Tre giorni a Gorizia ed è di nuovo amore!

di Giovanna Campagna

E proprio vero che il tempo si allunga è si dilata a dismisura e che in definitiva è contenuto in una misura di percezione. Esistono diverse qualità del tempo: vi è quello della memoria, il tempo emozionale, quello che scandisce il trascorrere del flusso vitale, con la capacità si sballottarci su e giù per la nostra griglia biografica di un oggi e di un ieri che possono fondersi insieme in un istante grazie al ricordo: un profumo dell'infanzia, un particolare riflesso di luce, dettagli insignificanti che d'improvviso ci catapultato sull'ottovolante della memoria.

A rebours.... a rotta di collo sull'orlo di quella vertigine improvvisa che ci precipita in ciò che di noi fu e che struggentemente non riusciamo ad afferrare. Un'ombra, immagine di specchio solo riflessa, se allunghiamo la mano per afferrarla questa si dissolve, dunque non resta che goderne per il breve tempo della sua apparizione.

Sono tornata, finalmente, dopo aver accarezzato il proposito per mesi, a Gorizia, la città cui ho donato il cuore ormai più di 3 anni fa. Ogni ritorno vivifica la brace che giace sorniona e silente sotto lo strato di polvere del quotidiano vivere. Basta uno zefiro gentile a ridarle forza e a ricomporre il fuoco sacro del desiderio. Ogni volta però il disegno si fa più chiaro e i confini più netti. Nel definire i motivi di una attrazione se ne affina la visione, ci si libera della foschia dell'impulso scomposto, supportato dall'entusiasmo più pertinente al puer, nonostante sembra io non voglia abbandonarne l'ebrezza. Ma il tempo, sempre lui, insegna ad assaporare gli eventi, assumere uno sguardo contemplativo per accogliere in sé la consapevolezza di una affinità elettiva che prende forma con forza sempre maggiore.

Mi sono chiesta dove risieda il motivo del mio sentirmi sempre più a casa in questa città, quale sia la amalgama che evidentemente in me produce questa rivelazione di appartenenza. Credo la risposta risieda in quell'arcipelago di vissuti che, per immagini e assonanze produce quella geografia interiore, su cui basa il personale mondo di appartenenza che da quello reale trae solo spunto e materiale di costruzione.

Gorizia somiglia al mio, in maniera sempre più evidente. Per motivi biografici posso definirmi una persona dalla doppia appartenenza culturale, vero e proprio ponte fra due mondi: troppo italiana in Germania e troppo tedesca in Italia. Nel triangolo geografico di Göttingen, Hannover e Berlino (quella precedente al crollo del muro) risiedono i miei ricordi di infanzia, a Firenze la mia prima età adulta, con frequenti passaggi nella capitale austriaca la cui atmosfera a Gorizia si avverte spesso, nel presente il tentativo di coniugare i due mondi attraverso una tappa altoatesina, che dura ormai da qualche anno e infine la rivelazione goriziana, che sembra raccogliere la summa di tutti questi elementi.

Mi sono presa del tempo questa volta, incurante di previsione metereologiche o difficoltà logistiche, ho intrapreso il viaggio di "iniziazione" perché solo camminando a lungo in un luogo, in solitudine e ascolto, questi inizia a sussurrarti, con una lingua segreta ammaliante, la propria storia.

Ho soggiornato per una sessantina di ore nella città, perdendomi come una flâneuse, finalmente dimentica del tempo e dello spazio, nella dimensione atemporale del vagolare senza meta, come il fotografo naturalista, che pazientemente si apposta in attesa di qualcosa che si compia, non sa cosa e chi incontrerà ma aspetta, non si mette in cerca ma in ascolto e la natura, ai più tenaci, infine apre i suoi portali. Così a me la città si è schiusa al pari della corolla di un fiore: un bocciolo sensuale, generoso, pieno, come lo è la Rosa di Gorizia! Nel percorrere le vie del centro, assaporando il tiepido sole in Piazza Vittoria, con le cipolle turchesi di Sant'Ignazio in dialogo costante con il castello, quasi a rappresentare due poli: da un lato i bastioni veneziani del Borgo Castello, sovrastante la città, fiero e sovrano, dal suo colle boscoso, sembra ricordarci il radicamento alla terra, dall'altra due antenne tese verso il cielo a simboleggiare una appartenenza ignota, rivolta alle stelle.

