Norma, Milojka e il confine della memoria

A volte basta leggere un nome su un muro per sentire che la storia è ancora lì, che non è passata. Le targhe, le vie, i monumenti non sono solo memoria: sono scelte, omissioni, compromessi. L'episodio di Voci dal Confine che ho pubblicato oggi nasce da due nomi, Norma Cossetto e Milojka Strukelj, e da una domanda che non smette di tornare: chi decide chi merita di essere ricordato?

In Friuli Venezia Giulia, per un vuoto normativo legato allo Statuto speciale, la competenza in materia di toponomastica è affidata esclusivamente alle giunte comunali. Significa che ogni amministrazione può decidere autonomamente chi intitolare, dove e perché. Un potere silenzioso, ma enorme, che negli anni ha generato contrasti, rimozioni, attese. Come quella per la targa ai Tolminotti in piazza Vittoria: un riconoscimento arrivato solo dopo anni di discussioni, quasi a ricordarci che anche le lapidi hanno bisogno di coraggio.

Da questo punto nasce l’episodio del podcast Voci dal Confine, dedicato a Norma Cossetto e Milojka Strukelj — due giovani donne travolte dalla stessa epoca, ma ricordate in modi opposti. Una vittima dei partigiani jugoslavi, l’altra dei nazisti con la complicità fascista. Una diventata simbolo, l’altra quasi dimenticata. Eppure, come sottolinea la storica Kaja Sirok, “nessuna delle due avrebbe voluto essere ricordata come martire, ma come donna del proprio tempo."

La memoria, allora, non è un monumento da difendere, ma un terreno da coltivare. Ogni targa, ogni nome, ogni scritta sul muro racconta più il presente che il passato: dice cosa scegliamo di vedere e cosa preferiamo ignorare. E forse l’unico modo per non restare prigionieri delle nostre memorie è imparare a leggerle tutte, senza paura.

🎧 L’episodio è disponibile su Spotify – Voci dal Confine https://open.spotify.com/episode/1zgUDrbvGFutBn9YxYjn2L?si=zVB2NHkvQIugEgUScXT0uQ

e youtube https://youtu.be/_V9peZk9rDE?si=A1YYKGM6qubI8sJR

Chi avrà la pazienza di arrivare fino in fondo al video su YouTube vedrà Norma e Milojka passeggiare sorridenti lungo viale XX Settembre. Mi piace pensarle così: due ragazze del loro tempo, finalmente libere di camminare una accanto all’altra.

Quando, in val Cavanata, il cielo si tinge di rosa

Ogni autunno, i fenicotteri tornano in Val Cavanata come vecchi amici che conoscono la strada a memoria.

Succede ogni anno, quasi alla stessa data, come un appuntamento che nessuno ha mai messo per iscritto ma che loro, i fenicotteri, non dimenticano. All’inizio di ottobre — quest’anno il 3 — la Valle Cavanata si è riempita di rosa: circa 1.200 individui sono tornati a popolare la riserva, trasformando il paesaggio in uno spettacolo che lascia a bocca aperta anche chi ci è già passato mille volte.

I visitatori, spesso, restano sorpresi: “Ma come… non ci sono d’estate?” No. Qui, i fenicotteri arrivano per svernare. I primi fanno capolino dopo Ferragosto, un gruppetto quasi discreto; a settembre il numero cresce… e poi, all’improvviso, ecco il colpo di scena: stormi interi planano sull’acqua, le ali spiegate, i richiami che riempiono l’aria.

Un viaggio silenzioso

Quasi tutti provengono dalle grandi colonie del Delta del Po e delle Valli di Comacchio. È lì che passano la primavera e l’estate, quando il sole allunga le giornate e il cibo abbonda. Nidificano, allevano i piccoli, si nutrono senza fretta.

Poi, quando la luce comincia a calare e l’autunno si avvicina, il messaggio è chiaro: è tempo di muoversi. Non servono mappe né navigatori — basta la luce, la temperatura, e quella sapienza antica che guida le specie migratrici da sempre.

Il segreto è nei fondali

Il loro cibo nasce dal fango e dalla luce. Sui fondali delle saline e delle lagune cresce una sottile “pelle” di cianobatteri e microalghe. È da lì che parte la catena: i minuscoli crostacei la brucano, e i fenicotteri brucano loro.

