Paolo Mieli a Gorizia: parole che pesano (e fanno bene)

Ieri, 10 giugno 2025, Paolo Mieli è intervenuto a Gorizia, ospite della Diocesi, nel ciclo di incontri “Europa, culture in dialogo – Superare i confini per essere Capitale di una Cultura europea”. L’appuntamento si è tenuto al Kulturni Center Lojze Bratuž, in viale XX Settembre. Il titolo – “Gorizia e Nova Gorica: capitali della cultura europea?” – non è una semplice domanda retorica. È una provocazione gentile. E insieme una cartina di tornasole: dove siamo? E dove vogliamo andare?

Mieli alcune settimane fa aveva già rilasciato dichiarazioni nette: “Da GO!2025 mi aspetto iniziative clamorose. Finora non ne ho viste.” Una frase che, da queste parti, ha fatto rumore. Ma che andrebbe presa come un invito, non come una sentenza. Non è un "processo alle intenzioni", ma un appello alla concretezza. Che è poi lo stesso spirito che mi aveva animato nel mio post di marzo: GO!2025: solo fumo o anche arrosto?

Nonostante i grandi investimenti per sistemare edifici e strade e alcuni eventi d'eccezione di questo GO2025 Gorizia appare ancora una capitale in cerca di sé stessa. La domanda vera è cosa resterà dopo che si saranno spenti i riflettori di questo anno speciale. Lo ha ben chiaro l'arcidiocesi che ha lanciato l'idea di una nuova città europea aperta e da rivitalizzare in una nuova fase rispetto l'inerzia del passato. Gorizia non può limitarsi a “ospitare” la cultura, deve incarnarla, deve usarla per interrogarsi sul suo ruolo nel presente. Non bastano le etichette, i titoli, i fondi europei, se non si costruisce anche un’identità condivisa.

C’è un’enorme differenza tra essere “Capitale europea della Cultura” (con l’iniziale maiuscola, il logo ufficiale, i programmi istituzionali) e diventare davvero Capitale della cultura europea, intesa come spazio di confronto, di apertura, di pensiero critico. Lo ha spiegato bene l’arcivescovo Carlo Redaelli: non serve solo celebrare la cultura, bisogna praticarla, interrogarla, metterla in dialogo con le contraddizioni del presente.

Tra Nova Gorica e Gorizia: un laboratorio possibile. Il ciclo “Europa, culture in dialogo” proseguirà con voci importanti: Paolo Gentiloni, Enrico Letta, Roberto Antonione, il cardinale Tagle. Una scelta interessante, perché chiama la politica e la spiritualità a rispondere insieme: qual è oggi il senso dell’Europa? E cosa può offrire una città di confine come Gorizia, che ha vissuto sulla propria pelle divisioni e riconciliazioni, identità frantumate e ricostruite? Certo, serve molto di più di una serie di incontri per trasformare l’occasione di GO!2025 in un reale punto di svolta. Ma intanto, questa rassegna segna una svolta nel linguaggio. Si parla finalmente di visione, radici, comunità, memoria, dialogo tra culture. Temi che finora erano rimasti ai margini del programma ufficiale.

E noi, da che parte stiamo?

La vera sfida, io credo, non è solo dei relatori, dei promotori, degli amministratori. È anche nostra. È di chi vive qui, di chi scrive, di chi insegna, di chi lavora, di chi ogni giorno attraversa questa città spesso invisibile eppure stratificata, fragile e sorprendente. Cosa possiamo fare? Forse, per cominciare, ascoltare di più. Partecipare. Diffondere. Pretendere chiarezza. Non accontentarci dei titoli e delle inaugurazioni. E soprattutto, rimettere al centro il senso: che città vogliamo essere nel 2025? E nel 2030?

A margine, una nota personale. Mi piacerebbe che questi incontri venissero raccontati anche fuori dalle sale dove si svolgono. Che le voci di chi partecipa, di chi ascolta, di chi dissentisce con rispetto, trovassero eco. Una città si costruisce così: non solo con gli eventi, ma con la memoria che ne resta. E con i dialoghi che ne nascono. Oggi qualcosa si è mosso. Finalmente. Ora tocca a noi non lasciar cadere questo filo.

La foto è di Beny Kosic

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