Per cogliere a pieno ogni momento e la luce dell' intera giornata, mi sono mossa molto presto: vedere la citta svegliarsi mi procura da sempre una profonda emozione e quale miglior luogo per assaporarne i primi palpiti della mattina se non avventurarsi per il mercato, da sempre cuore pulsante delle società umane. Farlo la mattina molto presto, quando i banchi cominciano ad esporre le verdure ancora cariche dell'umidità dalla notte, schiude ai segreti dei piccoli gesti privati: i clienti non sono ancora arrivati, genti e merci si preparano alla nuova giornata di commerci, una moka appoggiata dentro una antica vasca in pietra, rivela una gestualità casalinga, piccola irruzione in una sfera privata e gentile. Il profumo intenso di certe infiorescenze, il parlottare rapido fra i commercianti, lo scarico dei furgoni che hanno viaggiato alle prime luci dell'alba, per fornire la città dei suoi beni. Fortuna ha voluto (ma più che fortuna direi ostinazione di voler gettare uno sguardo su Gorizia anche in pieno inverno) che il magnifico radicchio purpureo, la Rosa di Gorizia, godendo degli ultimi rigori della stagione invernale avesse ancora una volta riempito i campi e che dunque se ne apprezzassero cassette puntellate di rugiada sui banchi del mercato. Di questa "regina dell'inverno" avevo sentito parlare dagli amici goriziani con grande e legittimo vanto e ne ero molto curiosa. Ho potuto anche apprezzarla in una delle sue varianti più classiche " Rosa di Gorizia cu'lis frizzis " una insalata composta dai "petali" di questo radicchio, con l'aggiunta di ciccioli di maiale, una pietanza non esattamente dietetica ma estremamente golosa. Non conoscevo questa meraviglia della natura: dalla semina precoce, verso la metà di Marzo, alla stregua del frumento, alla messa a dimora a inizio estate, alla raccolta dei boccioli con i primi freddi autunnali, che vengono assemblati in veri e propri mazzi e conservati in ambiente protetto, garantendo una temperatura mite e costante, affinche questi possano "sbocciare". Tale lavorazione, rigorosamente manuale, che gli amici goriziani mi dicono essere estremamente laboriosa, richiede una sapienza e una perizia tale da giustificarne anche il costo. I produttori, che si concentrano in un area circoscritta nella piana compresa fra Gorizia e Salcano e, in misura minore nelle aree periferiche della città, la coltivano in piccole quantità, con una tecnica i cui segreti vengono gelosamente custoditi e tramandati di generazione in generazione da due secoli. Di questa " cicoria rossastra" in sloveno Goriski Radic, risalente già ai tempi degli Asburgo, fa menzione anche il Barone Karl von Czörnig - Czernhausen, che elesse la città a suo domicilio nella seconda metà dell'800 ( il cui esempio sto cercando di seguire) nel suo volume ad essa dedicato.