Con il becco capovolto setacciano l’acqua come minuscoli alchimisti, e ne ricavano tutto ciò che serve: energia, colore, vita. È grazie a questa dieta che il loro piumaggio si tinge di rosa: più nutrimento c’è, più il colore si fa intenso.

Quando le giornate si accorciano e la produzione naturale cala, devono cercare nuovi spazi. E così arrivano qui, dove le acque basse della Valle Cavanata offrono tranquillità e risorse per superare i mesi freddi.

Una presenza che scandisce le stagioni

Li si può trovare immobili, come statue, immersi nell’acqua fino alle ginocchia, oppure in volo, quando uno stormo si alza improvvisamente e il cielo si riempie di ali. Restano con noi fino alla primavera: verso la fine di aprile, quando la luce torna a farsi generosa, ripartono verso sud per ricompattarsi nelle colonie di nidificazione.

Andarli a vedere non è mai solo “birdwatching”: è assistere a un rito che si ripete, discreto ma preciso, ogni anno. Basta fermarsi, lasciar scorrere il tempo, e guardare. I fenicotteri fanno il resto.

La bellissima immagine è della fotografa naturalista, che abita a Grado, Margitta Thomann. Se non lo avete già fatto .... chiedetele l'amicizia su Facebook! In tal modo vedrete le sue magiche albe e tramonti, uccelli e .... a volte, teneri volpacchiotti.

Ester e le parole che feriscono la memoria

Ci sono immagini che restano addosso.

Quelle dei cartelli sventolati alla manifestazione di Roma nei giorni scorsi — con slogan inneggianti ad Hamas e Hezbollah — mi hanno turbata profondamente. Non perché io voglia giustificare le decisioni del governo israeliano, che meritano analisi serie e critiche lucide, ma perché leggere certe parole, gridate con leggerezza, fa male.

Una cosa è chiedere la pace. Un’altra è evocare la scomparsa di Israele. E certe derive, francamente, pensavo fossero state superate. In questi giorni ho ripensato a Ester, una delle protagoniste del mio libro Donne tra due mondi, che presenterò venerdì prossimo alle 18 nella sala Incontro di San Rocco. Attraverso la sua storia ho voluto raccontare una pagina oscura e spesso rimossa della nostra città: nella notte tra il 22 e il 23 novembre 1943, gli ebrei goriziani furono arrestati grazie a nomi e indirizzi venduti ai tedeschi da cittadini goriziani. Non semplici segnalazioni, ma vere e proprie delazioni retribuite.

Quasi nessuno dei deportati fece ritorno da Auschwitz.

Ester dà un volto a quelle vite cancellate e a quella complicità civile che la memoria pubblica ha spesso preferito sfumare. Non fu un rastrellamento “venuto da fuori”: accadde qui, tra queste vie, nelle stesse case che oggi attraversiamo senza pensarci. Raccontarla è stato, per me, un modo per riportare in superficie ciò che la città aveva sepolto sotto anni di silenzio.

Quando oggi vedo cartelli che banalizzano la Shoah, paragoni urlati con leggerezza, slogan che confondono popoli e governi, passato e presente, non riesco a restare indifferente. Le parole hanno un peso. E quando vengono usate in modo superficiale rischiano di svuotare il senso stesso della memoria. Il mio amico Luigi Chiarello, caporedattore di Italia Oggi, ha scritto recentemente una riflessione che mi ha colpita:

Bollare Israele come nazista non è forse un modo per lavarci la coscienza dalla Shoah?

È una domanda scomoda, ma necessaria. Perché è più facile puntare il dito altrove che fare i conti con le responsabilità di casa nostra. Gorizia non è solo un confine geografico: è un confine di memorie, identità, scelte morali.

La memoria non è un megafono da sventolare in piazza: è una bussola. Serve a distinguere tra il legittimo desiderio di pace e il linguaggio che cancella l’esistenza di un popolo. Serve a ricordarci che anche nelle città apparentemente tranquille si possono consumare gesti decisivi, nel silenzio generale. E davanti a certi slogan, io torno a Ester.

Alla notte in cui la città vendette lei ed i suoi vicini.

Alle parole che, allora come oggi, possono ferire la memoria più di qualsiasi urlo.

