Quelle dei cartelli sventolati alla manifestazione di Roma nei giorni scorsi — con slogan inneggianti ad Hamas e Hezbollah — mi hanno turbata profondamente. Non perché io voglia giustificare le decisioni del governo israeliano, che meritano analisi serie e critiche lucide, ma perché leggere certe parole, gridate con leggerezza, fa male.
Una cosa è chiedere la pace. Un’altra è evocare la scomparsa di Israele. E certe derive, francamente, pensavo fossero state superate. In questi giorni ho ripensato a Ester, una delle protagoniste del mio libro Donne tra due mondi, che presenterò venerdì prossimo alle 18 nella sala Incontro di San Rocco. Attraverso la sua storia ho voluto raccontare una pagina oscura e spesso rimossa della nostra città: nella notte tra il 22 e il 23 novembre 1943, gli ebrei goriziani furono arrestati grazie a nomi e indirizzi venduti ai tedeschi da cittadini goriziani. Non semplici segnalazioni, ma vere e proprie delazioni retribuite.
Quasi nessuno dei deportati fece ritorno da Auschwitz.
Ester dà un volto a quelle vite cancellate e a quella complicità civile che la memoria pubblica ha spesso preferito sfumare. Non fu un rastrellamento “venuto da fuori”: accadde qui, tra queste vie, nelle stesse case che oggi attraversiamo senza pensarci. Raccontarla è stato, per me, un modo per riportare in superficie ciò che la città aveva sepolto sotto anni di silenzio.
Quando oggi vedo cartelli che banalizzano la Shoah, paragoni urlati con leggerezza, slogan che confondono popoli e governi, passato e presente, non riesco a restare indifferente. Le parole hanno un peso. E quando vengono usate in modo superficiale rischiano di svuotare il senso stesso della memoria. Il mio amico Luigi Chiarello, caporedattore di Italia Oggi, ha scritto recentemente una riflessione che mi ha colpita:
“Bollare Israele come nazista non è forse un modo per lavarci la coscienza dalla Shoah?”
È una domanda scomoda, ma necessaria. Perché è più facile puntare il dito altrove che fare i conti con le responsabilità di casa nostra. Gorizia non è solo un confine geografico: è un confine di memorie, identità, scelte morali.
La memoria non è un megafono da sventolare in piazza: è una bussola. Serve a distinguere tra il legittimo desiderio di pace e il linguaggio che cancella l’esistenza di un popolo. Serve a ricordarci che anche nelle città apparentemente tranquille si possono consumare gesti decisivi, nel silenzio generale. E davanti a certi slogan, io torno a Ester.
Alla notte in cui la città vendette lei ed i suoi vicini.
Alle parole che, allora come oggi, possono ferire la memoria più di qualsiasi urlo.

Già la memoria è una bussola ma quando i fatti vengono, insieme alla memoria, nascosti o misconosciuti creano incapacità di discernimento e quindi ignoranza.Di fronte a quest'ultima ci aspettiamo ormai di tutto,dalla Terra piatta ai vaccini malefici.Il peggio è che qualcuno la favorisce la stimola e la usa anche politicamente quando TUTTI dovremmo essere preoccupati per questa deriva culturale che ci riporta al Medioevo insieme alla paura continua di un pericolo imminente......
RispondiEliminaCiao Marilisa, interessantissimo. Quali le fonti della delazione?
RispondiEliminaCDEC Digital Library – Schede deportati di Gorizia
EliminaNelle schede biografiche di deportati come Bruno Farber o i membri della famiglia Morpurgo compare la nota:
“Arrestati in seguito a segnalazione; le SS avevano previsto premi in denaro per ogni ebreo denunciato (5.000 lire per un uomo, 3.000 per una donna).”
https://digital-library.cdec.it