Tornando fra gli sporti del mercato coperto, una menzione particolare la dedico all' imponente banco del pesce, una sorta di allegoria marina, composta da una lunga teoria di pesci e fauna ittica di fronte alla quale sfilare in cerca di prelibatezze, cui fanno capo, sapienti custodi, i venditori già pronti e posizionati, in ordinata fila, per accogliere la clientela. Proseguendo nel proposito di una immersione nel tessuto cittadino nei suoi usi e costumi, ho approfittato delle festività carnacialesche per intrufolarmi nel corteo che dal parco Baiamonti, al limitare dello stadio cittadino, si è snodato, per vie meno battute dai circuiti turistici, in direzione del centro. Al Baiamonti, durante la lettura del testamento del defunto Bepo Zanet, Re del Carnevale, un assaggio delle tradizioni culinarie di evidenti matrice austroungarica, mi ha permesso di sorseggiare un confortante vin brulé e sgranocchiare i "Fritulis", equivalenti agli austriaci Krapfen e presenti in gran parte d'Europa, comunemente dette Chiacchiere con diverse varianti regionali ( in quella Toscana sono i Cenci) e tradizionalmente consumate nel periodo precedente la Quaresima generalmente durante il Carnevale. Conclusa la lettura fra motti e schiamazzi del pubblico, il Re viene arso, su una pira di alloro, in uno di quei fuochi sacri che James Frazer elenca, riritrovandone traccia in tutte le tradizioni, nel suo minuzioso studio sulla magia e la religione ( Il Ramo d'oro), falò che decreta la chiusura delle festività, fino al prossimo anno in cui, come imperitura fenice, il carnevale con la sovversione dell'ordine sociale, tornerà a far burle per le strade cittadine. Seguendo il bizzarro corteo lungo il viale che dal Baiamonti conduce verso la magnifica Piazza sant' Antonio, fin dalle prime visite, la mia prediletta, costeggiando il palazzo Lantieri, d'improvviso una insegna indica la presenza di un Bierrgarten con evidente assonanza bavarese, il salto nella memoria è immediato ma il buffo corteo prosegue la sua marcia irridente ed io lo voglio seguire ancora un poco.

A conclusione della giornata al Borgo Castello un piatto tradizionale delle festività, con le Ceneri si apre il periodo del " mangiar di magro", è dunque d'obbligo, durante la Quaresima, seguendo le raccomandazioni di Alida, il mio Virgilio goriziano, fare un piccolo assaggio di "polenta e renga" ( aringa). Con questa e un calice di ottimo vino bianco del Collio ho raggiunto il giro di boa del personale breve ma intenso " Grand tour goriziano". La giornata volge al termine ed ho ancora moltissime chimere da inseguire e infilare a forza, nel breve tempo che mi resta, dentro il magazzino delle immagini cui attingere, per rivivere la dolcezza di questa città che tanto mi affascina.

Una delle mete a me più care sono da sempre i cimiteri monumentali, compendio di storia locale e monumenti inconsueti ma di grandissimo valore iconico delle comunità abitanti un luogo, ecco perché una parte del mio " viaggio di formazione" va, per antitesi di leggerezza, sempre in cerca di questi luoghi della tranquillità come è ben restituito nell'etimologia tedesca di Friedhof ( luogo quieto). Venuta a conoscenza della presenza di un cimitero ebraico a Nova Gorica, in Slovenia, a quella distanza di un paio di strade che fa di questa città dai due poli, lo scrigno prezioso al cui interno sedimenta, distillando la sua particolarità biculture, mi metto in cammino, ferma sostenitrice della teoria per cui un territorio si assapora solo camminandovi a piedi. Superato il valico di Casa Rossa, basta proseguire dritti per meno di un km in territorio sloveno e a Rožna Dolina, la val di Rose, seguendo il cavalcavia che lo sovrasta, lo si può scorgere adagiato su di un lieve declivio. Le lapidi disposte senza un ordine apparente, come è nella tradizione dei cimiteri ebraici, si raggruppano in piccoli agglomerati o si stagliano solitarie. Leggo che venne istituito nel 1881 e ospita diverse pietre sepolcrali precedenti alla sua ideazione, in alcune si riconoscono epigrafi risalenti ad epoche che vanno dal XIII al XVII secolo, ma la grande maggioranza delle lapidi risale al 900 e cessano con la fine della seconda guerra mondiale, quando la fiorente comunità ebraica di Gorizia fu praticamente cancellata dal terrore nazi- fascista. Fra le personalità più illustri del cimitero spicca lo scrittore, filosofo e letterato goriziano Carlo Michestädter morto nel 1910.

