Misteri goriziani: scoperta in soffitta la guida all'Italia leggendaria, misteriosa, fantastica

Può capitare nella vita, fortunatamente non accade frequentemente, che si debba mettere mano ad una casa abitata da almeno tre generazioni, con cantina e soffitta, e quindi nell’epoca in cui non si buttava niente, perché tutto avrebbe potuto, in futuro, un giorno servire. Compito improbo se quelle stanze, cantina e soffitta comprese, devono essere vuotate per dare a loro nuova vita. Insomma, ci vuole una gran forza di volontà per escludere l’ipotesi di chiamare una ditta specializzata nello sgombero e decidere di far da sé, nella consapevolezza non solo del necessario rispetto per coloro i quali quelle cose le hanno conservate ma anche per la curiosità di trovare, tra le centinaia di volumi ricoperti dalla polvere del tempo, qualche piccola piacevole sorpresa. Ed è questo che mi è successo nel trovare la Guida all’Italia, Volume I, Nord, Sugar edizione, edito nel 1966. Una guida speciale perché il sottotitolo è la guida dell’Italia leggendaria, misteriosa, insolita e fantastica.

Già la premessa è tutto un programma laddove l’autore informa il lettore che nella guida si troverà l’elenco (con le relative indicazioni) di edifici bizzarri, curiosità e fatti storici inauditi, tesori nascosti, fantasmi, fate, miracoli e diavoli. Insomma un elenco di tutto rispetto anche se, a dire il vero, potrebbe lasciare qualche dubbio l’aver aggregato nella voce “diavoli” non soltanto le apparizioni di esseri demoniaci, opere diaboliche ed invasamenti o possessioni, ma anche streghe, stregoni, maghi, sortilegi, filtri e fatture. Ma, a dire il vero, non dovrei stupirmi più di tanto al solo ricordo che ogni mia giovanile lettura era, inevitabilmente, sottoposta alla verifica genitoriale se tale volume fosse, o meno, inserito nell’elenco dei libri “posti all’indice”!

Guardando le piantine pubblicate, si può ben dire che quello che all’epoca era il territorio della provincia di Udine ha fatto man bassa di curiosità; nel senso che vi si trovano le risorse maggiori, appartenenti a queste categorie Ma anche a Gorizia, Grado e Monfalcone le sorprese non mancano. Infatti, con riferimento specifico a Gorizia si raccontano soltanto due storie: La storia del cadavere scomparso. “Il 29 dicembre 1551 moriva in provincia di Gorizia Giovanni Maria Rebrino, mago, eretico e seduttore. Il cadavere fu messo in una bara che, saldamente inchiodata, venne posta su un carro e avviata al torrente Vipacco, dove si voleva gettarla. Ma il carro s’era appena messo in moto quando il diavolo suscitò un gran vento che rovesciò a terra la bara. Questa nel cadere s’aperse e si vide la faccia del morto lacerata come da profondi graffi. I becchini tornano ad adagiare il cadavere al suo posto, rimettono il coperchio, tornano a inchiodarlo. Altra raffica di vento, a cui questa volta si accompagnano neve e l’improvviso calare delle tenebre; di nuovo la bara è rovesciata a terra, di nuovo si apre. E questa volta il cadavere non c’è più. “ Balletti rosa. “Nella seconda metà del secolo scorso destò grande scalpore a Gorizia il processo a un mago il quale riceveva le ragazze che ricorrevano a lui in una stanza chiusa, illuminata con candele, e le faceva spogliar nude e poi correre in circolo, saltare, assumere posizioni indecenti. Lui intanto pronunciava e scriveva formule magiche, grazie alle quali le ragazze avrebbero sposato gli uomini che amavano. Risultò che tra le sue clienti c’erano ragazze di famiglie molto “bene”.

A Grado, alzando una botola nel pavimento della basilica di Sant’Eufemia si può vedere un’iscrizione riguardante un ebreo convertito. Restando sempre nel territorio lagunare, il libro racconta che “nel santuario di Santa Maria di Barbana, sull’isola omonima, si venera un’immagine lignea bizantina della Vergine, che secondo la leggenda giunse nell’isola portata da una tempesta, nel 582; la chiesa fu eretta in seguito al fatto miracoloso, per volere del patriarca Elia. La processione che si svolge la prima domenica di luglio data dal 1232”. Restando a Grado, scopriamo l’esistenza del Sion e il foleto marin. “Il primo è lo spirito maligno degli uragani di mare e specialmente della tromba marina; il foleto marin, spirito diabolico, è quello che straccia le vele ai poveri pescatori. Contro il Sion, un maschio primogenito deve tracciare nell’aria il segno di San Salomon, una stella a cinque punte, e piantare un coltello sulla soglia di casa o sulla tolda della barca dicendo: Sion sionasso te vedo te copo te masso. Monfalcone riserva anche qualche interessante storia. Una è quella della levatrice e lo spiedo. Si racconta, infatti, che “nel 1587 un bambino venne alla luce con i piedi incrociati. La levatrice, Caterina Domenatti, vi riconobbe il presagio d’una triste sorte. Nei suoi primi anni di vita le streghe, incontrandolo nei campi, lo avrebbero chiamato per nome, e se la madre non fosse stata pronta a fargli rispondere “Ben”, constringendo le streghe a dire: “Il Signore ti ha nel sen”, lui avrebbe risposto invece: “Che cosa?” e allora le streghe avrebbero detto “Ben vieni con me,” e se lo sarebbero portate via. Prima gli stregoni lo avrebbero cavalcato per recarsi al Sabba, poi sarebbe diventato stregone anche lui. C’era però un rimedio, e Caterina vi ricorse subito: legò il piccino ad uno spiedo e lo fece girare tre volte intorno al fuoco. Il giudice, informato, non apprezzò la sua sollecitudine; anzi la punì, costringendola a stare inginocchiata davant alla chiesa, durante la messa solenne, con una candela accesa in mano.

Un fiume d’accezione. E’ il Timavo, che sbocca ai piedi dell’altopiano carsico presso San Giovanni al Timavo, a poca distanza dal mare, dopo aver percorso sotterra quaranta chilometri: metà del suo percorso totale. Il fenomeno della scomparsa delle acque (nella voragine di San Canziano) destò già l’interesse degli antichi, ma solo nel 1907, colorando le acque, si potè stabilire con certezza la continuità tra il corso superiore e l’ultimo tratto. In un apposito paragrafo intitolato Leggende e storia del Timavo si racconta che “Gli Argonauti, risaliti il Danunbio e la Sava, per tornare in Grecia trasportarono la loro nave attraverso le Alpi Giulie, finchè, raggiunto il Timavo, affidandosi alle sue acque ritrovarono il mare. Gli Etoli, di ritorno da Troia, furono gettati su queste coste dalla tempesta e edificarono presso le foci del fiume un sacrario a Diomede, loro eroe, morto durante il viaggio; più tardi Diomede fu spesso confuso con la divinità fluviale Timavus. Il troiano Antenore, sfuggito alla distruzione della sua città e non ostacolato dagli dei, sbarcò nell’alto driatico e penetrò poi in terraferma, fino al luogo in cui, con la sua gente, fondò Padova. Nella zona sono state rinvenute iscrizioni (di cui si conservano i calchi nella chiesa di San Giovanni, vicina alle Bocche) le quali dimostrano che qui esisteva un’area sacra in onore del Timavo, di Ercole e della Spes Augusta. Nelle grotte circostanti sono state rinvenute armi antichissime, risalenti forse ad un’età anteriore alla leggenda degli Argonauti."

Nessun commento:

Posta un commento