Ventotene vista da Gorizia: l’Europa al confine

In questi giorni il dibattito sul *Manifesto di Ventotene* si è riacceso, risvegliando una riflessione quanto mai attuale sul senso e sul futuro dell’Europa. Ma in questa conversazione collettiva, quasi sempre centrata nei grandi centri politici e culturali del continente, una voce manca: quella di Gorizia. Eppure, proprio Gorizia — oggi capitale europea della cultura insieme a Nova Gorica — ha tutto il diritto, e forse anche il dovere, di dire la sua.

Chi più di Gorizia ha vissuto, sulla propria pelle, le divisioni d’Europa? Chi più di questa città di confine ha conosciuto i traumi della storia, ma anche la fatica e il coraggio del ricostruire ponti là dove c’erano barriere? Il Manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, immaginava un’Europa federale, pacifica, capace di superare i nazionalismi che avevano portato il continente alla catastrofe. Non era un’utopia astratta, ma una visione costruita tra le rovine del presente. Una visione che, oggi, Gorizia può e deve reinterpretare in chiave contemporanea.

Non si tratta di appropriarsi di un simbolo, ma di dare sostanza a quel progetto di Europa, che qui — tra Gorizia e Nova Gorica — ha preso forma concreta. Dove prima c’era un confine militarizzato, oggi c’è una piazza che unisce due città, due lingue, due memorie. Non è un caso che proprio questo spazio, Piazza Transalpina, sia diventato uno dei luoghi-simbolo di Go!2025. Ma l’Europa non si costruisce solo con l’arte e gli eventi culturali. Si costruisce con la memoria, il confronto, la capacità di pensarsi parte di qualcosa di più grande.

Per questo, Gorizia dovrebbe intervenire nel dibattito su Ventotene con la forza della sua esperienza storica e del suo presente in divenire. Un’idea potrebbe essere quella di promuovere un incontro pubblico, un seminario, o ancora meglio un convegno intitolato “Ventotene vista da Gorizia”, che raccolga studiosi, giovani, amministratori e cittadini da entrambi i lati del confine.

Un’occasione per confrontarsi non solo sul passato, ma anche sulle sfide dell’oggi: la crisi climatica, le disuguaglianze sociali, i nuovi confini della cultura digitale. Temi che richiedono, oggi come nel 1941, uno sguardo europeo, cooperativo, solidale.

In fondo, Gorizia è un laboratorio dell’Europa possibile. Non una città perfetta, ma una città che ha imparato a convivere con la propria complessità. Una città dove identità diverse si sono scontrate, ma anche incontrate. Una città che può insegnare — con umiltà, ma con forza — che non c’è futuro europeo senza memoria, senza dialogo, senza il coraggio di abbattere i muri, dentro e fuori di noi.

E allora, perché non partire proprio da qui? Perché non dire, con voce ferma e consapevole: Ventotene parla anche a noi. E noi, da Gorizia, vogliamo rispondere.

5 commenti:

  1. Brava Marilisa!

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  2. Un evento così sarebbe un sogno.....ma temo resterà tale.....

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  3. condivido, è che avremmo bisogno di qualcosa di "concreto" di "fattivo" per metterci alla prova. la butto là: proposta di legge regionale per sostenere finanziariamente le spese dei comuni a cui il fascismo ha cambiato il nome per ristabilire ufficialmente il loro nome originario, vero, storico. chissà se in slovenia è successo qualcosa di analogo, non lo so, confesso la mia ignoranza.

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    1. Grazie per il tuo spunto, davvero interessante e costruttivo. È vero: servirebbe un’azione concreta per fare i conti con le modifiche imposte alla toponomastica, che non sono solo un fatto linguistico, ma anche identitario.
      Nel caso di Gorizia, però, è importante precisare che il cambiamento dei nomi non fu unicamente opera del fascismo. Le prime modifiche iniziarono già subito dopo l’annessione della città all’Italia nel 1920, in un processo di italianizzazione che ha preceduto l’affermazione del regime fascista.
      Furono cambiati nomi di vie, piazze, quartieri, cancellando in molti casi la memoria storica plurilingue e mitteleuropea della città. La toponomastica venne adattata a una logica nazionale univoca, che non teneva conto della complessità culturale del territorio e della presenza storica delle comunità slovena e tedesca.
      Quindi, nel caso goriziano, la questione toponomastica affonda le radici in una fase ancora precedente al fascismo, e riflette un processo più ampio di ridefinizione identitaria imposto dall’alto, che ha avuto effetti profondi sulla memoria collettiva.
      Sarebbe davvero interessante, come suggerisci, confrontarsi anche con quanto accaduto in Slovenia o in altri paesi mitteleuropei, per capire se sono stati attuati processi di ripristino, oppure se le tracce del passato sono state valorizzate in altro modo. Magari potrebbe essere proprio questo uno dei temi da affrontare in un contesto transfrontaliero, storico e culturale, all’interno di Go!2025.

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  4. Ti pare che Gorizia ha imparato a vivere con la propria complessità? A me pare che più dei pupazzi di plastica nei giardini storici non ci sia stata osmosi tra passato e presente. Siamo dei senza storia, un posto qualunque in un mondo di inutilità eccessi veleni stupidità. È slovena anche la Capitale della cultura, a noi non sarebbe mai venuto in mente di proporla ai nostri vicini di casa.

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