Tornando sui miei passi verso il lato italiano, decido di percorrere strade in libertà, lasciando che palazzi, scorci, giardini inizino a parlare attraverso piccoli dettagli, una sorta di sequenza di Fibonacci che prende vita dipanandosi come un filo rosso per le vie cittadine e in esse mi conduce: e incontro vetrine di antichi negozi che fieramente resistono, lottando contro una modernità commerciale omologante e pervasiva che sta, come in molte altre città, trasformandone l'assetto. Accade così che le vestigia di antichi palazzi ospitino oggi catene ommerciali prive di ogni carattere identitario, dove ad accogliervi non vi è più un proprietario dell'esercizio ma un addetto alle vendite. Molti si sono arresi ed hanno ceduto il passo al " futuro", alcuni resistono e di fronte a questi sosto grata. Sono librerie dal sapore antico, al cui interno si trovano solo volumi ben disposti sugli scaffali, mancanti i gadget, oggi sovente presenti in questa tipologia commerciale, mercerie dinanzi alle cui vetrine è bello soffermarsi per osservare la quantità di merce di diversa tipologia, negozi che hanno ancora il sapore dell'emporio e in cui vorrei entrare per esprimere gratitudine e l'incoraggiamento a resistere all'invadenza dell' e-commerce e tutti i suoi addentellati. E poi il "caffè sotto casa", quello dove ogni mattina si incontrano le stesse facce, quello che per avermi vista due volte in compagnia della mia guida e cara amica, mi tratta ormai come una persona conosciuta, che si saluta augurando un buon viaggio con l'augurio di un a presto rivederci.

Il secondo giorno è volato al pari del primo e con la stessa rapidità che si porta via lo spazio dei momenti piacevoli, li vorremmo fermare ma questi, incuranti del nostro desiderio si affastellano come gli altri sulla linea del tempo che solo interiormente noi riusciamo come dicevo, a dilatare. Un bel racconto per immagini ancora attraverso la mostra fotografica dell' associazione Mitteldream, di cui Alida è la presidente e infine, grazie ad un evento con proiezione di documenti fotografici, sempre a cura dell'associazione, un piccolo salto nella laguna di Grado. Ho scoperto essere, questa lingua di mare costellata di isolette, una vera e propria oasi naturalistica di rara bellezza e di grande varietà faunistica, una sorta di parco naturale non antropizzato ma autogestito da madre natura, con il contributo in saggezza e cura degli abitanti del territorio, la cui più nobile accortezza consiste proprio nel lasciare che possa esistere e prosperare.

Ho trascorso la mia ultima notte in una vera casa goriziana, ospite di Marilisa e Lia: il seminato veneziano sapientemente restituito agli antichi splendori, il pavimento in legno originale dall'inconfondibile scricchiolio, le porte di gusto viennese e l'intero arredamento riproducente le atmosfere delle prime decadi del secolo scorso, fanno di Casa Gatsby un luogo ameno dove ho coronato il viaggio iniziatico, la visita piu introspettiva fra quelle che ormai da alcuni anni mi spingono a percorrere le vie di Gorizia, la città che ho eletto a luogo del bel vivere e dove amerei trasferirmi. Dunque non mi resta che chiudere questo excursus nel magazzino dei ricordi, ad una settimana di distanza dalla mia gita goriziana, confermando a me stessa che ancora una volta di questa citta non sono sazia. Ho voluto in una certa misura darmene dimostrazione, scegliendo un perido grigio e freddo dell' anno, una sorta di prova d'amore verso questa città, il cui charme risiede nella sua natura di luogo ponte fra diverse culture, condizione che è stata avallata dalla nomina, insieme alla gemella Nova Gorica, a capitale europea della cultura per l'anno 2025. È un limes fertile e generoso questo goriziano, di cui il territorio stesso, come anche i suoi abitanti si fa portavoce. Sono sbocciate per me amicizie preziose, ho cercato, incontrato, approfondito relazioni che si sono schiuse con generosità al pari della stessa bellezza caratterizzante le Rose goriziane. Dunque a Gorizia ed alle goriziane, che ho avuto il piacere di conoscere, mi rivolgo, come ad un amore lontano e scrivo una lettera piena di ricordi dei bei momenti trascorsi insieme. Fino alla prossima occasione, a rebours, alla maniera di Huysmans perché io so che a Gorizia tornerò e, chi sa, forse per restare.