Gorizia ed il cuore pulsante

di Giovanna Campagna

Forza Gorizia, rinasci! Alzati dal torpore dall' aver pianto troppo a lungo per un destino che non si è compiuto e che gli eventi hanno cancellato, poichè sempre, accanto alla città reale, ve n'è una che esiste parallela, occupando lo spazio della percezione e delle idee, una città invisibile, alla maniera di Calvino, che pure può plasmarsi da questa idea, sogno, immagine e diventar concreta, reale vissuta. La visione si fa “carne” e nasce lo spazio che si vorrebbe abitare.

Sono tornata a Gorizia a Febbraio scorso e vi ho, come sempre, lasciato il cuore, che spero di venirmi a riprendere presto... Fortuna ha voluto che incappassi proprio nel periodo della “Rosa di Gorizia”. Per due mattine mi sono intruffolata al mercato coperto, piccolo gioiello nel cuore pulsante della città ed ho potuto apprezzare, rigogliosi dentro le loro ceste, i carnosi boccioli dalle intense sfumature bordeaux del radicchio dalla sembianza di rosa, dal sapore dolce e delicato, vera e propria sorpresa per il palato che a questa insalata associa un gusto deciso, amarognolo e piuttosto severo. Spigolando per i banchi curiosa, ho raccolto le chiacchiere assonnate dei primi scambi, fra i fornitori appena giunti dalle campagne ed i commercianti, indaffarati ad esporre la merce appena scaricata dai furgoni, ancora profumata di terra, risultato trionfante di quella lenta e giusta crescita, che distingue il prodotto del mercato da quello standardizzato della grande distribuzione.

Da bimba, quando ancora i supermercati erano pochi e luogo del pellegrinaggio per effettuare la grossa spesa di famiglia, che riempiva la dispensa di casa, il Mercato di San Lorenzo, a Firenze, rappresentava il luogo degli acquisti quotidiani. All'aperto, nello spazio antistante il mercato coperto, erano i banchi dei verdurai e fruttivendoli. Ricordo i venditori imbacuccati e un poco goffi, con i guanti dalle dita scoperte per poter toccare con mano i frutti della terra e, al contempo, difendersi dai rigori dell'inverno. Alcuni anni dopo, anche a loro fu destinato il secondo piano dell'edificio e la vita si fece più confortevole. Ma nei primi anni 70 all'interno, dentro la struttura del mercato centrale, si alternavano i banchi del pesce e delle carni, i prodotti caseari e tutte le “delicatessen” che ne rendevano la visita piu ghiotta. Intorno al mercato antiche botteghe convivevano fianco a fianco, il lattaio, il panettiere che alla mattina presto sfornava le prime fragranti schacciate all'olio, vanto e delizia al palato del fiorentino; ad una di queste, vera e proprio boutique del gusto, il ricordo torna gravido di nostalgia.

I Calderai di via dell'Ariento, indiscusso tempio del cibo esotico e ricercato, che fa viaggiare in terre e sapori lontani. Qui bimba, entravo in punta di piedi, sempre preda di una certa eccitazione, attraversando la soglia sormontata dalla divertente insegna raffigurante un cuoco panciuto (secondo la più classica iconografia), a cavalcioni di un maiale, per accedere ad un mondo dai profumi intensi, le variegate forme e i tanti colori. Calderai era il solo luogo in città dove era possibile trovare il “Leberwurst” (patè di fegato di maiale, molto in uso nella cucina tedesca, quando ancora lo si mangiava con leggerezza e gusto e veniva ricavato da animali che avevano vissuto dignitosamente, fuori delle “gabbie di produzione”) il pane di segale, il burro salato ed il tè sfuso, che le mani svelte dei pizzicagnoli, dai grembiali sempre impeccabili, estraevano dagli eleganti scrigni verdi, i vasi metallici il cui compito era quello di preservarne intatto l'aroma. Oggi il tè, quello nero alla menta o al gelsomino non suscitano alcuno stupore, ma nella mia infanzia a Firenze la tazza di tè rappresentava la bevanda degli stati influenzali o del disturbo di stomaco, si prende il tè “quando si sta male” o al più si scimmiottano i “forsetieri” che di questa bevanda fanno uso. Del Calderai ricordo i grandi vasi (allora ai miei occhi di bimba apparivano immensi) ricolmi di escargot, i salumi e i formaggi, le agognate cioccolate, le gelatine di frutta e i bon bon, oltre a prelibatezze varie, provenienti da paesi lontani e dai sapori inusitati. Dal Calderai si andava il giorno prima del dì di festa, uscendone con piccoli cartocci ben confezionati, che racchiudevano, al loro interno, una promessa di evasione dal vivere quotidiano, un viaggio dei sapori sulle note profumante e attraverso l”assaggio pieno di curiosità di una prelibatezza esotica. L'officina del gusto, come sapientemente la descrive Manuela Plastina, nel gustoso, si può ben dirlo, libro a lei dedicato, ne racconta il suo passaggio in città: dalla nascita, sullo slancio di Firenze capitale, della neonata Italia unita, fino al 1984, anno in cui i costumi dei consumatori si orienteranno, inesorabilmente, sempre più verso una dimensione degli approvvigionamenti alimentari e non solo, rapida, di certo più pratica, nella gestione di tempi e logistica ma anche inevitabimente omologante.

