ciò perché nata nel 1947, si presume. Miren, sarà Merna, Ljubljana, sarà Lubiana, Koper, sarà Capodistria, ma Nova Gorica non sarà Nuova Gorizia, anche se qualcuno tende a volte a chiamarla così Si può forse discutere sull'accento, su quale sillaba collocarlo, ma non troverai nessuna indicazione stradale, nessuna cartina, niente di niente. Città nata idealmente nel 1947 in relazione alle vicende del confine orientale. Con il Trattato di pace ci sarà la dissoluzione dell'unità territoriale goriziana, che verrà suddivisa tra l'Italia e la Jugoslavia, oggi Slovenia. Una bella e vitale città, voluta per intervento del Comitato speciale presieduto dal Ministro Ivan Maček. Il progetto fu elaborato dall’architetto e urbanista Edo Ravnikar e la prima pietra per la costruzione fu posta il 13 giugno del 1948.  Una città costruita con le brigate lavorative jugoslave. Un pezzo di storia socialista. Il design della città venne ideato dall’architetto Ravnikar. Se Gorizia è anche nota come Gorica, ovviamente, lo stesso non potrà dirsi per Nova Gorica che era, è e forse continuerà ad essere sempre Nova Gorica, almeno fino a quando le due entità territoriali non ritorneranno ad essere una sola cosa per quel progetto della Grande Gorizia/Gorica che potrebbe riunire ciò che è diviso, e l'emblema di questa divisione è rappresentato dall'attuale splendida Piazza della Transalpina. Nel sito del Turismo italiano che a Gorizia dedicava non più di otto righe così si può leggere: "Prima tappa di un percorso alla scoperta del territorio è Gorizia, “città di confine” e punto di incontro di etnie diverse, che conserva nelle sue eleganti architetture i segni della storia e della lunga dominazione degli Asburgo. Tra il suo ricco e variegato patrimonio artistico spiccano il castello medievale con il suggestivo borgo, il Duomo e i Musei Provinciali che valorizzano tutti gli aspetti della cultura locale, includendo anche il Museo della Grande Guerra. Un valore del tutto simbolico ha la moderna Piazza Europa, spazio urbano comune tra Gorizia e Nova Gorica, segno della coesistenza delle due città e del superamento dei conflitti." Piazza Europa!  A Gorizia tutti i cartelli stradali indicano una sola denominazione, piazza della Transalpina, la cui origine risale ai primi del '900. Se cerchi questa piazza su Google Maps, alla voce Gorizia, ti apparirà Piazza della Transalpina, se la cerchi sotto Nova Gorica ti apparirà come Trg Evrope. Solo dalla parte slovena è nota come Piazza Europa, dalla parte italiana nessuno la chiamerà in quel modo. Una piazza che unisce due città, due nazioni diverse, che non riesce a condividere lo stesso nome, che potrebbe essere ad esempio piazza del primo maggio, in ricordo di quel primo maggio 2004 che segnò la caduta dell'ultimo “muro” di questa fetta complessa d'Europa?  

Marco Barone "

La straordinaria ricchezza del Goriziano: apriamo il forziere e condividiamone la conoscenza.


 Ebbene sì! Ho preso la definitiva decisione di modificare il nome di questo Blog. Non più “Vado a vivere a Gorizia” bensì “Vado a vivere nel Goriziano”. Il motivo è presto detto:  le piccole realtà territoriali, da sempre, cercano di portare in evidenza le peculiarità culturali, artistiche, gastronomiche, ambientali e paesaggistiche. Contrariamente a ciò che avviene, in pratica, a Gorizia, dove – ad esempio - la memoria storica di dei 500 anni antecedenti l’occupazione della città da parte dell’esercito italiano è stata volutamente rimossa. Anche se sulla base della memoria storica si costruisce la propria identità.