Quando il mistero bussa alla porta e la mia Zita

Qualche giorno fa ho presentato il nuovo libro di Natasha sulle streghe e i benandanti. È stata una serata intensa. Ricordo il silenzio attento della sala mentre Natasha raccontava ed io intanto pensavo ai processi, alle donne che camminavano nei campi di notte, alle paure che il potere trasformava in colpe. A un certo punto ho sentito un brivido – non di paura, ma di riconoscimento. Quelle storie parlavano anche di noi, del nostro bisogno di senso, del nostro rapporto con ciò che non possiamo controllare.

Poi, pochi giorni dopo, è uscito il mio Donne tra due mondi che presenterò venerdì 10 ottobre. Da sempre il venerdì è il mio giorno fortunato e quindi spero tanto lo sia anche in questa occasione. Nel libro ci sono tante voci femminili, e tra loro c’è Zita, la raccoglitrice di erbe. Quando ho scritto di lei, ho immaginato le sue mani sporche di terra e il cesto colmo di radici e foglie. Ho sentito che il suo sapere è un sapere che rischiamo di perdere: un sapere che non si pesa, non si cataloga, ma si trasmette vivendo.

Questi due momenti si sono illuminati a vicenda e mi hanno riportato a una convinzione che sento sempre più forte: l’Illuminismo ci ha dato la ragione, ma ci ha tolto qualcosa. Ha acceso la luce, ma in quella luce abbiamo perso il buio in cui si vedono le stelle. Ha aperto la strada a un materialismo che riduce il mondo a ciò che è misurabile, lasciando fuori il mistero, il sacro, l’intuizione.

Io credo che sia tempo di riequilibrare. Non per tornare indietro, ma per dare di nuovo cittadinanza a ciò che non possiamo spiegare. A quell’istante in cui una coincidenza ci commuove, a quella sensazione che ci avverte di qualcosa, a quella conoscenza che non nasce dai libri ma dal corpo, dalla terra, dal cuore.

Zita, con il suo cesto di erbe, per me è anche questo: un invito a non perdere il contatto con ciò che sfugge ai calcoli. A fermarsi davanti a un prato fiorito senza cercare subito il nome latino di ogni pianta. A fidarsi dell’istinto quando la ragione non basta. A lasciare che il mistero entri nella nostra vita senza paura, perché è lì che possiamo ritrovare un senso più profondo. Forse il futuro di cui abbiamo bisogno è proprio questo: un futuro che sappia integrare luce e ombra, scienza e spiritualità, progresso e stupore. Un futuro in cui la razionalità non cancella la magia, ma la affianca.

Donne tra due mondi. Storie sul confine goriziano è già disponibile alla UBIK, LEG e Faidutti in via Oberdan. On Line nel sito dell'editore MGS Press, cliccando qui: acquista il libro oppure sui diversi portali specializzati.

Il Libro delle 18.03 – Diciotto anni di storie che continuano

Gorizia è una città piccola ma sorprendente: nel giro di una settimana può offrire più eventi culturali di quanti se ne possano seguire. Presentazioni, concerti, mostre, incontri con autori: a volte bisogna davvero scegliere a cosa rinunciare. Ma è un buon segno, perché vuol dire che la città è viva, che la cultura circola e che la gente ha voglia di partecipare.

Dentro questo panorama, “Il Libro delle 18.03” è diventato una specie di bussola. Diciotto anni fa, nella sala della stazione ferroviaria, tutto era iniziato quasi per gioco: il libro di un amico, Giorgio Mosetti, due altri autori regionali e un pubblico curioso. Doveva essere una parentesi di un mese, nell’ottobre del 2008. E invece no: da lì è nata una rassegna che oggi attraversa stagioni, generazioni e luoghi, capace di trasformare la presentazione di un libro in un vero momento d’incontro.

Negli anni, le “18.03” hanno creato un pubblico fedele, che riempie le sale e che spesso non basta più a contenerlo. La maggioranza è formata da lettori maturi, ma ci sono sempre più studenti delle scuole superiori che portano energia e domande nuove. È un segnale importante: vuol dire che la lettura non è affatto una pratica in declino, ma che va proposta nel modo giusto, in luoghi dove ci si sente accolti e coinvolti.