A questo tramonto non è stato risparmiato neanche il Mercato centrale, anch'egli frutto del risanamento operato in città nella seconda metà dell'Ottocento: per renderla conforme al suo ruolo di capitale. Nasce, insieme ai suoi due fratelli, per rispondere alla crescita della popolazione, nonchè al nuovo assetto urbano. Per la sua realizzazione l'archietto Giuseppe Mengoni, già autore della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, si ispirerà alle Halles parigine e il risultato sarà un edificio in linea con i dettami del tempo attraverso un uso generoso dei materiali allora in voga: ferro, vetro, ghisa. L'esito fu uno spazio, ampio, abbondantemente illuminato, grazie ai grandi finestroni che lo inondano dall'alto di luce naturale.

Negli anni, lentamente il mercato è andato sopendosi, a causa dello svuotamento del centro cittadino in favore delle periferie, complici anche la maggiore comodità offerta dai centri commerciali. Il Mercato coperto stava inesorabilmente scivolando nella funzione di mero mercato rionale, con qualche guizzo pittoresco ad uso e consumo dei turisti, perdendo in tal modo la sua funzione di centro di aggregazione cittadino. Nel 2014 la svolta. Nasce il progetto Mercato centrale frutto della collaborazione fra Umberto Montano, imprenditore della ristorazione ed il gruppo Human Company che si occupa di turismo all'aria aperta. La sua realizzazione vede al centro di questa nuova “piazza”, reale e fruibile, artigiani della ristorazione, che hanno dato forma a veri e propri laboratori del gusto, dove è bello sostare, osservare e anche partecipare. Non solo un luogo per fare la spesa o per mangiare dunque, ma molto di più, uno spazio in cui prodotti e sapienza si incontrano per dar luogo alla cultura del buon cibo, consapevole, sostenibile, e dunque genuino e immancabilmente gustoso! Al ritorno in città un nuovo centro di aggregazione, non sono mancate le crtiche dei nostalgici del “mercato così com'era” ma del resto anche nel 1874, anno dell'inaugurazione dello storico edificio che lo avrebbe ospitato, non tutti lo accolsero con favore, come del resto accade spesso di fronte alla innovazione. A mio parere, nonostante si tratti indubbiamente di una perspicace operazione di marketing territoriale e luogo di innegabile forte attrattiva turistica, (del resto questa è una operazione in uso da tempo in diverse capitali europee, una per tutte il visitatissimo e pregevole Naschmarkt di Vienna, con i suoi banchi trionfanti di spezie) Mercato centrale è infatti un format che negli anni è stato replicato in diverse città italiane: Roma, Torino e, ultimo nato, Milano, ha l'innegabile pregio di riconsegnare al tessuto urbano un luogo di aggregazione e centralità. Ne scaturisce una formula basata sul binomio cibo di qualità e cultura, in uno spazio della convivialità che, favorendo lo scambio e la comunicazione, trovo sia oltremodo virtuoso in momenti di aridità non unicamnete riferita al suolo ed ai territori.

