Storie di donne: ricordi e memorie cittadine

Ho scritto più volte, su questo blog, a proposito dell'importanza della toponomastica. Nel senso che una città dedica le sue vie ai grandi che le danno onore e a cui vuol dare onore, ai grandi di cui si vanta, la cui vita, conclusasi ieri, illumina la vita di coloro che vivono oggi. Chi dà il nome a una strada o a una piazza ammonisce chi abita in quella strada o quella piazza a vivere come lui, si presenta come modello di vita, di professione, di arte, di scienza. Questo il concetto espresso da Ferdinando Camon a proposito di vie e piazze dedicate a protagonisti della prima guerra mondiale. Per quanto riguarda Gorizia, nello specifico, sono state a suo tempo operate delle scelte di indubbio valore ma che, guarda caso,sono a senso unico. Insomma, ciò che oggi si stenta a fare in termini di marketing territoriale, all'indomani della conquista di Gorizia, è stata compiuta un'eccezionale strategia, al fine di creare in città una identità nazionale tutta italiana. Com'è il caso delle vie intitolate ad Adelaide Ristori a proposito della quale mi soffermerò prossimamente e a Carolina Luzzatto. Donne certamente eccezionali nel loro campo ma, guarda caso, ferventi irredentiste.

Di quando frequentavo la scuola media ho ricordo di un fatto che, all’epoca, mi colpì molto perché non comprendevo pienamente. Una mia compagna di classe, dal nome inconfondibilmente di origine ebraica (ovviamente l’ho capito tempo dopo), all’arrivo in classe del sacerdote per la consueta ora settimanale di religione, se ne usciva dall’aula. E con la mia immensa invidia perché in tal modo riusciva ad evitare la noiosissima lezione. Che a Gorizia fosse presente una Comunità ebraica lo escludevo, perché non avevo mai sentito parlare di una sinagoga, mentre ero consapevole della presenza, in città, di una Comunità protestante, tenuto conto che il tempio di via Diaz era palesemente frequentato. Poiché nello studio della storia, all’epoca, raramente si arrivava alla prima guerra mondiale, era del tutto impensabile che degli insegnanti illuminati si prendessero la briga di raccontare e quindi a spiegare a degli scolaretti imberbi, lo scempio delle leggi razziali in Italia. Anne Frank ci era nota, ma riguardava storie lontane che non ci appartenevano. O almeno, all’epoca, me ne illudevo. Credo di aver preso conoscenza e, quindi, coscienza della situazione degli ebrei in Italia, dalla lettura del libro di Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi Contini, che qualche anima buona, probabilmente preoccupata delle letture esclusivamente infantili che ancora circolavano in casa, mi regalò. Ed il mio impatto fu evidentemente traumatico. Cercai di compensare la mia ignoranza con il passare degli anni, contribuendo – con passione ed impegno– alla gestione delle procedure amministrative per il recupero della Sinagoga di via Ascoli e della casa natale del glottologo Graziadio nella via che porta il suo nome.

Graziadio Isaia Ascoli approfondì, da autodidatta, gli studi di linguistica, acquisendo grande notorietà a livello nazionale grazie ai suoi scritti: Sull'idioma friulano e sulla sua affinità con la lingua valaca (1846), Gorizia italiana, tollerante, concorde. Verità e speranze nell'Austria del 1848 (1848), ecc. Professore all'Accademia scientifico-letteraria di Milano, Ascoli coniò il termine glottologia e fu il primo docente italiano di tale disciplina. Alla sua formazione contribuì l'ambiente goriziano, che permetteva contatti coi dotti di lingua tedesca ed esperienze linguistiche varie nella pratica del friulano, del veneto, dell'italiano, del tedesco, dello sloveno. Uomo coltissimo, le cui onorificenze non si contano, fu tra l’altro senatore della 16ª legislatura del Regno d'Italia, a lui si deve anche l'invenzione del concetto geografico e sociale delle Tre Venezie, costituite dalla Venezia Giulia, la Venezia Euganea e la Venezia Tridentina.

