Raoul Pupo, storico e attento osservatore del confine orientale italiano, in un approfondimento pubblicato sul quotidiano "Il Piccolo" il 12 giugno 2025, evidenzia come le tracce del passato siano ancora vive e forti. A partire dagli anni ’60 dell’800, scrive Pupo, Trieste si era definita – per bocca della sua classe dirigente – prima città italiana e poi città italianissima e irredenta, proiettando tale immagine anche all’indietro nei secoli e finendo per diventare il simbolo stesso dell’identità nazionale ai tempi della Grande guerra, combattuta proprio per lei e per Trento. Ma il 1° maggio del 1945 questa narrazione si interrompe bruscamente, per lasciar spazio a un’altra storia: quella di Trieste come polmone della Slovenia, simbolo del riscatto degli slavi del sud oppressi dal fascismo, della rivincita dello Stato jugoslavo aggredito e sbranato da Mussolini e da Hitler, della conquista del cielo da parte di una classe operaia che alla patria del Risorgimento preferisce quella del socialismo. Un rovesciamento sconvolgente, aggravato dai modi in cui è avvenuto: attraverso un vero e proprio bagno di sangue.
Quella che si è abbattuta sul colle di San Giusto – continua Pupo – è l’onda di una rivoluzione, in cui antagonismi nazionali e sociali si fondono. E le rivoluzioni si fanno con il terrore. Le autorità comuniste jugoslave, in tutta la Venezia Giulia, usarono il pugno di ferro contro i loro avversari. L'occupazione jugoslava del 1945, gli esodi e le dolorose divisioni politiche hanno segnato indelebilmente le comunità locali, lasciando ferite che, in qualche misura, sono ancora aperte.
Kaja Širok, storica e museologa slovena, già direttrice del progetto GO!2025, aggiunge un tassello fondamentale a questa riflessione nel suo saggio "La fragilità della memoria", pubblicato sulla rivista "Qualestoria" nel giugno 2016. Širok ci spiega che la memoria collettiva non è un semplice ricordo: è una narrazione potente, costruita su storie familiari, emozioni profonde e percezioni soggettive. La storia della frontiera orientale italiana, e del suo versante sloveno occidentale, è una storia complessa e difficile da spiegare: lapidi e monumenti, vie e piazze, città multiculturali con rivalità interne e diverse interpretazioni del passato, manifestazioni territoriali e scelte identitarie, ricordi personali e memorie collettive. Quasi sempre le interpretazioni hanno radici familiari, cariche di emozioni trasmesse da nonni a nipoti: storie di sopravvivenza e protezione dei confini dello spazio e delle comunità. Il modo in cui le memorie sono collegate a eventi passati riflette l’appartenenza individuale che si costruisce nel modo in cui i gruppi diversi ricordano e mantengono le loro rappresentazioni del passato. Questa memoria, come una mappa mentale, influenza il presente e guida le aspettative per il futuro, mantenendo spesso vivi stereotipi e divisioni.
Tuttavia, qualcosa sta cambiando. Dal 2004, con l'abbattimento della frontiera fisica, italiani e sloveni si incontrano sempre di più. Associazioni culturali transfrontaliere e festival condivisi, come Gusti di Frontiera, mostrano il lato migliore di questa convivenza, evidenziando quanto la diversità possa essere una risorsa e una ricchezza.
E ora, con Gorizia e Nova Gorica, Capitali Europee della Cultura nel 2025, si apre una nuova grande occasione: quella di superare finalmente il confine più ostinato, quello che ciascuno di noi porta dentro sé stesso. Una sfida che, forse per la prima volta, potrà trasformare la convivenza tra italiani e sloveni da semplice vicinanza a un vero incontro.
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