La memoria storica e il senso di appartenenza, infatti, sono strettamente intrecciati, come se fossero i fili di un tessuto che dà forma all'identità collettiva di una comunità. La memoria storica rappresenta il ricordo condiviso di eventi, valori e tradizioni che hanno plasmato una società nel corso del tempo. Attraverso la narrazione di queste esperienze, si tramandano le radici culturali e si costruisce un ponte tra passato e presente. Insomma, la nostra memoria storica non si può limitare a ciò che i nostri genitori ci hanno raccontato.
Partiamo, pertanto, da un po' più lontano. Durante il periodo dell'Impero Austro-Ungarico, Gorizia era una città di frontiera con un'importanza strategica e culturale significativa. Situata nel Litorale Austriaco, la città era un crocevia di culture, lingue e tradizioni, grazie alla sua posizione geografica e alla composizione etnica variegata. Era abitata da italiani, sloveni, tedeschi e altre comunità, che convivevano in un contesto multiculturale. La città era nota per la sua architettura elegante, (fortunatamente molti edifici esistono ancora nonostante le due guerre) e per il suo ruolo come centro amministrativo e commerciale. La città ospitava istituzioni educative e culturali che riflettevano la diversità della popolazione. Tuttavia, la sua posizione di confine la rendeva anche vulnerabile alle tensioni politiche e militari, che si intensificarono con l'avvicinarsi della Prima Guerra Mondiale. Dopo la Prima Guerra Mondiale, Gorizia subì profondi cambiamenti politici, sociali e culturali. Con la fine del conflitto e il Trattato di Rapallo del 1920, la città passò dall'Impero Austro-Ungarico al Regno d'Italia. Questo cambiamento segnò l'inizio di un periodo di trasformazioni significative, la prima delle quali fu che divenne parte della provincia di Udine fino al 1927, quando fu istituita la provincia di Gorizia; comunque perse il suo ruolo di centro amministrativo regionale che aveva avuto sotto l'Impero Austro-Ungarico. Altro aspetto cruciale è che durante il regime fascista, ci fu un'intensa politica di italianizzazione, che mirava a sopprimere le identità culturali slovene e tedesche presenti nella regione. Furono chiuse scuole slovene e associazioni culturali, e molti toponimi furono italianizzati. Ad esempio, al cognome di mio padre, nato nel 1920, venne tolta la "g" finale, con decreto prefettizio.
Per Gorizia, con la prima guerra mondiale, ci furono pesanti conseguenze economiche e sociali. Lasciò, infatti, non solo cicatrici visibili nel paesaggio urbano, ma anche profonde ferite economiche e sociali. Durante il conflitto, la città fu duramente colpita: le battaglie lungo l’Isonzo trasformarono Gorizia in un importante teatro di guerra, con bombardamenti che distrussero gran parte del tessuto cittadino, dalle abitazioni alle infrastrutture. Le ferrovie, i ponti e gli edifici pubblici vennero gravemente danneggiati, paralizzando le vie di comunicazione e i commerci locali. La fine della guerra, e l’annessione all’Italia, non coincisero con una pronta rinascita. Anzi, la ricostruzione fu lenta e difficile. Gorizia, che prima del conflitto godeva di una posizione privilegiata all’interno dell’Impero Austro-Ungarico, perse bruscamente i suoi tradizionali mercati di riferimento. I rapporti commerciali con Vienna, Graz, e con il resto dei territori imperiali, vennero interrotti. Le imprese locali, abituate a muoversi all’interno di una vasta area mitteleuropea, si trovarono isolate, costrette a riorientare le proprie attività verso un mercato italiano che, per lingua e modalità economiche, risultava estraneo. L’economia cittadina, un tempo vivace e integrata con quella austro-ungarica, soffrì anche per la crisi agricola delle campagne circostanti, che avevano subito danni enormi a causa delle operazioni militari. Il settore manifatturiero e commerciale faticava a riprendersi, e l’emigrazione di lavoratori sloveni e tedeschi — disincentivati dalle nuove politiche — impoverì ulteriormente la città.
Parallelamente, anche il tessuto sociale di Gorizia venne profondamente segnato dal dopoguerra. Fino alla fine dell’Impero, Gorizia aveva rappresentato un modello, seppur imperfetto, di convivenza tra diverse comunità: italiani, sloveni, tedeschi ed ebrei coesistevano, ciascuno con le proprie scuole, associazioni e luoghi di culto. L’annessione all’Italia e, successivamente, l’avvento del fascismo segnarono però una netta rottura di questo equilibrio. La politica di italianizzazione non solo impose l’italiano come unica lingua ufficiale, ma avviò una sistematica repressione delle culture slovena e tedesca. Le scuole slovene e tedesche vennero chiuse, le associazioni culturali sciolte, la stampa non italiana censurata. Queste misure produssero un clima di crescente tensione e diffidenza tra le comunità. La popolazione slovena, che costituiva una parte rilevante degli abitanti, fu particolarmente colpita: privata dei propri strumenti culturali e linguistici, divenne oggetto di discriminazioni e sospetti, accentuati dalle misure repressive fasciste. Anche la piccola comunità germanofona, già ridimensionata dopo la guerra, si ridusse ulteriormente, contribuendo al progressivo impoverimento del mosaico culturale che aveva caratterizzato Gorizia per secoli. In questo contesto, la città non solo perse il suo ruolo economico centrale nell'area danubiana, ma vide sgretolarsi quel fragile equilibrio sociale che l’aveva resa un crocevia di popoli e culture.