Quindi, ho deciso di promuovere il Goriziano o, per meglio intendere lo spirito del luogo, la sua storia, la sua gente, i suoi luoghi e,  perché no, anche la sua cucina, conseguenza di contaminazioni tra est ed ovest. Desidero, in pratica, promuovere il territorio nel raggio di 50/60 chilometri da quella che è la mia città natale, sia in Italia che in Slovenia. Mi sono convinta dell’opportunità  o meglio della necessità di farlo un paio di giorni fa, a Farra d’Isonzo, al termine dell’incontro sui benandanti che si è svolto nel bellissimo complesso museale dedicato alla civiltà contadina ed al quale hanno partecipato persone provenienti addirittura da fuori regione. Parlando con le persone che man mano arrivavano, mi sono resa conto di quanto è ricco il nostro territorio e quindi va aperto il forziere. Ho trovato anche un titolo per la nuova serie di incontri che spero di riuscire ad organizzare nel Goriziano: “Frammenti di storia e storie”.  Chi ha qualcosa da raccontare si faccia avanti. Vi aspetto numerosi.

Nel frattempo, anticipo una chicca alla quale si è fatto cenno proprio nell’incontro di venerdì scorso 18 settembre e che riguarda l’attività di ricerca svolta da Giorgio Mainerio (Parma 1535-1582). Non ho idea di quanti, ai giorni nostri, abbiano mai sentito parlare di questo personaggio eclettico, al quale va il merito se oggi, nelle diverse parti d’Europa, la danza  Schiarazule marazule è ancora in uso. (Anche se forse come danza di folclore e non di tradizione) propiziatrice della pioggia. Mainerio, già in odor di stregoneria (fosse o meno un simpatizzante dei benandanti) ebbe modo di ascoltare tale canto propiziatorio e ne trascrisse la musica armonizzandola in modo da conservarne il carattere arcaico nonché l’atmosfera esoterica. Il testo originale è andato perduto, della danza neppure si conoscono passi e coreografia. Si può soltanto presumere si trattasse di una danza sacra, per la fertilità dei campi; di quelle che si ballano con semplici passi ripetitivi spesso accompagnati da giravolte, per aiutare nell’esperienza estatica, la perdita del se cosciente (forse preludio di viaggi astrali). Di questa danza e del relativo canto che la accompagnava se ne ha notizia ufficiale. In un documento friulano del 1624 il brano, infatti, apparve in una causa del Tribunale della Santa Inquisizione con l’accusa di servire come accompagnamento musicale di un rituale magico per invocare la pioggia. E’ padre Bernardino Morra di Palazzolo della Stella in provincia di Udine a scrivere una lettera-denuncia all’inquisizione lamentandosi che dei cantori notturni non lo lasciassero dormire in pace.

Mainerio è un personaggio a dir poco strano. Un po’ come Menocchio anche se meno fortunato. E’ straordinario sia stato, ai tempi nostri, il medesimo Carlo Ginzburg  (attraverso la sua attività di ricerca storica) a consentirci ora di venire a conoscenza di una storia, o meglio ancora di storie, che più che la polvere del tempo, è stata la Chiesa a voler seppellire. Tempi bui, quelli dell’Inquisizione!  Mainerio sacerdote e mansionario nella cattedrale di Udine si aggiudicò nel 1576 il posto di maestro di cappella nel Duomo di Aquileia. Fu però anche indovino e adepto della magia o quanto meno studioso di scienze occulte (il tribunale dell’Inquisizione avviò un’indagine su di lui senza però giungere a prove conclusive per istruire il processo).  Anche diversi benandanti subirono l’Inquisizione. Ma la loro sorte, rispetto a Menocchio fu migliore, perché non vennero condannati a morte. I benandanti (alla lettera significante "buoni camminatori") erano gli appartenenti ad un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della terra diffuso in Friuli, intorno al XVI-XVII secolo. Di chi erano i Benandanti ne hanno parlato, diffusamente, a Farra d’Isonzo, Paolo Morganti ed Antonella Peressini in una sala affollata, COVID permettendo. L’iniziativa sarà ripetuta visto il gran numero di persone interessate che non hanno potuto intervenire a seguito del superamento del numero massimo consentito.