Insegnante al Liceo Artistico “Max Fabiani” di Gorizia, poeta in bisiaco, pittore dell’anima. Ivan Crico è una delle voci più profonde e autentiche del nostro territorio. Lo abbiamo incontrato per il podcast Voci dal Confine in un momento particolare: è tra i protagonisti della programmazione artistica dell’associazione QuiAltrove, impegnata a rivitalizzare via Rastello nel cuore di Gorizia, nell’ambito di GO!2025. Ma Ivan non si limita a esporre: lui semina, riflette, denuncia, costruisce connessioni. Quella che segue è l’intervista integrale, in forma scritta. Un viaggio tra paesaggi interiori, lingua madre, visione e responsabilità artistica.
Marilisa: Ivan, grazie per aver accettato il nostro invito. Iniziamo dal tuo legame con il Friuli. Non è solo il luogo in cui vivi, ma è il tuo paesaggio interiore?
Ivan Crico: Sono nato in una casa a poche decine di metri dall’argine dell’Isonzo, a Pieris, una delle ultime case del paese, al confine con un mondo selvaggio che mi chiamava — e al quale rispondevo ogni giorno con lunghissime camminate, spingendomi quasi fino alle foci del fiume. Sentivo, fin da bambino, che solo lasciando da parte ogni sovrastruttura, dimenticandomi di me stesso per potermi fondere con quel paesaggio, sarei riuscito a emanciparmi dalle gabbie interpretative in cui, come accade a ogni bambino, ero stato rinchiuso fin dalla nascita. Questi paesaggi sono dunque soprattutto interiori. Ma il luogo in cui sono nato è anche un paesaggio esteriore ricchissimo e variegato: in pochi chilometri si incontrano il mare, il fiume, il Carso, la pianura, le foci del Timavo — un fiume oscuro, misterioso. Questo paesaggio è diventato per me una porta, una soglia da cui accedere alla complessità del mondo. Ecco perché non mi sono mai accontentato di ciò che ci viene spacciato come vero, di ciò che crediamo certo. Non bisogna mai fidarsi della strada più breve o più comoda.
Marilisa: Scrivi in bisiaco, una lingua minoritaria che pochi conoscono davvero. Perché hai scelto – o forse dovremmo dire: perché ti ha scelto – questa lingua?
Ivan Crico: Ho iniziato a nominare le cose del mondo esclusivamente nella lingua di mia madre: la parlata bisiaca. L’ho assorbita vivendo con lei, con i suoi parenti, nel paese in cui sono nato. Fin dai primi giorni di vita, quella era l’unica lingua che conoscevo. Le prime parole in italiano le ho pronunciate soltanto quando sono andato alle scuole elementari, e per questo ho sempre percepito l’italiano come la mia seconda lingua. Sono arrivato alla scrittura in bisiac dopo aver letto le poesie friulane di Pasolini. Fu per me una vera e propria folgorazione ritrovare, in versi di così alta poesia, gli stessi termini che usavamo in casa. Da lì è nata la scelta di scrivere impiegando il linguaggio che avevo ascoltato fin da bambino: la lingua di mia madre, che proviene da una famiglia molto antica di Pieris, la cui presenza è attestata sin dall’epoca medievale. Ho avuto il privilegio di sentirla parlare il bisiac in una forma ancora molto ricca, solo in parte segnata dall’influenza dell’italiano e del triestino.
Marilisa: Cosa cambia, secondo te, nel dire le cose in bisiaco? Cosa può fare la poesia in una lingua fragile?
Ivan Crico: Nel mio caso, questo idioma così particolare mi aiuta profondamente: le sue parole, forgiate dal paesaggio e dal lavoro delle genti, sono per me una manifestazione sorgiva dell’essenza più autentica di questi luoghi. Proprio grazie alla sua ricchezza e varietà, mi permette di esprimere con maggiore precisione ciò che sento e penso, mentre mi muovo all’interno di questo mio mondo. Ogni lingua, del resto, possiede una sua nobiltà. E ogni poeta ha il compito di filtrarne, nel modo più intenso ed esatto possibile, la sua essenza.