Credo che un tessuto urbano possa far tesoro di esperienze variegate, ben vengano i mercati rionali, come ad esempio a Firenze è Sant'Ambrogio, un mercato che mantiene un assetto più popolare ma ha appunto una funzione diversa. Diversificando dunque, anche lo spazio del mercato goriziano, potrebbe beneficiare di una iniezione di energia, una realtà multifunzionale che valorizzi le eccellenze locali di cui questo territorio è tanto ricco. Credo che una operazione simile potrebbe incontrare il favore dei Goriziani e non solo, ne è prova il successo e la grande affluenza in città, in occasione dell'appuntamento annuale con la manifestazione “Gusti di Frontiera”. Sarebbe bellissimo un luogo multifunzionale a Gorizia! La citta del bel vivere, dellle incantevoli passeggiate di cui si stanno ampliando i percorsi, penso alla passerella ciclopedonale Isonzo – Soca inaugurata solo un anno fa, all'interno del progetto europeo Parco transfrontaliero Isonzo Soca, che favorirà i collegamenti fra Gorizia, Nova Gorica e San Pietro Vertoiba.

Lascio infine la parola ancora a Calvino nel confermare che: “Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni di un linguaggio: le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.”

Gorizia, piccola mela d'oro

di Giovanna Campagna

A Gorizia, la città dei giardini, ma anche dei trascorsi fasti asburgici, nelle sue strade aleggia ancora l'atmosfera Viennese, una miniatura della "mela d'oro" come i turchi usavano definire la città tanto ambita. Ho visitato Vienna la prima volta da adolescente, in un breve soggiorno insieme all' amica Irene, ospite in casa del padre, il germanista professor Giuseppe Bevilacqua. Di quei giorni ricordo l'ebbrezza del primo viaggio da ragazza,  senza la supervisione dei genitori, la città, gli atelier, i musei e la Sacher Torte gustata nella saletta al primo piano della Kaffeehaus Demel, quando ancora ci si poteva trattenere con tranquillità; il laboratorio della pasticceria era celato alla vista e da quelle segrete stanze emanava un intenso sentore di vaniglia e cioccolato, mentre a ritmo regolare ne uscivano carrelli pieni di ogni genere di torte e pasticcini. Oggi la fruizione è molto piu svelta e si deve fare attenzione a non inciampare negli innumerevoli selfisti che si ritraggono di fronte alle teche e al laboratorio, trasformato in un grande acquario in cui si muovono, con eleganza un po' teatrale, gli esperti pasticcieri. La novità dei tempi....

Allora, negli anni ottanta, tutto questo non c'era ma, nonostante i musei non offrissero esperienze immersive attraverso la realà aumentata, sono rimasta molto colpita dalla imponente mostra sul secondo assedio turco di Vienna, l' evento storico che fece dell'Austria il catalizzatore del grande scontro fra gli imperi centrali europei, riunitisi in un esercito multiforme, vera e propria coalizione occidentale e quello ottomano.

Era il 1983 e all' Historisches Museum der Stadt Wien era stata allestita questa esposizione straordinaria per celebrare il trecentenario dell' assedio e la definitiva sconfitta ottomana, evento che ne decretò l'inizio del declino.

Sono più volte tornata nella capitale austriaca mai sazia delle sue atmosfere, degli innumerevoli parchi e giardini,  vanto intramontato degli Stadtgärtner (i giardinieri della città) nella cui sede/scuola, nel quartiere di Kagran, ci si puo immergere in un viaggio nel tempo e nello spazio: qui convivono, fianco a fianco, aree a tema che ricreano ambienti botanici di tutto il mondo, ma anche scorci che restituiscono, fra le altre, le atmosfere sognanti dei dipinti di Monet.  Vero e proprio laboratorio per gli aspiranti giardinieri, una sorta di "aula en plein air" il Kagran è uno dei miei preferiti, al riparo dalle schiere di visitatori e turisti, ha ancora le caratteristiche del giardino per i viennesi.

Parimenti i giardini di Gorizia godono tutti di una identità più schiva. Il giardino Viatori, che conto di visitare in un mio, spero prossimo, ritorno, è forse il più strutturato ma altri mi hanno già conquistata per la loro discreta eleganza e quel sapore viennese che ne disegna spesso i contorni. Il delizioso piccolo gioiello verde nel Parco del Municipio,  con i suoi scorci romantici; ciò che ho potuto vedere del giardino di palazzo Lantieri; gli appezzamenti che circondano quello che fu il quartiere generale di Franco Basaglia, superficie a lui nominata e infine il pregevole giardino di villa Coronini Cronberg con il suo gioco di scale che si rincorrono fra le siepi,  per citarne solo alcuni.

