Marina Legovini ovvero l'arte di stupire!

Non c’è alcun dubbio che Marina Legovini, pittrice con studio a Gradisca d’Isonzo, formatasi alla scuola d’arte di Gorizia, abbia trovato negli acquerelli la sua più potente espressione artistica. Ci siamo conosciute diversi anni fa in occasione di una mostra allestita in Piazza de Amicis in occasione di un evento benefico promosso da una associazione che opera nel settore del disagio mentale. Le avevo chiesto il prestito di una sua opera, dopo aver visto gli splendidi scorci dell’Isonzo catturati in una tela pubblicati online. Mi erano piaciuti talmente tanto che, poco tempo dopo, in occasione di una mostra a Cormons non avevo resistito dall’acquistarne uno; che adesso fa bella mostra di sé sulla parete verde scuro inglese, valorizzato da una cornice d’oro graffiato da Marina stessa disegnata. E’ quindi con estremo piacere che ho accolto la notizia del suo successo internazionale che ha portato il prestigioso magazine d’arte, pubblicato in francese ed inglese, a dedicarle un servizio (con richiamo in copertina). Questo il testo dell’intervista pubblicata:

1. Cosa porta l'astrazione a un soggetto? L’astrazione è una visione alternativa e personale del soggetto dipinto, che avviene dopo una profonda conoscenza dello stesso. Nel mio percorso artistico, per molti anni ho disegnato e dipinto cercando di rimanere fedele al soggetto che vedevo, ma non sono mai stata una brava copiatrice. Ogni lavoro tendeva ad una visione personale, ed ho capito che questa era la mia strada: disegnare e dipingere in modo non convenzionale, pur restando in qualche modo legata al soggetto.

2. Come definiresti il tuo stile di pittura? La ricerca di uno stile personale è alla base del mio lavoro di artista. Studio la storia dell’arte e vedo cosa fanno gli altri artisti, per poi mettere da parte tutto e dipingere con un mio personale linguaggio. Per me e la maggior parte degli artisti italiani è difficile non essere influenzati dalla quantità di opere d’arte e grandi artisti che hanno segnato la storia dell’arte del nostro paese, misurarsi con questi è spesso una situazione avvilente. Tuttavia, questo immenso tesoro fa parte del mio DNA e quindi del mio stile. Non cerco dettagli, ma piuttosto un’emozione lirica, capace di restituirmi un impatto emotivo mentre lavoro e poi in chi guarda l’opera finita. Il mio stile è mobile e liquefatto, tutte le opere, puntano a ghermire e imprigionare i colori,le atmosfere,l’attimo di un istante di luce che sembra mutare nel momento in cui si guarda.

3. Come gestisci l'equilibrio tra pianificazione e spontaneità di esecuzione? Il mio è un lavoro soprattutto mentale, suscettibile allo stato d’animo, per questo mi è difficile pianificarlo. La mia pittura nasce come un dialogo, assieme alla carta o alla tela con l’acqua o l’acquaragia e i colori fino all’opera compiuta. Lavorando in questo modo le sorprese sono veramente tante, a volte mi piacciono altre volte meno ma dipingere in questo modo per me è molto gratificante.

4. Sei più a tuo agio a dipingere paesaggi che conosci? Posso dire che è il mio punto di partenza. Conosco molto bene il variare della luce e l’atmosfera dei luoghi dove vivo. Voglio contribuire con il mio lavoro a sensibilizzare le coscienze, nel rispetto della natura che amo, poiché è un tesoro del quale dobbiamo essere grati e imparare a custodire. Da bambina abitavo all’ultimo piano di una palazzina con le finestre rivolte al tramonto, puoi solo immaginare quanto di questo mi sia rimasto dentro negli occhi. Una nuvola sfrangiata, quale presagio di un temporale in arrivo, ancora oggi mi scuote l’animo. Infatti nella mia ultima mostra “Nel ciel che più della sua luce prende” ispirato ad un passo della Divina Commedia, racchiude in se quanto di meraviglioso e irraggiungibile, sia l’universo che ci accoglie. Infatti protagonisti di quell’esposizione sono stati il cielo e la sua magia fatta di luce, colori e sfumature che variano a seconda della situazione climatica, della stagione,dell’ora e spesso in comunione, anzi in un’armonica fusione, con un altro magico elemento della natura, il mare. Alla fine il paesaggio che conosco diventa il bisogno di dipingere non quel cielo, ma il mio cielo, il mio paesaggio immaginato.