Marilisa: Accanto alla parola, c’è la pittura. I tuoi quadri sono come poesie visive. Cosa ti spinge a unire questi due linguaggi?
Ivan Crico: Nel momento in cui sento il bisogno di comunicare qualcosa — di portare alla luce e dare forma a sensazioni, visioni o pensieri — non mi pongo alcun problema nel scegliere, di volta in volta, gli strumenti che mi sembrano più adatti per portare a termine questa urgenza espressiva. A volte sono le parole a imporsi, attraverso la poesia, la prosa o la riflessione critica. Altre volte, invece, è il silenzio del gesto a dominare: i colori che si dispongono sulla carta o sulla tela. Ma ho lavorato anche con altri linguaggi espressivi, più vari: dalla fotografia alla performance. Non voglio pormi limiti nel momento in cui sento la necessità di condividere qualcosa e strutturarla all’interno di una forma compiuta.
Marilisa: In via Rastello, a Gorizia, è stata aperta da poco una sala mostre dove stai esponendo in questo momento dei tuoi lavori. Che tipo di spazio è? E perché è stata scelta proprio quella via, così simbolica per la città?
Ivan Crico: Sono felice di poter contribuire, assieme all’artista Manuela Sedmach, allo sviluppo dell’associazione culturale QuiAltrove, vincitrice di un bando molto interessante volto alla rivitalizzazione di una storica via di Gorizia. Le attività che si stanno svolgendo in questo momento, all’interno della ricca proposta di GO!2025 – Gorizia/Nova Gorica, Capitale Europea della Cultura, hanno infatti bisogno di non restare semplici eventi estemporanei, ma di diventare semi: semi da piantare nel cuore della città, con uno sguardo rivolto al futuro. Per questo motivo anche la nostra mostra non è pensata solo come un’occasione per esporre dei lavori, ma come un progetto espositivo articolato, che comprende presentazioni di libri, performance musicali, letture poetiche. Tutto è nato dall’idea di un’arte che sia strumento di condivisione e di dialogo tra le persone.
Marilisa: Sei molto presente anche sui social, e non solo per parlare d’arte. Denunci con forza certe derive, certe ipocrisie del nostro tempo. È una forma di militanza artistica?
Ivan Crico: Ogni artista deve attraversare un lungo e silenzioso apprendistato interiore per affinare la propria attenzione, imparando a scorgere, anche negli aspetti più umili della realtà, paesaggi meravigliosi. Come si può, allora, non contrastare chi agisce in direzione opposta, perseguendo scopi meramente venali? Chi sceglie consapevolmente la semplificazione al posto della complessità, il bianco e nero al posto delle sfumature, creando confini tra gli esseri umani, dividendo le persone tra amici e nemici? È per questo che l’arte non può essere disgiunta da un impegno civile. Non avrebbe senso battersi per liberarsi da visioni preconcette e poi lasciarsi soggiogare da chi trae forza proprio da quelle stesse visioni.
Marilisa: L’arte, la lingua, l’impegno: tutto sembra intrecciarsi nel tuo lavoro. Cosa ti auguri che resti, un giorno, delle tue parole e dei tuoi colori?
Ivan Crico: Ho sempre inteso l’arte — fino a quando mi sono imbattuto nelle opere dei grandi maestri, da Leonardo a Bach — come un invito ad oltrepassare se stessi. Questo è ciò che spero possa trasparire dalle tracce di me stesso che sono le mie opere, se mai sopravviveranno nel tempo e raggiungeranno qualcun altro, in questo o in altri tempi, disposto, come me, a mettersi in gioco per vedere cosa può accadere nel momento in cui ci si avventura lungo le strade - prive sempre di ogni protezione - della ricerca.
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