Mi chiedo spesso se, guardando agli eventi di quest’ultimo secolo, sia realistico sperare in un senso di appartenenza condiviso. Ho l’impressione che nelle nuove generazioni questo sentimento manchi, ma non per indifferenza: semplicemente, credo che spesso non conoscano davvero il passato. È proprio da qui che nasce la mia convinzione che la memoria storica di Gorizia, il suo vissuto complesso, sia fondamentale per sviluppare un’identità emotiva legata al territorio. È la conoscenza della storia che ci fa sentire parte di qualcosa di più grande — che si tratti di una comunità, di una città o di un ideale di convivenza. Questo sentimento, se coltivato, non solo rafforzerebbe i legami sociali, ma potrebbe anche ispirare un impegno condiviso verso il bene di tutti. Penso vada letta in quest'ottica l'importante ed irripetibile occasione di GO!2025.
Conservare e diffondere la memoria storica è essenziale per comprendere il presente e prevenire gli errori del passato. La storia di Gorizia, con il suo ruolo di confine tra due mondi, l’operazione Gladio e le tensioni della Guerra Fredda (di cui scriverò prossimamente), rappresenta un esempio di come la geopolitica abbia influenzato la vita quotidiana delle persone. Studiare questi eventi permette di sviluppare una coscienza critica sugli equilibri internazionali e sui rischi connessi alle guerre ideologiche e alle operazioni segrete. La memoria storica non è solo un dovere nei confronti delle generazioni passate, ma anche uno strumento fondamentale per costruire un futuro più consapevole e democratico.
Sulle pagine online del Corriere della Sera, Gian Antonio Stella l'11 febrraio scorso scriveva: "E' vero: le parole «razza slava inferiore» non si leggono in caratteri cubitali come «TITO» perfino nelle foto di Google Earth come spiegavamo ieri sul Corriere. E non sbattono tutti i giorni in faccia alle vittime il ricordo d’un passato che è passato. L’abbiamo scritto e lo ripetiamo: Gorizia e Nova Gorica, Capitali europee della cultura non meritano la scritta che campeggia sul Monte Sabotino. Detto questo, sarebbe più facile avviare fraternamente la rimozione delle enormi pietre d’insulto se l’altra faccia dell’antico nazionalismo calloso prendesse atto di quanto possa essere offensiva per gli slavi la cocciuta insistenza di certi italiani nel celebrare la Xª Mas e nel rifiutare la rimozione della cittadinanza onoraria data 100 anni fa, alla vigilia del delitto Matteotti, a Benito Mussolini." Ovviamente concordo totalmente. Oggi, con Gorizia e Nova Gorica nominate Capitali Europee della Cultura per il 2025, diventa ancora più importante parlare e scrivere di questi temi. Questo riconoscimento rappresenta un'opportunità unica per riscoprire e valorizzare la storia della città, promuovendo il dialogo tra le diverse memorie e identità che hanno attraversato questo territorio. Gorizia non è più un confine che divide, ma un simbolo di cooperazione e condivisione culturale tra popoli un tempo contrapposti. La conoscenza del passato è fondamentale per costruire un futuro basato sulla comprensione reciproca e sulla pace. Bisogna metterci, però buona volontà e avere la sincerità di guardare le cose con onestà. Mi chiedo quanti anni debbano ancora passare prima che si riesca davvero a costruire una memoria condivisa, capace di andare oltre le ferite del passato, e con essa un autentico senso di appartenenza comune. Per troppo tempo la memoria è rimasta spezzata, frammentata in tante narrazioni parziali, spesso contrapposte: ciascuna comunità legata alla propria versione dei fatti, alla propria sofferenza, incapace di riconoscere il dolore altrui. Eppure, senza questo riconoscimento reciproco, senza la volontà di accettare che la storia è fatta di luci e ombre da entrambe le parti, resta difficile sentirsi parte di un progetto comune. La memoria condivisa non significa cancellare le differenze o uniformare le identità, ma piuttosto trovare uno spazio in cui ciascuno possa sentirsi ascoltato e rispettato. Solo così, con pazienza e coraggio, può nascere quel senso di appartenenza che non si fonda sull’omologazione, ma sulla convivenza consapevole. Forse ci vorranno ancora anni, forse generazioni, ma ogni piccolo gesto di apertura, ogni occasione di dialogo, contribuisce a costruire quel ponte necessario tra passato e futuro. Perché appartenere a un luogo non significa chiudersi, ma riconoscere che la sua storia è fatta di molte voci, e che solo ascoltandole tutte si può trovare una vera casa.
Ho gradito molto questo articolo, sia per i teneri ricordi della giovinezza che per le consapevoli considerazioni della maturità... Grazie Marilisa🤗
RispondiEliminaAnna K
Interessante pdv. Grazie L
RispondiEliminaF
ottime riflessioni. in questi giorni mi è venuta una curiosità: quali sono stati i motivi per cui è stata attribuita la cittadinanza onoraria a Mussolini? forse anche il sindaco potrebbe prendere in considerazione che per "andare avanti" potrebbe essere utile discuterne e, magari, anche per acquisire la forza per chiedere la rimozione della scritta "TITO".
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