5. Cos'è più importante per te: la sensazione / atmosfera del dipinto o restare fedele al soggetto? Senza dubbio l’atmosfera del dipinto e la sensazione che emana mentre lo dipingo. Certo qualche cambiamento in corso d’opera lo faccio sempre, altrimenti non sarebbe divertente dipingere, anzi qualche volta il soggetto assume delle mutazioni, perché in quel momento scopro qualcosa che mi attrae nella stesura dei colori. Accade qualche reazione inaspettata fra i colori, la superficie l’acqua o l’acquaragia che mi porta verso la trasfigurazione del soggetto che avevo in mente.

6. Ci sono regole che segui? O d'altra parte, regole che infrangi di proposito? Ogni tecnica ha le sue regole ma il bello sta nell’infrangerle ogni qualvolta mi si presenta l’occasione. Mentre lavoro ho una comunicazione a tutto tondo con i materiali che uso e ciò che mi passa per la mente. L’unica regola che ho è tenere la mente aperta a tutte le possibili variazioni che si presentano in corso d’opera. Alcune vanno tenute altre lasciate stare. L’importante è che il lavoro risulti fresco e senza ripensamenti. Nell’acquerello il colore si espande, l’acqua lo trasporta, il pennello lo guida come fa l’argine con il torrente,ecco si espande, bisogna lasciarlo andare e lavorarci assieme. Non è una tecnica ubbidiente, qualche volta mi sfugge e la parte più difficile è quella dell’attesa, la tentazione di ritoccare ancora è forte, ma bisogna trattenersi per dare modo all’acqua di completare il lavoro, ed ecco che appare bello,gratificante, nell’emozione di qualcos’altro forse più bello di come l’avevo pensato.

7. Quali pittori ti hanno influenzato di più? (sia acquarellisti o no) Molti sono gli artisti che ho scelto come maestri nell’arco della mia ricerca artistica. Uno fra tutti è Turner e poi Constable che ho potuto ammirare a Londra ancora quando ero studentessa. Anche se a periodi mi sono innamorata di altri autori questi sono ancora ben radicati nel mio fare arte. Mi piacciono gli artisti che non svelano del tutto il loro lavoro ma nel tempo le loro opere hanno ancora molto da dire. Penso a Piero della Francesca,a Beato Angelico e hai più recenti Edward Hopper, Andrew Wyeth, De Dominicis, Edward Wesson, Mark Rothko ed Hlelene Frankenthaler ma anche fotografi come Walde Huth, Ekkachai Khemkum, Huan Xiaoliang. Ho imparato la tecnica dell’acquerello frequentando le lezioni di Marina Marcolin e Pascqualino Fracasso. Da Marina ho imparato la raffinatezza della tecnica mentre da Pasqualino il desiderio della sperimentazione. Seguo con grande interesse gli acquerelli di Janine Gallizia Naomi Tydeman, Nono Garcia, Pedro Cano,Yuko Nagayama e Anne Baron.

8. Un buon acquerello è per te un equilibrio tra caso, intuizione e saper fare? Saper fare è alla base di un buon lavoro, ma non basta. La differenza sta nel lavoro quotidiano e non è mai un caso quando raggiungo un risultato. E’piuttosto l’intuizione di un percorso nuovo anche nell’errore di procedimento. Lavorando in questo modo, tanto viene buttato. Ci vuole coraggio anche in questo!

9. La scelta del soggetto non è solo un pretesto? Non è il vero soggetto dei tuoi quadri, l'atto stesso di dipingere? In parte è vero, il soggetto è un pretesto per riuscire a dipingere l’aria, perché è facile tradurre ciò che il nostro occhio vede,ma come fare a riprodurre l’elemento invisibile che ci circonda? Per questo la mia pittura si sta facendo più dinamica con una particolare propensione a dipingere i cieli, il mare e il paesaggio naturale omettendo volutamente la figura e le architetture. Ogni giorno guardo dalla finestra della mia casa – studio l’evolversi della luce, determinata dall’intensità delle nuvole. A volte appaiono come lunghe pennellate, in altre più corpose, stratificate, turbolente e provo a dipingerle così. Imparo guardando intorno, durante le mie lunghe passeggiate vicino alla laguna o sul golfo di Trieste. Tuttavia il paesaggio viene sempre trasfigurato è non è mai fedele a ciò che è ma a ciò che mi suggerisce l’atto stesso di dipingere.

