Il centenario della Grande
Guerra è ormai passato e l’inizio della Primavera, con il trionfo di colori nei
giardini e nell’aria: cieli più limpidi e cespugli di forsizie e di chaenomeles japonica nelle diverse tonalità dal rosa pallido al
rosso fanno capolino tra le ringhiere delle case. Obbligo, quindi, guardare
avanti ed iniziare a programmare gite fuori porta, alla scoperta delle
meraviglie del nostro territorio. Un
territorio internazionale, il nostro, perché ormai non c’è giorno in cui, per
un motivo o per l’altro, non ci si rechi a Salcano, o a San Pietro o a Nova
Gorica. Una volta, per definire la meta oltreconfine, era uso dire: vado di là.
Oggi, di giorno in giorno, matura la consapevolezza di un unicum ed anche la
pausa pizza la si fa a Rozna Dolina, subito dopo il sottopassaggio
della ferrovia dove, fino al 1990 campeggiava il grande cartello “Jugoslavia”.
Rozna Dolina o Valdirose o Borgo Rosenthal, com’era comunemente ed indifferentemente
chiamata la zona, a ridosso del confine e alle pendici della collina del Rafut,
sulla direttrice che collega Gorizia con la valle del Vipacco. Un nome la cui
origine non è chiara, tenuto conto che i numerosissimi vivai presenti nell’area
risalgono soltanto a metà dell’800, come ampliamente ha illustrato Liubina
Debeni Soravito nella sua ricerca storica pubblicata sulla rivista Borg San Roc
e, fortunatamente, disponibile online.
Sta di fatto che se non si
conosce l’origine del nome della località Val di rose è comunque certo che la
rosa ha trovato un ambiente assolutamente ideale nel quale crescere. Come ben
lo dimostra il roseto del convento della Castagnavizza che a maggio si offre
allo sguardo dei visitatori in tutta la sua magnificenza. Soprattutto con il
tripudio di rose Bourbon. Un implicito ed involontario omaggio a coloro i quali
sono seppelliti nella cripta del convento: gli ultimi Borboni di Francia.
Insomma, se Gorizia, a
proposito di rose, non era famosa soltanto per il radicchio che decorava la
tavola imperiale ma anche per il fiore che veniva coltivato nella Valdirose,
all’epoca dell’impero austroungarico, questo indiretto omaggio agli ultimi re
di Francia è la dimostrazione tangibile di come l’anima della sua gente è
capace di esprimere e coniugare sensibilità, onore, bellezza.
Ed è lì, a 800 metri, tondi
tondi dal confine che almeno dal punto di vista fisico non c’è più e forse
ancor meno, in linea d’aria, dal convento di Castagnavizza, il cimitero ebraico
racconta una città che non dovrebbe smettere mai di interrogarsi sulla propria
storia.
Riflettevo a questo
proposito una decina di giorni fa, mentre salivo il monte San Gabriele,
fermandomi ad ogni tappa del percorso storico, non per la mancanza di fiato, ma
per leggere. Per conoscere. E’ veramente encomiabile, infatti, il lavoro che la Slovenia
ha realizzato in occasione del centenario della Grande guerra. Un percorso
storico e didattico, in sloveno, italiano, inglese e tedesco, per spiegare ciò
che i libri di storia non hanno mai realmente e correttamente raccontato. Una
cartellonistica esaustiva (realizzata in partnership con l’Italia) che è di
denuncia, di monito e non certamente di celebrazione. Ed è per questo motivo
che ho considerato, che dire …. raccapricciante? il manifesto utilizzato per la
mostra “Dal Piave all’Isonzo” organizzata dal Comune di Gorizia, in
collaborazione di enti ed associazioni qualificate. Ma nessuno, Diomio, si è
posto il problema che un bersagliere sorridente è un oltraggio alla memoria
delle migliaia di morti, qualsiasi divisa essi abbiano indossato?