Quest’anno la rassegna festeggia i diciotto anni di attività, un traguardo importante che segna quasi due decenni di incontri, dialoghi e libri che hanno accompagnato la crescita culturale di Gorizia. In pieno GO!2025, “Il Libro delle 18.03” si fa ancora più diffusa: tredici appuntamenti che toccheranno Gorizia, Nova Gorica e l’Isontino, e un’uscita speciale tra le montagne della Carnia per unire libri, arte e gusto in un’unica giornata.

Di tutto questo ho parlato con Paolo Polli, presidente dell’associazione e ideatore della rassegna. Nell’episodio di Voci dal Confine che trovate qui sotto, racconta com’è nata l’idea, cosa è rimasto di quell’atmosfera della stazione e perché continua a valere la pena, dopo 18 anni, sedersi a parlare di libri. Qui l'intervista su youtube e questo sotto il programma definitivo

28 settembre – Villa Codelli, Mossa: lectio domenicale “I giovani e il posto di lavoro” con Daniele Marini (Università di Padova).

1° ottobre – Trgovski dom: evento “Il movimento del volo” con Maddalena Rebecca in dialogo con Antonella Sbuelz.

3 ottobre – Auditorium Formedil: Angelo Floramo presenta Vita nei campi in dialogo con Stefano Cosma.

8 ottobre – Fabrizio Bozzetti presenta Margherita dei ribelli. Sorella, eretica, rivoluzionaria con Andrea Bellavite.

9 ottobre – Kulturni dom: Mimmo Sammartino con Nostra Regina dei burroni e delle mosche dialoga con Romina Koncina ed Ezio Benedetti.

16 ottobre – Andrea Vitali presenta La profezia del povero Erasmo con Mario Brandolin.

17 ottobre – Mediateca Casiraghi: Robert Schuhmann con Ciclovia Alpe Adria dialoga con Nevio Costanzo.

22 ottobre – Silvana Dragutinović con Enzo Martines presenta Donne che pensano di notte, a cura di Fabiana Dallavalle.

24 ottobre – Casa Candussi-Pasiani, Romans d’Isonzo: Gianni Oliva presenta Il pendio dei noci con letture di Valentina Verzegnassi.

28 ottobre – Irina Ganiceva presenta Origini in dialogo con Barbara Sturma e Igor Komel.

29 ottobre – Libreria Caffè Maks, Nova Gorica: Cristina Noacco con Marko Tavčar presenta l’edizione in sloveno di Timavo Natisone Isonzo – Fiumi, uomini e confini.

31 ottobre – Palazzo Torriani, Gradisca: chiusura della rassegna con Guida anacronistica di Venezia di Pascal Bonafoux e Safet Zec, in dialogo con Hana Zec e Federico Fazzi. 11 ottobre – Uscita speciale: partenza alle 8.30 dal piazzale della Casa Rossa per Tolmezzo (Museo delle Arti e delle Tradizioni popolari), sosta al Filo dei Sapori e pomeriggio a Illegio per visitare la mostra Ricchezza. Dilemma perenne.

Gorizia, il cielo e i fratelli Rusjan

Ci sono ricordi che non sbiadiscono mai. Ogni volta che passo davanti all’aeroporto di Gorizia mi sembra di tornare agli anni Sessanta, quando io e la mia compagna di banco frequentavamo il corso di cultura aeronautica. Arrivavano ragazzi e ragazze da tutta Italia, e per qualche settimana Gorizia diventava un piccolo centro del mondo: il cielo vibrava del rumore dei motori, le divise dell’Aeronautica ci facevano sentire importanti, e ogni decollo ci dava la sensazione che il futuro fosse lì, proprio davanti a noi.

Quest’anno quel futuro è tornato. Dal 5 al 15 maggio 2025, Gorizia ha ospitato di nuovo il Corso di Cultura Aeronautica, organizzato dall’Aeronautica Militare con i velivoli SIAI U-208 del 60° Stormo. Per dieci giorni, 140 studenti delle scuole superiori del Friuli Venezia Giulia hanno seguito lezioni di aerodinamica, meteorologia e sicurezza del volo, per poi salire davvero a bordo e provare l’emozione di vedere la città dall’alto. Ho seguito con curiosità e un pizzico di nostalgia queste giornate: negli occhi dei ragazzi ho rivisto la stessa meraviglia che avevo io allora.

