L’immagine che ho sempre avuto di un
astrofisico è quella altalenante tra un introverso che se ne sta ore ed ore con
le cuffie in testa per cercare di intercettare qualche rumore dallo spazio;
come Jodie Foster in Contact o un anticonformista che, per
il suo aspetto, pare non vivere con i piedi per terra ma con la testa tra
nuvole e stelle, appunto; alla Albert Einstein o a Margherita Hack, tanto per
intenderci. La quale un giorno disse: “Penso alla ciclicità delle mie molecole,
pronte a sopravvivermi, a ritornare in circolo girovagando per l’atmosfera e
non provo tristezza. Ci sono stata, qualcuno si ricorderà di me e se così non
fosse, non importa”. Poi, conosci Steno Ferluga e ti devi ricredere.
Mutuando il titolo di un programma televisivo di successo, vorrei proprio che Gorizia fosse considerata, di nuovo, città d'eccellenza del bel vivere: una città a misura d'uomo. Una città, insomma, dove si va a vivere con piacere. Per non parlare, poi, del suo territorio, ricchissimo di storia, tradizioni, luoghi bellissimi da scoprire.
Gorizia contesa e soldati in divisa austroungarica
La foto è tratta dal sito storiaememoriadibologna.it |
Gorizia: il terzo simbolo della Grande Guerra, dopo Trento e Trieste. "La città
era una straordinaria oasi di pace a poche centinaia di metri dalle
trincee di prima linea, gli abitanti quasi tutti rimasti, conducevano
una vita dignitosa, funzionavano mercati e botteghe, la sera si poteva
passeggiare all'aperto. Purtroppo da Gorizia, con i suoi ponti
sull'Isonzo intatti, transitavano i rifornimenti per la linea austriaca
Podgora - Oslavia - Sabotino, fu giocoforza bombardarla. Il 16 novembre
1915, una squadriglia di aerei italiani lanciò migliaia di volantini
sulla città preavvertendo la popolazione, all'alba del giorno 17 gli
obici da 280 aprirono il fuoco. Anche a Gorizia era iniziata la grande
guerra.
Lyduska de Nordis Hornik: un mito goriziano
Si sente stanca, come non è mai stata. Anche respirare è una
fatica. Si volta lentamente a guardare fuori dalla finestra e vede i grandi
alberi viola contro il cielo azzurro. Rimane interdetta: non ci sono così tanti
lillà, nel suo giardino. Poi si scuote. No, non è a Gorizia, nella grande casa
vicino al fiume, la sua casa immersa nel verde. E’ qui, in Africa, a Nairobi. E
quelli non sono lillà, ma jacarande. Chiude gli occhi e si assopisce. Il
cavallo sgroppa. E’ irrequieto e lei fa fatica a tenerlo. Ora si lancia al
galoppo senza preavviso e lei teme di non riuscire a rimanere in sella. Dal
terreno riarso color mattone salgono nuvole di polvere. Non riesce a gioire
dell’aria fresca del mattino e del cielo di smalto per la furia disperata di
quella corsa. Riapre gli occhi e il
cuore le batte all’impazzata. Quello che si muove facendola sobbalzare è il suo
letto d’ospedale che fila attraverso bianchi corridoi e grandi finestre. Il
respiro le muore in gola e si sente cadere lentamente all’indietro. Attorno le
luci si smorzano, le voci sbiadiscono in un mormorio sempre più distante,
finchè arriva finalmente il buio.
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