Benandanti e storia locale


C’è chi di loro sa tutto ed ha letto tutto ciò che è stato scritto a proposito. Io no. Anche se fin da piccola ho girovagato nei pressi di uno dei luoghi in cui si incontravano per danzare al suono delle note di Schiarazula Marazula  (o ancora si incontrano non lo so). Si tratta del sasso di San Belin che, a Polazzo, si trova proprio dietro la casa della mia nonna materna, e al quale mio cugino Luciano Visintin, con fatica e passione, sta dedicando da un paio d’anni le ore libere, con un paziente  lavoro di manutenzione dei sentieri e controllo della vegetazione. Opera decisamente meritoria, vista la magia del luogo.
Per quanto mi riguarda, devo ammettere che dei benandanti ne ho sentito parlare per la prima volta dalla mia amica Eleonora di Latisana ed è stato ovvio cercare di acquisire tutte le informazioni possibili. Fino a scoprire che, tra miti e tradizioni, anche Wikipedia dedica loro una intera pagina, presentandoli come: “[…] gli appartenenti ad un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della terra diffuso in Friuli, intorno al XVI-XVII secolo.” Insomma, questa nostra regione che Lonely Planet un paio di anni fa ha classificato come una delle dieci più belle mete al mondo, non smette mai di stupirmi.
A portare alla luce l’esistenza dei benandanti è stato Carlo Ginzburg (figlio di Leone Ginzburg e di Natalia Ginzburg nata Levi tanto per intenderci) che nel libro Einaudi, 1966, "I benandanti. Ricerche sulla stregoneria e sui culti agrari tra Cinquecento e Seicento" ha raccolto l’esito delle sue ricerche compiute negli archivi dell’Arcidiocesi di Udine. Ricerche che avevano riguardato gli atti dell’Inquisizione e dei processi ai quali i benandanti erano stati sottoposti in quanto accusati di stregoneria. Salvo, poi, cogliere nella loro attività notturna, ma soltanto nella seconda metà del Seicento l’immagine del benandante come guaritore e mago benefico, quali difatto essi erano.
Di benandanti ne parla sempre, nei suoi romanzi storici, Paolo Morganti che sarà presente in Sala Dora Bassi, venerdì 6 marzo, alle 18.
Paolo Morganti e sua moglie Stefania Conte, scrittori ed editori veneti, si sono trasferiti in Friuli Venezia Giulia ed hanno messo su casa a Socchieve. Scelta probabilmente inconscia o scontata, visto il loro amore per storie e leggende e la relativa produzione editoriale, al solo tenere conto che Socchieve è una delle borgate più antiche della Carnia. Questo autore ed editore arrivato in regione seguendo quel sottile filo rosso che lega il destino delle persone, ama soprattutto i romanzi storici, ovvero il miglior sistema per inquadrare un'epoca passata, della quale ricostruisce le atmosfere, gli usi, i costumi, la mentalità e la vita in generale, così da farli rivivere al lettore. Paolo Morganti, attraverso i suoi personaggi racconta, in maniera avvincente, storie e luoghi  della nostra regione che sono ancora troppo pochi coloro i quali li conoscono. Una terra magica che, a partire dalle bocche del Timavo può essere obiettivamente definita Caput Mundi. Per chi ha letto “Il trono di legno” di Carlo Sgorlon (di cui Morganti editore ha pubblicato l’autobiografia “La penna d’oro”) capirà a che cosa mi riferisco quando affermo che Paolo Morganti ti affascina con i suoi racconti di storie e miti di una terra che anche coloro i quali vi sono nati scoprono di non conoscere per nulla, o quasi.
Appuntamento, quindi, in sala Dora Bassi, via Garibaldi 7, Gorizia, venerdì 6 marzo p.v. per scoprire come i legami tra presente e passato non dovrebbero mai essere soffocati, perchè il presente è costruito sulle fondamenta di ciò che è stato.

