Quando si pensa alla provincia di Padova, il pensiero corre subito alle eleganti ville venete che punteggiano la campagna, testimoni di un passato di nobiltà e bellezza. Ma accanto a questo patrimonio di architettura e arte, esiste un'altra anima del territorio, più raccolta e silenziosa: quella dei monasteri. Se le ville raccontano la vita mondana, i monasteri sussurrano la storia di una spiritualità operosa, fatta di preghiera, lavoro e armonia con la natura. Luoghi dove il tempo sembra essersi fermato e dove la bellezza si manifesta nella semplicità di un chiostro, nel profumo di un'antica spezieria o nel rigore di una biblioteca millenaria.
In circa due ore di macchina si arriva all'uscita dell'autostrada di Terme euganee. Basta percorrere, quindi circa 170 chilometri da Gorizia per imbattersi nel castello del Catajo (che va assolutamente visitato) e da lì raggiungere facilmente queste tre isole di pace: L'Abbazia di Praglia, incastonata tra i Colli Euganei, con i suoi chiostri rinascimentali e la preziosa biblioteca, uno dei simboli della tradizione benedettina, dove ancora oggi la vita si svolge secondo la regola dell'ora et labora; il Monastero di San Daniele, con la sua vista mozzafiato sui colli, spazio di ritiro dove il silenzio si mescola ai profumi del bosco e l'Abbazia di Carceri, un piccolo gioiello che affonda le radici nel Medioevo, esempio di come la fede abbia modellato il paesaggio. In tutti e tre i monasteri si intrecciano cultura, spiritualità e tradizioni artigianali. Qui si producono mieli, tisane, cosmetici naturali, libri e manufatti artistici, frutto di una sapienza antica che resiste al tempo, ed anche un ottimo vino. Il vino: gran bella scoperta quella fatta l'ultima domenica di febbraio quando, dopo una mattinata a curiosare tra le bancarelle del mercatino di Piazzola sul Brenta, che si svolge l'ultima domenica di ogni mese, sono arrivata al Monastero di Praglia dove mi ero ripromessa di accompagnare una coppia di amici bolognesi e dove, personalmente, avevo chiesto un colloquio con l'Abate per i motivi che tra un po' condividerò.
Da tempo avevamo deciso di trovarci a metà strada e fare una full immersion culturale e spirituale. Era da un bel po' che desideravo ritornarci. C'ero già stata altre volte ed avevo avuto anche l'occasione di visitare la bellissima e antica biblioteca monumentale che, purtroppo, è possibile visitare soltanto in determinati orari, ovvero il secondo e quarto sabato del mese alle quattro del pomeriggio. Ovviamente, un discorso a parte è la biblioteca vera e propria alla quale si può accedere ogni giorno, con eccezione del lunedì per attività di studio e di ricerca.
In occasione della penultima visita avevo avuto modo di scoprire, sentito l'inconfondibile dialetto bisiaco, che il monaco il quale ci aveva accompagnati nella esplorazione del monastero era originario di Monfalcone. Ma lo stupore (e devo dire anche il piacere) è aumentato notevolmente, quando il monaco/guida ci ha precisato che l'Abate del monastero è un goriziano. Ovvio che, appena rientrata a casa, avevo voluto approfondire la questione ed era sorto, immediatamente, il desiderio di conoscerlo. Perchè non accade tuti i giorni che un uomo decida di interrompere una promettente carriera scientifica per farsi monaco.
All'epoca della sua nomina, sei anni fa, la stessa fece infatti molto scalpore e tutti i quotidiani nazionali ne parlarono diffusamente. Il motivo è presto detto: Stefano Visintin, come racconta il Corriere della sera, prima di approdare la vita monastica, aveva una carriera già ben avviata. A meno di trent'anni, infatti, si occupava di acceleratori di particelle nell’ambito di un progetto dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare.
Ero impaziente di incontrare Dom Visintin, perché avevo tre domande da porgli. Erano quesiti difficili, che mi tormentavano da tempo e che non avrei mai osato rivolgere a un monaco o a un sacerdote, se non fossimo stati accomunati dalle stesse origini e dalla sua solida formazione scientifica. Le sue risposte le avrei poi raccolte in questo Blog. Ma nel momento in cui ho terminato di trascrivere la registrazione, perchè non volevo perdere nulla di quanto mi sarebbe stato spiegato, mi sono resa conto che ragionamenti così delicati e complessi mal si coniugano con la leggerezza di un Blog. Custodisco, pertanto, (solo per me) le argomentazioni che avevamo sviluppato nella chiaccherata nell'accogliente saletta all'interno del Monastero in un file da archiviare nel Cloud.