10. Migliorare la tua pittura ovviamente arriva con la pratica e ulteriore pratica... ma ci sono uno o due "trucchi" che hai scoperto lungo la strada? Ci sono stati dei momenti illuminanti in cui hai scoperto una o due cose che sapevi avrebbero migliorato la tua arte? Se così fosse, cos'erano? (Nuovamente puoi fornirmi alcune immagini) Certamente!A forza di dipingere ho scoperto il modo di evitare alcuni errori fatali alla riuscita del lavoro. In realtà, devo molto anche ai miei allievi. Il più delle volte, soprattutto nei principianti, i risultati non sono soddisfacenti, ma ho trovato delle soluzioni affinché alla fine della lezione il risultato sia appagante. Infatti, correggendo i loro acquerelli ho trovato delle soluzioni che hanno migliorato la mia arte. Ad esempio l’uso di un pennello molto morbido per togliere l’eccesso di colore senza rovinare l’acquerello mi è servito per modellare le nuvole e accompagnare il colore per un effetto più morbido ed evanescente. E poi l’uso di una pennellessa piatta per togliere il colore e delineare perfettamente la linea dell’orizzonte che nei miei acquerelli utilizzo per ottenere dei piani diversi nel paesaggio.

11. Il tuo modo di dipingere può essere "sezionato" o suddiviso in più passaggi? In caso affermativo, quali sarebbero? Si, il mio lavoro è suddiviso in più passaggi e molto dipende dalla dimensione dell’acquerello e da quello che voglio fare. Se l’acquerello è di piccole dimensioni e desidero dipingere ad esempio un cielo, bagno la carta con una pennellessa e poi bagnato su bagnato metto il colore, asciugo con il phon e bagno la parte sottostante per dipingere il mare o un paesaggio. Asciugo molto bene e proseguo con eventuali pochi ritocchi. Se il foglio è grande, lo immergo completamente in una vasca e poi inizio a dipingere. In questo caso il colore e l’acqua producono degli effetti molto interessanti ma di difficile controllo, per questo utilizzo un pennello molto morbido per accompagnare il colore. Ora è il momento più difficile perché devo attendere che l’acqua, colore e carta completino il mio lavoro senza intervenire, altrimenti si possono formare degli aloni molto sgradevoli. L’asciugatura avviene in parte all’aria e poi fra due cartoni spessi. Il lavoro va ripreso il giorno dopo, ribagnando completamente il foglio per dipingere la parte sottostante e uniformare l’acquerello con la parte precedente affinché non ci sia uno stacco fra la prima e la seconda fase.

12. Come artista trovi di essere in grado di tradurre con successo le tue idee in un linguaggio visivo che arriva alle persone? È una considerazione per te? Oggi siamo completamente assediati da immagini e mai come in questa epoca è importante anche per un artista arrivare alle persone. Per me è importante fornire a chi guarda le mie opere un impressione immediatamente comprensibile, in modo da incuriosire e desiderare di approfondire la conoscenza affinché tutto il mio lavoro sia pienamente compreso.

13.Dipingi anche a olio. Questo è complementare al tuo uso dell’acquerello? In questo periodo lavoro sia ad acquerello che ad olio e l’uno nutre l’altro, ma non solo,la ricerca di nuove forme di espressione anche attraverso linguaggi e tecniche diverse fa parte del mio percorso artistico. Sono stata decoratrice su ceramica, poi di seguito agli studi veneziani ho imparato l’incisione calcografica, per poi aprire una mia bottega d’arte. Quindi le tecniche acquisite nel tempo,finiscono per sedimentarsi in quelle nuove. Ritrovo nella carta per acquerello la superficie bianca della ceramica che ho dipinto per anni con tratto sicuro e senza poter fare correzioni e nei graffi sulla carta il lavorio della tecnica incisoria. Posso anche affermare che il bianco sia per l’acquerello che per l’incisione si ottiene lasciando trasparire la carta dal colore oppure per copertura. Sono consapevole di vivere in momento storico imprevedibile, liquido, difficile da arginare, un po’come fa l’acquerello sulla carta, per questo ora è la mia tecnica prediletta che cerco di trasportare anche nella pittura ad olio.

14. Hai eventi, mostre, ecc. in programma per il 2021? La pandemia che stiamo vivendo non mi consente di fare grossi progetti e devo rimanere sul territorio italiano. Ho in programma due mostre personali una delle quali con la galleria EContemporary di Trieste con la quale lavoro da tempo e poi una collettiva a Parma e alcune illustrazioni per la ricorrenza dei 700 anni di Dante Alighieri sul tema “La Musica nella Divina Commedia”. Spero che nel corso dell’anno la situazione migliori e possano attivarsi altre mostre ed eventi.