Gorizia e la guerra: non c'è altro?



Toponomastica cittadina tra eredità storica e senso di appartenenza. Di questo si parlerà venerdì 14 febbraio, alle 18, in sala Dora Bassi a Gorizia, via Garibaldi 7, con il Sindaco Ziberna, Massimo Moretuzzo, consigliere regionale che, da sindaco del comune di Mereto di Tomba, ha fatto rimuovere il nome di Cadorna dalla toponomastica cittadina e lo storico Roberto Todero, profondo conoscitore della storia delle nostre terre. L'incontro sarà moderato dall'avvocato Marco Barone esperto di toponomastica, mentre Marilisa Bombi, autrice del Blog Vado a vivere a Gorizia che ha organizzato l’evento, introdurrà il confronto, partendo da un elemento di fatto. Ovvero che la toponomastica è materia complessa e connotata, soprattutto nella nostra regione, da elementi di discrezionalità politica che non hanno pari altrove e, pertanto, le scelte dovrebbero essere dai più condivise.
Una città dedica le sue vie ai grandi che le danno onore e a cui vuol dare onore, ai grandi di cui si vanta, la cui vita, conclusasi ieri, illumina la vita di coloro che vivono oggi. Chi dà il nome a una strada o a una piazza ammonisce chi abita in quella strada o quella piazza a vivere come lui, si presenta come modello di vita, di professione, di arte, di scienza o sapienza, nel caso dell’arte militare. Gorizia ha vissuto dal ‘700 periodi di notevole sviluppo economico e sociale, favorito da dei sovrani illuminati. Eppure il maggior numero di intitolazioni riguarda strade e piazze che ricordano i fatti più dolorosi che la città ha vissuto e soggetti che la storia ha già riconosciuto colpevoli del massacro di migliaia di giovani soldati. Cadorna, Diaz, Terza armata, duca d’Aosta, Rismondo, e tutte le varie brigate e reggimenti, 24 maggio, 9 agosto e via dicendo. Gorizia è costellata di toponomi legati ai tragici avvenimenti della prima guerra mondiale e che ne testimoniano la sua più recente storia. Cent’anni. Ma cent’anni soltanto a fronte di mille anni di storia. E’ giusto tutto questo?

Un bilancio a proposito della riflessione sulla toponomastica cittadina tra eredità storica e senso di appartenenza


Cartellonistica in Slovenia

Gorizia è una città decadente? Sì, se non siamo in grado di valorizzare le nostre peculiarità

 

Da un po’ di tempo, su questo Blog,  si parla di Toponomastica. Ovvero di quello che dovrebbe essere un  bene culturale, perché è la memoria collettiva della storia dei luoghi. Intitolare una strada o una piazza ad un personaggio del passato più o meno recente significa inserirlo nella memoria collettiva della Comunità e farne un tramite tra passato e presente. In altri termini, la denominazione di una via o di una piazza altro non rappresenta che la testimonianza concreta di una memoria. E, in quanto tale, un mezzo di trasmissione della storia.
E’ da un po’ di tempo che rifletto su questa questione, a proposito delle vie Cadorna, Diaz, Terza armata, duca d’Aosta, Rismondo, e tutte le varie brigate e reggimenti, 24 maggio, 9 agosto e via dicendo. Gorizia è costellata di vie i cui nomi sono legati ai tragici avvenimenti della prima guerra mondiale e che ne testimoniano, se ce ne fosse bisogno, la sua più recente storia. Cent’anni.
Questo fatto imposto dalla italianizzazione ad ogni costo di luoghi e persone, ci consente perlomeno di prendere atto che è stata risparmiata alla Comunità locale una piazza della repubblica. Fatto che sarebbe stato decisamente censurabile, tenuto conto che i goriziani non sono stati chiamati, il 2 giugno 1946, ad esprimersi nel referendum tra monarchia e repubblica, così come Zara e Trieste, Pola e Fiume.