Liubina Debeni voce del verde e della memoria

Ci sono conversazioni che non sembrano interviste. Sembrano passeggiate. Magari la domenica mattina, quando la città dorme ancora e il silenzio permette ai pensieri di sbocciare piano. Così è stato l’ incontro con Liubina Debeni, che a Gorizia tutti conoscono per la sua voce mite e il suo sguardo attento, per i libri che conserva e per i giardini che racconta.

Ho scelto di intervistarla per il podcast Voci dal confine perché penso che il suo lavoro per la città — discreto ma prezioso — meriti visibilità e gratitudine. Il premio San Rocco è un riconoscimento autorevole, certo. Ma le targhe si impolverano, le parole no. Raccontare la sua storia è un modo per farla vivere, per trasformare la memoria in coscienza collettiva.

Io la chiamavo Violetta, da bambina. Giocavamo in Piazzutta, tra le case basse, le risa leggere e una quotidianità che aveva ancora il sapore delle cose semplici. Oggi la ritrovo così, custode di radici — vere e simboliche — capace di legare memoria e paesaggio con la stessa cura con cui si sistema un mazzo di fiori. «Quando si è bambini» — mi racconta — «il mondo è la propria casa e il cortile, soprattutto se si è femmine. Poi pian piano si allarga: il rione, la città, la periferia... Ogni rione è un microcosmo, un primo luogo di aggregazione. Piazzutta è uno dei più antichi borghi della città. Forse da lì è nata la mia curiosità per la storia locale, una passione che non mi ha mai lasciata.» Liubina non ha mai lasciato davvero Gorizia, nemmeno nei pensieri. Le sue radici sono lì, anche nella bottega di fiori dei suoi genitori, un negozio che per lei era un mondo intero.

«I miei genitori erano fiorai già prima di sposarsi. Dopo il matrimonio hanno deciso di aprire un’attività tutta loro. Sono cresciuta circondata dai fiori, imparando a riconoscerli, ad amarli. Ogni stagione aveva un suo profumo: il calicanto d’inverno, le violette di primavera, le tuberose per i mazzi da sposa, l’alloro per le ghirlande del 4 novembre… Ma ricordo anche i momenti più tristi: quando bisognava confezionare ghirlande con fiori bianchi per un giovane che se n’era andato troppo presto.» Poi la scuola, l’insegnamento. Liubina è stata maestra d’infanzia, di quelle che insegnano più a cercare che a trovare. «Essere insegnanti è una responsabilità grande, anche con i più piccoli. Il compito non è solo trasmettere sapere, ma accendere il desiderio di imparare. È quello che ho cercato di fare, e che ancora oggi provo a fare con i miei studi su Gorizia.»

Da anni, infatti, Liubina collabora con Italia Nostra, l’associazione che tutela il patrimonio culturale e naturale. «Mi sono iscritta perché condividevo i loro obiettivi. Dal 2003 sono nel direttivo della sezione di Gorizia, fondata nel 1969 grazie al conte Guglielmo Coronini. Ho sentito subito il bisogno di salvare e mettere ordine nei materiali della sezione: libri, riviste, documenti... Ho raccolto migliaia di volumi, ho creato un sistema di catalogazione tutto nostro, fuori dai grandi circuiti, ma efficace. La biblioteca è diventata un luogo vivo, consultabile da chiunque voglia conoscere meglio la nostra città.»

Nel frattempo Liubina ha continuato a studiare e scrivere. Dal vivaismo goriziano ottocentesco alla storia dei giardini, dai personaggi locali alla botanica urbana. Un lavoro silenzioso, ma prezioso. «Gorizia è sempre stata una città verde. Non è un caso: il clima, la posizione tra colline e pianura, la cultura diffusa del verde privato e pubblico... Già nell’Ottocento esistevano stabilimenti di floricoltura noti anche oltre confine. A me piacciono tutti gli angoli verdi, ma il mio cuore va al Parco Coronini. Da ragazza ci passavo ogni mattina per andare a scuola. Attraversavo via Scala, passavo accanto a una grata che mi metteva soggezione — sembrava una prigione — poi entravo nel cortile del palazzo. Quegli alberi, quegli angoli ombrosi, mi hanno sempre parlato.»

Non tutto però è rimasto intatto. «La città storica è più o meno quella dei miei ricordi. Ma le periferie sono cresciute, e i negozi, le botteghe, stanno sparendo. Troppe serrande chiuse. E c’è un certo lassismo, un’incuria del quotidiano che mi dispiace. Perché Gorizia è la mia città, lo è stata fin da bambina, e vorrei che fosse amata come merita.» Non è nostalgia. È amore attivo. Lo si capisce quando parla degli alberi, come se li conoscesse uno ad uno. «Le piante non parlano, ma si fanno capire. Ti dicono quando hanno sete, quando soffrono. Crescono meglio se sono vicine, come noi. Trasmettono energia positiva.

Dal 2020 scrivo su “Gorizia News & Views” una rubrica: ogni mese, un albero cittadino. È un modo per osservare, per camminare con attenzione. Invito tutti a farlo, magari la domenica mattina presto: si scoprono angoli nuovi, che la fretta nasconde.» Liubina cammina tra le stagioni come si cammina tra le pagine di un libro. E alla fine le chiedo: se potessi lasciare un’eredità verde, quale sarebbe? Sorride. «Una città vivibile. Dove si può convivere nel rispetto reciproco e in armonia con la natura. E, se devo lasciare un segno, allora pianto una violetta. È la pianta della mia infanzia, del mio soprannome. E un po’ anche del mio carattere.»

Nessun commento:

Posta un commento