Il nome stesso della città, di origine slava, compare per la prima volta nel 1001, in un documento imperiale. Da allora Gorizia ha intrecciato popoli, idiomi, religioni. Non solo convivevano: si parlavano, si ascoltavano. La Chiesa locale predicava regolarmente in quattro lingue, e il Seminario Teologico Centrale – fondato nel 1818 – formava appositamente il clero per servire comunità multilingui. Anche la nobiltà si muoveva tra più mondi: famiglie italiane, tedesche, slovene che parlavano quattro o cinque lingue e ricevevano incarichi diplomatici per la loro capacità di “abitare” il confine.
E poi c’era la letteratura: in friulano, più di seicento opere dal Cinquecento a oggi. In sloveno, la voce potente di Alojz Gradnik, che tradusse Dante. In tedesco, gli scritti di Otto von Leitgeb, primo autore a raccontare il Friuli in quella lingua. Ma tutto questo subì una drammatica cesura nel Novecento. Il fascismo vietò l’uso pubblico delle lingue diverse dall’italiano. E nel 1947, il nuovo confine tagliò in due la città, dividendo famiglie, storie, memorie. Fu una ferita profonda.
Eppure Gorizia ha continuato, silenziosamente, a conservare il seme della sua pluralità. Come scriveva lo storico Sergio Tavano, il Goriziano è una “somma inestricabile di componenti”. Non è solo questione di lingue diverse che coesistono, ma di un’identità complessa, fluida, stratificata. Una città europea prima ancora che l’Europa esistesse, come ricordava Graziadio Isaia Ascoli. Non semplicemente “austriaci” o “italiani”: europei. Questa mostra, che consiglio davvero di visitare, non è solo un racconto del passato. È un invito a guardare Gorizia con occhi nuovi. A riscoprire la sua anima plurale in un momento storico in cui la convivenza sembra sempre più difficile. Perché, come ci insegna la storia di questa città, la diversità non è un ostacolo. È una ricchezza da custodire, da raccontare, da vivere.
P.S.: La mostra alla Filologica Friulana in via Ascoli 1 è aperta al pubblico e merita davvero una visita. Ci sono pannelli, documenti, libri e storie che raccontano un’altra Gorizia – più profonda, più vera. Io ci sono stata, e ne sono uscita con una domanda in testa: E se il futuro passasse proprio da qui, da una città che ha saputo far dialogare le differenze?
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