Socchiudendo gli occhi in alcuni angoli sembra davvero di passeggiare in una città austriaca, non sono solo i verzieri dal gusto squisitamente mitteleuropeo, i viali alberati di rigogliosi tigli, aceri, pini e carpini e le splendide magnolie. Molte ville private infatti, con i loro generosi giardini. fruibili all' occhio del passante attento,  ricordano certe vie eleganti di Baden bei Wien. Si affacciano ad ogni angolo le architetture e i mai sopiti echi asburgici;  città contesa fra Vienna e Venezia da entrambe è stata "vestita", e ancora una volta da questa fusione fruttuosa, fra influenze artistiche veneziane e una impronta asburgica nettamente marcata,  rimane come traccia indelebile, seppur sopita, la cifra di Gorizia, in ogni sua pietra, ad ogni portone. Una città che tre secoli fa conosceva un fermento delle arti e delle lettere, tanto che nel Settecento fiorirono le prime prestigiose tipografie: il veneziano Tommasini padre, cui successe il figlio Giacomo che detennero il monopolio fino alla seconda meta del secolo,  quando apriva una propria tipografia il Valeri, nativo di Cividale, di cui spiccano per quantità le edizioni  di libretti di opera. Una città che per tutto l'Ottocento venne scelta dall'aristocrazia asburgica, e non solo, quale luogo di villeggiatura prediletto. Sembra che Lorenzo da Ponte, il librettista di Mozart, si dicesse tanto desolato all'idea di doverla lasciare, da trascorrere in  pianto tutta la notte antecedente la partenza! Altri nomi illustri vi soģgiornarono, uno per tutti Napoleone, che trascorse un breve periodo ospite a Palazzo de Grazia, oggi sede del prestigioso Istituto di Musica "Casa delle Arti", ma anche i veneziani Casanova e Goldoni,  che proprio a Gorizia, con l'editore Valeri, diedero alle stampe alcuni loro scritti. 

Oggi, benchè lontana dall'opulenza asburgica, percepisco una ventata di aria fresca,  avverto un fermento, un auspicabile nuovo rinascimento in città. Interessante  e degna di nota è l'operazione di recupero della soffitta di Palazzo Paternolli. L' intero edificio trasformato in residenza per gli studenti, dedicherà una sezione al filosofo Carlo Michestädter che, proprio in quella soffitta, amava trascorrere le sue giornate di studio, produzione e incontri con amici e intellettuali del suo tempo. Altri due interventi previsti, dovrebbero restituire a nuova vita pregevoli edifici, salvandoli dall' abbandono: l' antico e imponente costruzione del Civico Stabilimento Bagni, secondo il progetto,  riconsegnato al suo originario utilizzo,  rivisitato in chiave moderna e Villa Frommer dove è ipotizzata la trasformazione in residenza per anziani. Tanti progetti dunque, tanta buona linfa vitale ed energia di rinnovamento, il tempo stringe e Gorizia ha un appuntamento importante... sono convinta che saprà stupirci, "Oh! Gorizia vestita di nuovo",  bellissima e radiosa per il suo "ritorno in società!"

Scrivere a quattro mani! Benvenuta Giovanna

Questa disponibilità di Giovanna a scrivere per il Blog "Vado a vivere a Gorizia" mi emoziona. Perchè ogni risorsa aggiuntiva è sempre fonte di ricchezza. Non è, per ora, una staffetta; ma il futuro mi rasserena. Trovare qualcuno che, come me, ama profondamente questa città che, incredibilmente, in relazione all'attività di ospitalità che, con mia figlia abbiamo avviato (www.goriziamo.it) abbiamo scoperto meta costante di viaggiatori che ne vogliono conoscere la storia, ammirano la città con i suoi palazzi ed i giardini ed apprezzano i suoi vini, veramente mi commuove. Ma ecco qua chi è Giovanna Campagna.

