All’interno di questa visione plurale si inserisce con forza la proposta di Guido Germano Pettarin, da anni convinto sostenitore di una Gorizia “XXL”, finalmente riunita con Nova Gorica in un’unica entità urbana, culturale e – auspicabilmente – anche amministrativa. La sua è una visione forte, ottimista, programmatica. Una visione che poggia su basi storiche e simboliche, ma anche su proposte concrete: trasporti unificati, teleriscaldamento condiviso, una regia europea per affrontare le disparità fiscali e salariali, una progettualità comune per il commercio e la cultura. Eppure, qualche dubbio resta.
Davvero – mi chiedo – chi vive da una parte e dall’altra del confine si sente già parte di una stessa comunità? Pettarin sostiene di sì, almeno per le generazioni più giovani. L’inglese, dice, è la nuova lingua franca che abbatte i muri. Gli anziani, invece, portano ancora ferite aperte, e non si può che comprendere il peso delle storie familiari. Ma basterà l’inglese – mi chiedo – a tener viva la memoria plurilingue di questo territorio? Pettarin risponde che le lingue storiche non devono essere sostituite, ma integrate: friulano, sloveno, italiano, tedesco… e perché no, anche l’ebraico. Un mosaico da ricomporre.
Certo, la Capitale europea della cultura 2025 ha dato una spinta decisiva. Ma cosa accadrà dopo? Pettarin è chiaro anche qui: “Go!2025 è un trampolino, non un traguardo”. Sta a noi non disperdere l’energia, non ridurre tutto a una “bellissima e costosissima festa di paese”. La sfida è quella di proiettarsi al 2055, non di fermarsi al 2025.
È una visione che entusiasma, ma che solleva anche domande. Come coinvolgere davvero chi la città la abita giorno per giorno? Come evitare che questo futuro, immaginato con passione, escluda chi ha uno sguardo più cauto, o semplicemente diverso? Pettarin non teme il confronto. Anzi, lo reclama. Con franchezza. Con qualche spigolo. Perché – dice – oggi ogni luogo di cultura dovrebbe tornare a essere un agone di discussione. I cineforum sono spariti, i partiti sono diventati comitati elettorali, i social offrono solo superficie. Ma proprio per questo, forse, ogni spazio è buono per riprendere a parlare davvero. Di città. Di identità. Di futuro.
Come sempre, più che una sintesi definitiva, queste righe vogliono essere un invito al confronto, alla partecipazione, alla costruzione paziente e collettiva di un orizzonte comune. Perché ogni città – e a maggior ragione una città di confine – è fatta di voci che si incontrano, si intrecciano, si ascoltano.
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