Ci sono tornata molte volte, in stagioni diverse. Ogni volta il paesaggio cambia leggermente colore, ma la sensazione è la stessa: quella di entrare in uno spazio sospeso, fuori dal tempo. Appena posso ci accompagno gli amici, con discrezione, quasi con rispetto. Non è un luogo facile da trovare, né comodo da raggiungere. E forse è giusto così.
Perché San Marco a Belvedere è un luogo magico, fragile nella sua bellezza. Una chiesa immersa nella sabbia e nella leggenda, protetta dal fruscio dei pioppi e dal volo basso dei gabbiani. Non è fatta per le folle. Sarebbe un peccato snaturarne l’anima con l’invasione distratta del turismo mordi e fuggi.
Chi arriva fin lì lo fa per scelta, in cerca di quiete e meraviglia. E se ci va in silenzio, con lo sguardo aperto, potrà forse udire l’eco lieve di una voce antica, portata dal vento della laguna.
San Marco
Sulla sommità di una delle ultime dune sabbiose che guardano verso la laguna di Grado, sorge silenziosa la chiesa di San Marco Evangelista, a Belvedere, piccola frazione nel territorio di Aquileia. Lì dove il paesaggio si fa rarefatto e il vento porta l’odore del mare e delle pinete, questa chiesa racconta una storia antica, fatta di fede, di trasformazioni e di memoria.
Secondo la tradizione, proprio qui sarebbe approdato San Marco evangelista, durante uno dei suoi viaggi. Sceso a terra, avrebbe iniziato a diffondere il rito liturgico che da lui prese il nome: il rito marciano, poi adottato a Venezia, distinto per stile e articolazione da quello romano. È una leggenda che attraversa i secoli e che dona a questo luogo un’aura particolare, come se ogni pietra serbasse ancora l’eco di una voce antica.
Accanto alla chiesa, sgorga una piccola fonte d’acqua, ritenuta per molto tempo miracolosa. Era un punto di sosta per i pellegrini e per i viandanti che attraversavano la fascia perilagunare, e la sua presenza contribuisce a rafforzare il senso di sacralità e accoglienza che questo luogo emana.
Già in epoca altomedievale, in quel punto si ergeva un luogo di culto. Ne sono testimonianza le sepolture e le fondamenta emerse durante gli scavi del 1989, tracce di un’umanità che aveva scelto quel promontorio naturale per rivolgersi al cielo. Ma è nel Seicento che la chiesa assume nuova forma, grazie ai Savorgnan, signori della zona. A loro si deve la ricostruzione dell’edificio, poi nuovamente ampliato nel 1746 per volere del conte Francesco Savorgnan, che lo volle più grande, più luminoso, più degno della devozione del luogo. Tre anni dopo, l’edificio venne consacrato dall’ultimo patriarca di Aquileia, Daniele Dolfin. A metà Ottocento, le cappelle laterali furono aggiunte per accogliere ancor più fedeli e arricchire la struttura con nuove funzioni liturgiche.
Oggi, chi arriva sul sagrato viene accolto da un mosaico raffigurante un pavone, simbolo cristiano di vita eterna e risurrezione, un evidente richiamo all’eredità musiva di Aquileia. La chiesa si presenta con la facciata rivolta a occidente, e il campanile si innalza deciso sul lato sud, come un faro tra terra e cielo. All’interno, la navata unica custodisce opere d’arte che raccontano l’influenza veneziana sul territorio: statue di angeli scolpite da Giovanni Maria Morlaiter e una pala d’altare, oggi conservata a Gorizia, opera del pittore Gianantonio Guardi, che aveva soggiornato a Belvedere per ritrarre la Madonna del Rosario circondata da santi protettori e da San Marco, patrono della chiesa.
Tutto intorno, il paesaggio conserva un equilibrio raro tra natura e storia: dune antiche, boschi planiziali, specchi d’acqua lagunari. Un contesto ambientale di pregio, tutelato come patrimonio regionale per le sue qualità eccezionali. È qui, nel silenzio del vento e nella luce cangiante della laguna, che la chiesa di San Marco continua a vegliare sul confine tra terra e acqua, tra leggenda e presente.