Questa è stata anche l’occasione per raccontare una storia che mi sta a cuore: quella dei fratelli Edi e Pepi Rusjan, i pionieri dell’aviazione goriziana. Nel novembre del 1909, con la loro “trapola de carta”, sollevarono da terra il primo velivolo mai costruito qui e aprirono una stagione di sperimentazioni che avrebbe cambiato per sempre il nostro rapporto con il cielo.

E, per la prima volta, sono riuscita a far rivolare digitalmente la loro EDA VI: grazie a DeeVid AI, ho trasformato una vecchia foto in un breve video che mostra l’aereo in volo. Ho lasciato anche il rumore del motore: un suono grezzo e potente, che sembra riportare tutti noi su quei prati dell'areoporto di Merna oltre cent’anni fa. Potete vederlo alla fine del mio nuovo episodio del podcast, su YouTube.

Per me è stato come chiudere un cerchio: dalla ragazza che sognava davanti alla palazzina dell’Aeronautica, agli studenti di oggi che si affacciano al mondo del volo, fino a Edi Rusjan che torna a decollare davanti ai nostri occhi. Gorizia, per qualche giorno, è tornata a essere la città dove il cielo si guarda non solo con la testa all’insù, ma con il cuore.

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Appunti di un giovedì in piazza Vittoria

Da un paio di mesi, con un piccolo gruppo di amiche – il numero varia, ma non scendiamo mai sotto le quattro – ci diamo appuntamento il giovedì per una chiacchierata e un caffè. Una consuetudine semplice, che però ci regala sempre qualcosa di nuovo: cambiamo ogni volta locale, come se fosse un piccolo viaggio settimanale.

Siamo già passate per il rinnovato Caffè Garibaldi e per il Teatro, ma oggi la tappa è stata piazza Vittoria, nell’omonimo caffè gestito da una coppia di giovani cinesi: gentili, sorridenti, attenti. Io ho mantenuto la mia abitudine: spremuta d’arancia prima e caffè dopo. Entrambi ottimi, da consigliare senza esitazione. E i pasticcini? Una tentazione vera. Peccato che la mia dieta rigidissima mi tenga a distanza da quei vassoi luccicanti sotto vetro, tanto belli quanto proibiti.

Perché ne scrivo oggi? Per due episodi che ci hanno fatto ridere di gusto. Il primo è stato quando ci siamo accorte di essere tutte e quattro vestite di blu scuro. Una di noi, con la prontezza che solo l’ironia femminile sa avere, ha sintetizzato: “Blu Armani.”

Il secondo momento è nato da una conversazione più seria: lo stress, compagno fedele delle donne di ogni età, con tutte le conseguenze che si porta dietro. Nel mio caso, un’irritazione agli occhi che non vuole saperne di passare. Eppure anche da lì siamo scivolate subito verso altro: oggi infatti nel mio podcast Voci dal confine ho pubblicato l’intervista con la storica Marta Verginella. Ho raccontato alle amiche quanto mi abbia colpito il suo intervento, e il dispiacere che nessun rappresentante delle istituzioni fosse presente ad ascoltarlo. Ma soprattutto ho condiviso con loro una curiosa coincidenza: la copertina del mio libro, che sarà presentato il 10 ottobre, richiama in modo sorprendente un suo volume uscito un paio di anni fa. Naturalmente l’ho informata — era doveroso — ma alla fine l’ho presa come un segno di sintonia. Due percorsi diversi che, senza saperlo, si sono incontrati.

Prima di salutarci, una di loro mi ha allungato una borsa con un sorriso enigmatico: “Tu saprai che farne.”

Solo a casa ho scoperto il contenuto: tovaglie e servizi all’americana in organza di lino ricamata. Oggetti delicati, d’altri tempi. Io che ho sempre avuto una passione per le cose antiche, sono rimasta senza parole: era come se mi fosse arrivato in dono un frammento di memoria tessuto a mano.

Forse è proprio questo il bello dei giovedì insieme: tra un caffè, un vestito blu e una confidenza, la vita continua a sorprendere. A settant’anni ho capito che i fili invisibili che ci collegano agli altri – amiche, storiche, libri, persino copertine e tovaglie ricamate – sono i veri regali del tempo.

(L'immagine è una rielaborazione di una foto scattata da Beny Kosic fatta con Canvas in stile Hopper.)