I miei ricordi fondativi hanno il colore dei cieli nordici e risiedono nel triangolo Göttingen, Hannover e Berlin, quando ancora la città era un'isola e il raggiungerla riservava spesso esperienze avventurose.... Sono cresciuta a Firenze in un ambiente internazionale, con uno sguardo preferenziale verso il mondo tedesco che è sempre stato di casa, grazie anche alle innumerevoli iniziative culturali portate avanti, negli anni, dall' Associazione Culturale Italo Tedesca (ACIT) di cui mio padre è stato cofondatore insieme a Giuseppe Bevilacqua, titolare di lingua e letteratura tedesca all'Università di Firenze. Ho coltivato nel tempo la mia "doppia appartenenza" con frequenti soggiorni sia in Austria che in Germania e optando, ormai da cinque anni, per una realtà che abbracciasse entrambe le culture: L'Alto Adige, dove attualmente risiedo. Di Gorizia mi sono innamorata.... vorrei fosse il mio approdo, la mia Itaca, perché nella sua luce, nei suoi colori, ritrovo le atmosfere della mia infanzia.

Gorizia. La luce della città

Giovanna Campagna è ormai ospite fisa di questo Blog. E credo che, prima o poi, dovrò iniziare a considerarla co-responsabile. Spirito e passione tra lei e me si fondono in un tutt'uno per l'amore di questa città. E' con estremo piacere che, quindi, condivido queste sue emozionanti riflessioni.

"È quel che è.

È assurdo, dice la ragione

È vano, dice il giudizio È impossibile, dice l' esperienza

È quel che è dice l'amore.......

Ho preso in prestito alcuni versi da questa poesia di Erich Fried, perché con ciclica costanza sono ormai preda del "mal di Gorizia" che non cenna a diminuire, al contrario si fa sempre più pressante, in poche parole, non passa....

Allora nelle notti insonni risucchiata dal vortice dei pensieri, affacciata sul baratro di questo rischio esistenziale, del mollar la strada vecchia per la nuova e osando ipotizzare una avventura verso un altrove che mi chiama con insistenza, non posso esimermi dal seguire la sirena del mio cuore, che oramai pulsa al ritmo di Go, Go, Go, Gorizia! Cerco di razionalizzare e comprendere quale sia il canto cui Ulisse e i suoi tentarono di resistere, quale il motivo per cui poggiando il piede in suolo isontino, che avvenga alla stazione ferroviaria o scendendo dell'automobile, io mi senta così ineluttabilmente a casa; cosa mi rende questa città tanto cara? Un luogo può apparire bello, amabile, Gorizia di certo lo è per caratteristiche geografiche, composizione urbana, clima, abbondanza di verde cittadino, profusione di giardini, rilassatezza e atmosfera di altri tempi, ma tutto ciò non fa di un luogo "casa". Perché si compia questa apertura dell'anima occorre un sentimento che affondi le radici nel vissuto individuale, occorre che vengano riportate alla coscienza immagini della memoria, riposte sopite e silenti in un angolo remoto, ricacciate nel magazzino dell'oblio, lontano e ben protetto dalle incursioni della vita 'reale', confusa dalle incombenze quotidiane e assorbita dal succedersi del tempo ordinario.

Ecco, Gorizia a quel tempo sempre mi strappa e mi consegna ad un luogo altro, più distante dall'operosità del vivere e tanto più vicino all'essenza del farlo. Si moltiplicano i tuffi nei ricordi, come se si fossero aperti dei canali di percezione nuovi, visioni antiche e presenti si sovrappongono, in un cortocircuito della mente che me la fa amare e desiderare sempre più, nella presenza e nella lontananza. Nella grande casseruola del ricordo le immagini si mescolano ai profumi, alla luce, ai sapori. Nei primi anni di vita le percezioni, come le esperienze, si fissano indelebilmente trasformandosi in quel bacino di pesca della nostalgia infantile. Il mio sgardo interiore è calibrato sui verdi intensi dei boschi tedeschi, dei parchi nordici e sopratutto della paricolare luce fredda e uniforme che caratterizzava allora, prima dei mutamenti climatici che molto hanno modificato, i cieli della Bassa Sassonia.