Insomma, in quella che oggi è una piccola città che sfiora appena i 34 mila abitanti, sono stati dati i natali a personaggi di indubbio valore culturale; molti dei quali appartenenti alla Comunità ebraica. Com’è, ad esempio, il caso di Carolina Luzzatto che nacque nella casa di via Arcivescovado 21, proprio all’inizio di via Seminario, recentemente ristrutturata. Come ricorda il sito istituzionale Let’s Go, “In un’epoca in cui alle donne veniva chiesto di essere solo mogli e madri, Carolina è passata alla storia per la sua attività di giornalista e per essere stata la prima direttrice di un giornale italiano.” Nella articolata biografia per il dizionario dei friulani, Maddalena del Bianco ne delinea un puntuale ritratto. Fu giornalista dall’impegno sociale e politico, fervente patriota italiana, scrittrice e poetessa, commediografa, educatrice e autrice di commedie per ragazzi, traduttrice e conferenziera. Nata a Trieste il 29 novembre 1837 dalla famiglia Sabbadini, di religione ebraica e di origine sefardita (il suo nome ebraico, secondo la tradizione in uso all’interno della comunità, era quello di Sara). Primogenita di Isach Sabbadini e di Stellina Estella Norsa, di origine mantovana (i Norsa si erano trasferiti a Trieste nel 1780), ricevette nell’infanzia e in età giovanile a Trieste, sia in famiglia che ad opera del rabbino capo della comunità ebraica, Marco Tedeschi – suo congiunto, noto orientalista di origine piemontese –, un’educazione all’italianità che fu significativa per molte delle sue posizioni. La famiglia apparteneva alla piccola borghesia, i suoi membri erano sensali in borsa e commercianti, alcuni erano impegnati nella gestione della scuola e della comunità ebraica. Trasferitasi a Gorizia dopo il matrimonio con Salomon Girolamo Luzzatto Coen nel 1856, si trovò a vivere in una famiglia ben integrata, ma che manteneva la tradizione ebraica, un classico esempio dell’ebraismo emancipato dell’epoca; i Coen Luzzatto erano di origine ferrarese. Di precoce talento, colta ed impegnata, è ricordata in particolare per la sua attività di giornalista e per i suoi scritti e commedie per i fanciulli a carattere pedagogico. Emerge dagli scritti di Carolina Luzzatto la sua convinta adesione alle teorie pedagogiche per un’educazione non repressiva, volta ad assecondare inclinazioni ed aspirazioni, nonché a quelle di Mazzini ed al suo impegno per l’educazione del popolo. La ricchezza e la varietà dei suoi interessi la portarono anche a comporre degli studi e a pubblicare degli opuscoli di carattere storico sul teatro goriziano. La sua produzione ed il suo impegno nel campo del teatro erano ben note nella Gorizia del tempo, tanto che fu impegnata nell’Associazione goriziana di musica, drammatica e ginnastica fondata nel 1879; la Società di ginnastica, scherma e canto esisteva sin dal 1867 e dal 1871 le venne affidata la direzione di una sezione filodrammatica da poco costituita, che avrebbe promosso iniziative culturali, didattiche e ricreative di vario genere, che riscossero notevole gradimento e successo. Svolse un’intensa attività di pubblicista e di giornalista e proprio in questo campo ebbe modo di esprimere il suo patriottismo italiano, tanto da diventare una delle figure di maggiore spicco del movimento liberal-nazionale di Gorizia e del Friuli austriaco in generale. Oltre alle idee nazionaliste-irredentistiche trovarono espressione negli articoli di Carolina Luzzatto molte istanze sociali e culturali, fra cui un appello in favore della creazione di un’Università a Trieste.

Agli inizi del conflitto mondiale, nel novembre 1915, alla vigilia del sessantanovesimo compleanno, la scrittrice fu arrestata per l’impegno nella causa irredentista e l’attività di divulgazione, e internata a Göllendorf, sede di un penitenziario in Niederösterreich; dal campo di prigionia poté continuare in qualche modo a seguire gli eventi della patria in guerra e a ricevere notizie da Gorizia, ma poi per motivi di salute venne trasferita e confinata ad Oberhollabrunn; fece ritorno solo a guerra conclusa e poté assistere a Trieste, dove era ospite dei cugini Sabbadini, allo sbarco dei bersaglieri d’Italia sul molo S. Carlo (poi molo Audace). Visse, quindi, il suo ultimo periodo in patria italiana in una Gorizia redenta, ove morì il 24 gennaio 1919, in casa della figlia Cornelia.

La vitale comunità ebraica di Gorizia fu praticamente cancellata con la deportazione e lo sterminio nei lager tra il 1943 e il 1944. Il deportato più giovane, Bruno Farber, è ricordato con l'intitolazione del giardino adiacente alla Sinagoga di via Ascoli: aveva tre mesi e diciannove giorni. A testimonianza della presenza ebraica a Gorizia resta l'antichissimo cimitero di Valdirose (in sloveno Rožna dolina; ora in territorio sloveno, frazione del comune di Nova Gorica). Il censimento del 1876 contò 692 lapidi, la più antica delle quali risale al 1371. Oggi molte di esse sono andate perdute o risultano poco leggibili. In questo cimitero riposano, tra gli altri, Carolina Luzzatto ed il nipote Carlo Michelstädter.

La foto è tratta dal sito istituzionale Let's go Gorizia