Non credo che, a questo punto, debba necessariamente raccontare qualcosa in più sulle ragioni della scelta di questo cittadino illustre! Perchè le motivazioni che lo hanno indotto alla radicale decisione sono tutte disponibili online e quindi accessibili da parte di tutti. Sta di fatto che dopo aver approfondito gli studi in fisica nucleare, Visintin ha scelto di intraprendere il percorso monastico, dimostrando che la ricerca della verità e la comprensione del mondo possono prendere forme diverse. La sua formazione scientifica, basata su rigore e metodo, si intreccia ora con la dimensione spirituale e contemplativa della vita monastica, ovvero la ricerca del trascendente. Questa fusione di esperienze e competenze testimonia una visione del mondo in cui conoscenza e fede coesistono. Si può dire quindi che l'abate Stefano Visintin rappresenta l'esempio più eclatante del connubio tra scienza e spiritualità. Emblematico, quindi, il titolo del suo libro uscito proprio ieri, E Dio disse: sì alla scienza! Il pensiero mistico e spirituale di Teilhard de Chardin, per i tipi della Queriniana
Chi crede che i monaci siano solo custodi del passato e che la loro vita sia esclusivamente dedicata alla preghiera si sbaglia di grosso. La vita monastica è un equilibrio dinamico tra tradizione e innovazione, tra contemplazione e azione. Oltre alla preghiera, i monaci si dedicano allo studio, alla ricerca, al lavoro manuale e intellettuale. Insomma, il monachesimo non è un rifugio dal presente, ma una dimensione che offre strumenti di riflessione, disciplina e conoscenza applicabili anche al mondo moderno, non trascurando il fatto che i monasteri devono autofinanziarsi.
Ed ecco che il vino ritorna in primo piano! Non senza mascherare un po' di orgoglio l'Abate ci ha raccontato, infatti, che l'Abbazia produce 60.000 bottiglie di vino e, complessivamente, ben 1.000 ettolitri, per lo più di ottimo spumante. Insomma, il far parte del Consiglio d'amministrazione del Consorzio dei vini dei colli euganei doc non è altro che proseguire sulla strada avviata dal mitico Dom Pérignon. Ma se tutti sanno che il Dom Pérignon è un prestigioso champagne millesimato, cioè prodotto solo nelle annate migliori con uve provenienti esclusivamente da quell’anno prodotto dalla maison Moët & Chandon e simbolo di lusso ed eleganza, credo siano in pochi a sapere che prende il nome dal monaco benedettino Dom Pierre Pérignon.
Dom Perignon è stato un monaco benedettino francese nato intorno al 1638 e morto nel 1715, che visse nell'Abbazia di Hautvillers, in Champagne. La sua figura è diventata leggendaria nell'ambito della vinificazione, in particolare per il suo contributo nel perfezionare il metodo di produzione dei vini spumanti. Anche se non tutti sono convinti che "inventò" il metodo da zero, le sue innovazioni – come la selezione accurata delle uve, il miglioramento della gestione delle fermentazioni e l'arte del miscelamento – hanno giocato un ruolo fondamentale nel trasformare la produzione del vino in Champagne, contribuendo alla nascita di uno dei vini più famosi al mondo.
Il metodo, noto come metodo champenoise o, più recentemente, come metodo tradizionale o classico è il metodo utilizzato per produrre lo spumante di Praglia che offre una selezione capace veramente di soddisfare tutti i gusti.
Praglia, quindi, in una gita fuori porta per sperimentare una accoglienza silenziosa, misurata, quasi sospesa. Non c'è fretta nei monasteri, e questo già disorienta. Il chiostro invita a rallentare il passo, a lasciare fuori il rumore, a riscoprire una lentezza che non è perdita di tempo, ma un modo diverso di abitarlo. Le mura spesse custodiscono secoli di preghiere e di vita, mentre la luce filtra discreta tra le pietre, creando giochi di ombre che sembrano dialogare con il silenzio.
Si torna a casa con la sensazione che qualcosa, dentro, sia stato messo a posto. Come se, per qualche ora, la vita avesse ritrovato il suo giusto respiro. Insomma, una esperienza che non delude mai. Superare la porta di un monastero è come oltrepassare una linea di confine, varcare una soglia invisibile dove il tempo assume un ritmo diverso. Fuori il mondo corre, si affanna, si consuma nella fretta di fare, di possedere, di arrivare. Dentro, tutto rallenta, si fa essenziale.
Anche nel piccolo negozio dove i monaci offrono, in vendita, non soltanto la loro produzione di ottimi vini ma anche creme curative si respira un'atmosfera sospesa, dove il tempo sembra rallentare. E' un luogo discreto, quasi appartato, piccolo mondo dentro il mondo, dove il frastuono resta fuori e la merce esposta racconta storie di cura e di memoria.
I profumi avvolgono l'aria: lavanda, miele, erbe officinali, oli balsamici. Ogni oggetto ha il sapore di un gesto antico, tramandato con pazienza. I vasetti di marmellata, le tisane, le creme naturali portano con sé un'idea di tempo che non ha fretta, di saperi che si tramandano con le mani e il cuore. La lentezza qui è una virtù, e l'acquisto diventa quasi un rito di rispetto verso chi ha coltivato, distillato, confezionato con discrezione e dedizione.
Poi, ad orari cadenzati, la visita dell'Abbazia. Anche se alla domenica i gruppi di visitatori sono sempre abbastanza numerosi, ci si rende conto subito che il chiavistello che gira nella serratura non chiude, ma apre: lascia fuori il frastuono e invita a entrare in uno spazio sospeso, dove il silenzio diventa linguaggio e la misura delle cose si rivela nella loro semplicità.