Niente a che vedere con l' impertinente intensità della luce mediterranea; al verde scuro del Wald ( bosco) tedesco, ho sostituito, negli anni, gli ocra delle terre argillose, i gialli intensi delle mietiture, i filari delle vigne e le dolci colline toscane, il frinire al vento delle foglie argentee negli uliveti, il mondo che ha accolto la mia fanciullezza. Ma nei primi anni ho incontrato la brezza fresca del nord e, da sempre, solo lei è capace di risvegliare in me un senso di pace ed appartenenza. Questa luce diafana mi ha accolta a Gorizia nel suo autunno brumoso e anche nei primi freddi invernali, quando il tepore di una zuppa calda scalda i sensi e rinvigorisce l'animo. L' incontro con la Jota è stato un tuffo al cuore, vera e propria madeleine Poustiana, al primo assaggio di questa fumante e confortevole zuppa, dal profumo intenso e dal gusto deciso, il balzo temporale è stato immediato.

Prima infanzia, la casa della famiglia Schäfer si affacciava sul parco dello Schillerviese nella cittadina di Göttingen, dove mio padre teneva corsi di lingua italiana presso la locale università. Mi tornano alla mente i lunghi pomeriggi in casa Schäfer, trascorsi con Ernst, il mio "nonno adottivo", professore di archeologia paleocristiana in pensione, ad ascoltare il racconto delle malefatte di Max und Moritz, i due discoli nati dalla sagace penna di Wilhelm Busch. L’opera, pubblicata nel 1865, divisa in episodi e corredata da illustrazioni, è considerata antesignana del fumetto ( ai due birbanti si ispirò, fra gli altri, una trentina di anni dopo, Rudolph Dirks immigrato tedesco in America, per i suoi Katzenjammer, in italia tradotti e pubblicati sul Corriere dei Piccoli come Bibì e Bibò). Mentre mi lasciavo felicemente impressionare dalle suggestioni noir, di questo libro educativo per l'infanzia, privo del rassicurante epilogo del nostro patrio Pinocchio, redento e salvato dal suo creatore, (per i due bambini Busch riserva infatti un finale spietatamente grottesco), o durante strimpellate strampalate, che mi era permesso di eseguire al loro pianoforte, dalla cucina giungeva il profumo stuzzicante della zuppa che borbottava senza fretta sul fornello. Leggenda di famiglia vuole che Suppe ( zuppa) sia stata la mia prima parola.

Sempre secondo i racconti di casa si narra che, al richiamo di Ursula, la signora Schäfer, io accorressi rapidissima e che questa zuppa, dal sapore deciso, fosse uno dei miei piatti preferiti, alquanto insolito per una bimbetta ancora alle prese con lo svezzamento! Erano gli anni 70, ho dovuto attendere 50 anni prima di poterla ritrovare, la mia "Weißkohlsuppe", declinata nella variante goriziana della Jota con i "capuzi garbi" ed è stato subito riconoscerla. E ancora il "Mohnstrudel" ( strudel di papavero) ritrovato, con alcune differenze, nella Putizza ( Potica in sloveno) dolce che, nella variante ai semi di papavero, ed in innumerevoli altre declinazioni, si ritrova in tutte le tradizioni culinarie della pasticceria mitteleuropea, esempio di quelle contaminazioni gastronomiche, nonché sintesi in chiave pasticcera di quell' incontro di civiltà che fa del territorio goriziano l'insalatiera di etnie, punto di convergenza di differenti flussi culturali, che qui sono riusciti a catalizzare un processo di fusione e incontro in tempi brevissimi, nemmeno 20 anni! Dopo l'abbattimento del muro/recinzione, attraverso una viruosa calibratura dei bisogni reciproci, motivata da un forte desiderio di integrazione e scambio, la popolazione è riuscita nell'intento di realizzare quella convivenza, preziosa e costruttiva, il cui riconoscimento sarà celebrato a breve.

Premiata dunque, a ragione, proprio in virtù della sua molteplice appartenenza culturale, Gorizia è riuscita ad evolvere, trasformando il proprio assetto multietnico, nel suo punto di forza. Un esempio auspicabilmente seguito da altri territori di confine che questo passaggio faticano ancora a compiere. Una complessità culturale e linguistica che i suoi abitanti hanno mutato, da motivo di sospetto e divisione, in luogo dello scambio proficuo e della contaminazione virtuosa e creativa. Come in cucina cosi nella vita dunque vale sempre il principio che sperimentare conduce a ottimi risultati e che, come soleva affermare l'Artusi, nel “mescolare quanto basta” risieda la buona riuscita di ogni ricetta."