Non ho mai avuto dubbi nella risposta: Alma. Perché alla sua età ero mossa dalla stessa passione, dallo stesso bisogno di giustizia, dalla stessa urgenza di scegliere. E so bene che, se mi fossi trovata in quel tempo e in quel luogo, probabilmente avrei fatto la sua stessa scelta.
Il confine orientale non è mai stato un luogo semplice. Tra il Friuli orientale, il Carso e la valle dell’Isonzo, la Resistenza non fu un racconto lineare, ma un intreccio di visioni diverse, spesso inconciliabili. Brigate autonome, partigiani cattolici della Osoppo, garibaldini comunisti della Brigata Garibaldi “Natisone”: mondi che combattevano lo stesso nemico, ma immaginavano futuri differenti.
In questo scenario si muove Alma. Diciassette anni, fazzoletto rosso al collo, figlia di una famiglia povera ma antifascista. Alma sceglie la Garibaldi “Natisone” e con essa la collaborazione con i partigiani jugoslavi. Non per rinnegare l’Italia, ma per inseguire un’idea: una giustizia che valesse più delle frontiere. Una scelta che, nel tempo, l’avrebbe resa scomoda. Non eroina ufficiale, non vittima riconosciuta. Una donna che ha abitato le zone grigie della storia, quelle che fanno fatica a entrare nelle celebrazioni. Ed è proprio qui che la storia di Alma incrocia il presente.
Ogni anno, il 19 gennaio, tornano le commemorazioni legate alla Xª Flottiglia MAS, spesso presentata come simbolo di “difesa della patria” sul confine orientale. Una narrazione che insiste sulla Battaglia di Tarnova della Selva, raccontata come l’episodio che avrebbe “salvato Gorizia”. Ma la storiografia più solida ci dice altro. Tarnova fu una battaglia dura, combattuta in condizioni estreme, ma non decisiva. Gorizia venne occupata dai partigiani jugoslavi il 1º maggio 1945 e restituita all’Italia poco più di un mese dopo. La presenza della Xª MAS nell’area, sotto diretto controllo tedesco nel contesto dell’Adriatisches Küstenland, fu segnata soprattutto da operazioni di repressione antipartigiana e violenze contro la popolazione civile. Tanto che persino le autorità tedesche ne misero in discussione l’efficacia. Celebrarla oggi senza questo contesto non è memoria: è semplificazione.
La storia di Alma sta dall’altra parte di quella semplificazione. Lei vede i marò da lontano, tra i boschi e la neve. Non li mitizza. Non li demonizza. Sa solo che la “salvezza” non passa dai fucili puntati sui civili. Quando scende a Gorizia il 1º maggio con i volantini bilingui, lo fa a mani nude. E quando torna a casa, scopre che la frattura più profonda non è quella del confine, ma quella dentro le famiglie, dentro le parole non dette. Dopo la guerra, Alma conosce anche il disincanto: le purghe, gli arresti, la fine del sogno jugoslavo così come lo aveva immaginato. Non rinnega, ma comprende. Resta ai margini. Senza medaglie. Con molti silenzi.
Raccontare Alma oggi significa fare una scelta precisa: non usare la storia come una bandiera, ma come uno spazio di confronto. Significa accettare che sul confine orientale la Resistenza fu anche una guerra di idee, e che ridurla a un racconto eroico a senso unico – da qualunque parte – è un tradimento della sua complessità. Forse è questo che rende ancora scomoda la sua storia. La patria di Alma non era una divisa, né una celebrazione. Era un’idea. E con le idee, soprattutto sul confine, bisogna avere il coraggio di fare i conti.
Il libro Donne tra due mondi – Storie sul confine goriziano è disponibile:
– nelle librerie di Gorizia
– sul sito dell’editore MGS Press
– e sulle principali piattaforme online specializzate
Un modo per continuare a interrogarsi su una storia che non chiede adesioni, ma attenzione.