Per favore invia le seguenti informazioni tecniche : • Tipo / marca di carta utilizzata? Arches Satiné • Tipo / marca di acquerelli? Quali colori compongono la tua tavolozza di base? Per ogni specifica ragione (trasparenza / alta saturazione / granulazione, ecc.)? Uso gli acquerelli Schmincke Horadam, gli extra fini della Winsor & Newton e Daniel Smith. Per la luminosità e trasparenza: Trasparent Orange,Trasparent Green Gold Cobalt Violet,New Gamboge, Quinacridone Gold,Raw Sienna, Neutral Tint Per la saturazione NaplesYellow, S.H ,Potter Pink, Payne’s Gray, Burtn Sienna ,Alzarin,Turner’s Yellow,Manganese Violet ,Cobalt blue, Per la granulazione:Ultramarine finest,Lunar Blue,Wisteria,Undersea Green,Lavander,Mars Blach,Davy’s Gray, Buff Titanium, Moonglow • Qualche strana tecnica usata? • Sto sperimentando la foglia oro con l’olio e acquerello.

Contatti: www.marinalegovini.it instagram marinalegovini1243 facebook Marina Legovini.

Misteri goriziani: scoperta in soffitta la guida all'Italia leggendaria, misteriosa, fantastica

Può capitare nella vita, fortunatamente non accade frequentemente, che si debba mettere mano ad una casa abitata da almeno tre generazioni, con cantina e soffitta, e quindi nell’epoca in cui non si buttava niente, perché tutto avrebbe potuto, in futuro, un giorno servire. Compito improbo se quelle stanze, cantina e soffitta comprese, devono essere vuotate per dare a loro nuova vita. Insomma, ci vuole una gran forza di volontà per escludere l’ipotesi di chiamare una ditta specializzata nello sgombero e decidere di far da sé, nella consapevolezza non solo del necessario rispetto per coloro i quali quelle cose le hanno conservate ma anche per la curiosità di trovare, tra le centinaia di volumi ricoperti dalla polvere del tempo, qualche piccola piacevole sorpresa. Ed è questo che mi è successo nel trovare la Guida all’Italia, Volume I, Nord, Sugar edizione, edito nel 1966. Una guida speciale perché il sottotitolo è la guida dell’Italia leggendaria, misteriosa, insolita e fantastica.

Già la premessa è tutto un programma laddove l’autore informa il lettore che nella guida si troverà l’elenco (con le relative indicazioni) di edifici bizzarri, curiosità e fatti storici inauditi, tesori nascosti, fantasmi, fate, miracoli e diavoli. Insomma un elenco di tutto rispetto anche se, a dire il vero, potrebbe lasciare qualche dubbio l’aver aggregato nella voce “diavoli” non soltanto le apparizioni di esseri demoniaci, opere diaboliche ed invasamenti o possessioni, ma anche streghe, stregoni, maghi, sortilegi, filtri e fatture. Ma, a dire il vero, non dovrei stupirmi più di tanto al solo ricordo che ogni mia giovanile lettura era, inevitabilmente, sottoposta alla verifica genitoriale se tale volume fosse, o meno, inserito nell’elenco dei libri “posti all’indice”!

Guardando le piantine pubblicate, si può ben dire che quello che all’epoca era il territorio della provincia di Udine ha fatto man bassa di curiosità; nel senso che vi si trovano le risorse maggiori, appartenenti a queste categorie Ma anche a Gorizia, Grado e Monfalcone le sorprese non mancano. Infatti, con riferimento specifico a Gorizia si raccontano soltanto due storie: La storia del cadavere scomparso. “Il 29 dicembre 1551 moriva in provincia di Gorizia Giovanni Maria Rebrino, mago, eretico e seduttore. Il cadavere fu messo in una bara che, saldamente inchiodata, venne posta su un carro e avviata al torrente Vipacco, dove si voleva gettarla. Ma il carro s’era appena messo in moto quando il diavolo suscitò un gran vento che rovesciò a terra la bara. Questa nel cadere s’aperse e si vide la faccia del morto lacerata come da profondi graffi. I becchini tornano ad adagiare il cadavere al suo posto, rimettono il coperchio, tornano a inchiodarlo. Altra raffica di vento, a cui questa volta si accompagnano neve e l’improvviso calare delle tenebre; di nuovo la bara è rovesciata a terra, di nuovo si apre. E questa volta il cadavere non c’è più. “ Balletti rosa. “Nella seconda metà del secolo scorso destò grande scalpore a Gorizia il processo a un mago il quale riceveva le ragazze che ricorrevano a lui in una stanza chiusa, illuminata con candele, e le faceva spogliar nude e poi correre in circolo, saltare, assumere posizioni indecenti. Lui intanto pronunciava e scriveva formule magiche, grazie alle quali le ragazze avrebbero sposato gli uomini che amavano. Risultò che tra le sue clienti c’erano ragazze di famiglie molto “bene”.

A Grado, alzando una botola nel pavimento della basilica di Sant’Eufemia si può vedere un’iscrizione riguardante un ebreo convertito. Restando sempre nel territorio lagunare, il libro racconta che “nel santuario di Santa Maria di Barbana, sull’isola omonima, si venera un’immagine lignea bizantina della Vergine, che secondo la leggenda giunse nell’isola portata da una tempesta, nel 582; la chiesa fu eretta in seguito al fatto miracoloso, per volere del patriarca Elia. La processione che si svolge la prima domenica di luglio data dal 1232”. Restando a Grado, scopriamo l’esistenza del Sion e il foleto marin. “Il primo è lo spirito maligno degli uragani di mare e specialmente della tromba marina; il foleto marin, spirito diabolico, è quello che straccia le vele ai poveri pescatori. Contro il Sion, un maschio primogenito deve tracciare nell’aria il segno di San Salomon, una stella a cinque punte, e piantare un coltello sulla soglia di casa o sulla tolda della barca dicendo: Sion sionasso te vedo te copo te masso. Monfalcone riserva anche qualche interessante storia. Una è quella della levatrice e lo spiedo. Si racconta, infatti, che “nel 1587 un bambino venne alla luce con i piedi incrociati. La levatrice, Caterina Domenatti, vi riconobbe il presagio d’una triste sorte. Nei suoi primi anni di vita le streghe, incontrandolo nei campi, lo avrebbero chiamato per nome, e se la madre non fosse stata pronta a fargli rispondere “Ben”, constringendo le streghe a dire: “Il Signore ti ha nel sen”, lui avrebbe risposto invece: “Che cosa?” e allora le streghe avrebbero detto “Ben vieni con me,” e se lo sarebbero portate via. Prima gli stregoni lo avrebbero cavalcato per recarsi al Sabba, poi sarebbe diventato stregone anche lui. C’era però un rimedio, e Caterina vi ricorse subito: legò il piccino ad uno spiedo e lo fece girare tre volte intorno al fuoco. Il giudice, informato, non apprezzò la sua sollecitudine; anzi la punì, costringendola a stare inginocchiata davant alla chiesa, durante la messa solenne, con una candela accesa in mano.

Un fiume d’accezione. E’ il Timavo, che sbocca ai piedi dell’altopiano carsico presso San Giovanni al Timavo, a poca distanza dal mare, dopo aver percorso sotterra quaranta chilometri: metà del suo percorso totale. Il fenomeno della scomparsa delle acque (nella voragine di San Canziano) destò già l’interesse degli antichi, ma solo nel 1907, colorando le acque, si potè stabilire con certezza la continuità tra il corso superiore e l’ultimo tratto. In un apposito paragrafo intitolato Leggende e storia del Timavo si racconta che “Gli Argonauti, risaliti il Danunbio e la Sava, per tornare in Grecia trasportarono la loro nave attraverso le Alpi Giulie, finchè, raggiunto il Timavo, affidandosi alle sue acque ritrovarono il mare. Gli Etoli, di ritorno da Troia, furono gettati su queste coste dalla tempesta e edificarono presso le foci del fiume un sacrario a Diomede, loro eroe, morto durante il viaggio; più tardi Diomede fu spesso confuso con la divinità fluviale Timavus. Il troiano Antenore, sfuggito alla distruzione della sua città e non ostacolato dagli dei, sbarcò nell’alto driatico e penetrò poi in terraferma, fino al luogo in cui, con la sua gente, fondò Padova. Nella zona sono state rinvenute iscrizioni (di cui si conservano i calchi nella chiesa di San Giovanni, vicina alle Bocche) le quali dimostrano che qui esisteva un’area sacra in onore del Timavo, di Ercole e della Spes Augusta. Nelle grotte circostanti sono state rinvenute armi antichissime, risalenti forse ad un’età anteriore alla leggenda degli Argonauti."