Gorizia ed il cuore pulsante

di Giovanna Campagna

Forza Gorizia, rinasci! Alzati dal torpore dall' aver pianto troppo a lungo per un destino che non si è compiuto e che gli eventi hanno cancellato, poichè sempre, accanto alla città reale, ve n'è una che esiste parallela, occupando lo spazio della percezione e delle idee, una città invisibile, alla maniera di Calvino, che pure può plasmarsi da questa idea, sogno, immagine e diventar concreta, reale vissuta. La visione si fa “carne” e nasce lo spazio che si vorrebbe abitare.

Sono tornata a Gorizia a Febbraio scorso e vi ho, come sempre, lasciato il cuore, che spero di venirmi a riprendere presto... Fortuna ha voluto che incappassi proprio nel periodo della “Rosa di Gorizia”. Per due mattine mi sono intruffolata al mercato coperto, piccolo gioiello nel cuore pulsante della città ed ho potuto apprezzare, rigogliosi dentro le loro ceste, i carnosi boccioli dalle intense sfumature bordeaux del radicchio dalla sembianza di rosa, dal sapore dolce e delicato, vera e propria sorpresa per il palato che a questa insalata associa un gusto deciso, amarognolo e piuttosto severo. Spigolando per i banchi curiosa, ho raccolto le chiacchiere assonnate dei primi scambi, fra i fornitori appena giunti dalle campagne ed i commercianti, indaffarati ad esporre la merce appena scaricata dai furgoni, ancora profumata di terra, risultato trionfante di quella lenta e giusta crescita, che distingue il prodotto del mercato da quello standardizzato della grande distribuzione.

Da bimba, quando ancora i supermercati erano pochi e luogo del pellegrinaggio per effettuare la grossa spesa di famiglia, che riempiva la dispensa di casa, il Mercato di San Lorenzo, a Firenze, rappresentava il luogo degli acquisti quotidiani. All'aperto, nello spazio antistante il mercato coperto, erano i banchi dei verdurai e fruttivendoli. Ricordo i venditori imbacuccati e un poco goffi, con i guanti dalle dita scoperte per poter toccare con mano i frutti della terra e, al contempo, difendersi dai rigori dell'inverno. Alcuni anni dopo, anche a loro fu destinato il secondo piano dell'edificio e la vita si fece più confortevole. Ma nei primi anni 70 all'interno, dentro la struttura del mercato centrale, si alternavano i banchi del pesce e delle carni, i prodotti caseari e tutte le “delicatessen” che ne rendevano la visita piu ghiotta. Intorno al mercato antiche botteghe convivevano fianco a fianco, il lattaio, il panettiere che alla mattina presto sfornava le prime fragranti schacciate all'olio, vanto e delizia al palato del fiorentino; ad una di queste, vera e proprio boutique del gusto, il ricordo torna gravido di nostalgia.

I Calderai di via dell'Ariento, indiscusso tempio del cibo esotico e ricercato, che fa viaggiare in terre e sapori lontani. Qui bimba, entravo in punta di piedi, sempre preda di una certa eccitazione, attraversando la soglia sormontata dalla divertente insegna raffigurante un cuoco panciuto (secondo la più classica iconografia), a cavalcioni di un maiale, per accedere ad un mondo dai profumi intensi, le variegate forme e i tanti colori. Calderai era il solo luogo in città dove era possibile trovare il “Leberwurst” (patè di fegato di maiale, molto in uso nella cucina tedesca, quando ancora lo si mangiava con leggerezza e gusto e veniva ricavato da animali che avevano vissuto dignitosamente, fuori delle “gabbie di produzione”) il pane di segale, il burro salato ed il tè sfuso, che le mani svelte dei pizzicagnoli, dai grembiali sempre impeccabili, estraevano dagli eleganti scrigni verdi, i vasi metallici il cui compito era quello di preservarne intatto l'aroma. Oggi il tè, quello nero alla menta o al gelsomino non suscitano alcuno stupore, ma nella mia infanzia a Firenze la tazza di tè rappresentava la bevanda degli stati influenzali o del disturbo di stomaco, si prende il tè “quando si sta male” o al più si scimmiottano i “forsetieri” che di questa bevanda fanno uso. Del Calderai ricordo i grandi vasi (allora ai miei occhi di bimba apparivano immensi) ricolmi di escargot, i salumi e i formaggi, le agognate cioccolate, le gelatine di frutta e i bon bon, oltre a prelibatezze varie, provenienti da paesi lontani e dai sapori inusitati. Dal Calderai si andava il giorno prima del dì di festa, uscendone con piccoli cartocci ben confezionati, che racchiudevano, al loro interno, una promessa di evasione dal vivere quotidiano, un viaggio dei sapori sulle note profumante e attraverso l”assaggio pieno di curiosità di una prelibatezza esotica. L'officina del gusto, come sapientemente la descrive Manuela Plastina, nel gustoso, si può ben dirlo, libro a lei dedicato, ne racconta il suo passaggio in città: dalla nascita, sullo slancio di Firenze capitale, della neonata Italia unita, fino al 1984, anno in cui i costumi dei consumatori si orienteranno, inesorabilmente, sempre più verso una dimensione degli approvvigionamenti alimentari e non solo, rapida, di certo più pratica, nella gestione di tempi e logistica ma anche inevitabimente omologante.

A questo tramonto non è stato risparmiato neanche il Mercato centrale, anch'egli frutto del risanamento operato in città nella seconda metà dell'Ottocento: per renderla conforme al suo ruolo di capitale. Nasce, insieme ai suoi due fratelli, per rispondere alla crescita della popolazione, nonchè al nuovo assetto urbano. Per la sua realizzazione l'archietto Giuseppe Mengoni, già autore della Galleria Vittorio Emanuele di Milano, si ispirerà alle Halles parigine e il risultato sarà un edificio in linea con i dettami del tempo attraverso un uso generoso dei materiali allora in voga: ferro, vetro, ghisa. L'esito fu uno spazio, ampio, abbondantemente illuminato, grazie ai grandi finestroni che lo inondano dall'alto di luce naturale.

Negli anni, lentamente il mercato è andato sopendosi, a causa dello svuotamento del centro cittadino in favore delle periferie, complici anche la maggiore comodità offerta dai centri commerciali. Il Mercato coperto stava inesorabilmente scivolando nella funzione di mero mercato rionale, con qualche guizzo pittoresco ad uso e consumo dei turisti, perdendo in tal modo la sua funzione di centro di aggregazione cittadino. Nel 2014 la svolta. Nasce il progetto Mercato centrale frutto della collaborazione fra Umberto Montano, imprenditore della ristorazione ed il gruppo Human Company che si occupa di turismo all'aria aperta. La sua realizzazione vede al centro di questa nuova “piazza”, reale e fruibile, artigiani della ristorazione, che hanno dato forma a veri e propri laboratori del gusto, dove è bello sostare, osservare e anche partecipare. Non solo un luogo per fare la spesa o per mangiare dunque, ma molto di più, uno spazio in cui prodotti e sapienza si incontrano per dar luogo alla cultura del buon cibo, consapevole, sostenibile, e dunque genuino e immancabilmente gustoso! Al ritorno in città un nuovo centro di aggregazione, non sono mancate le crtiche dei nostalgici del “mercato così com'era” ma del resto anche nel 1874, anno dell'inaugurazione dello storico edificio che lo avrebbe ospitato, non tutti lo accolsero con favore, come del resto accade spesso di fronte alla innovazione. A mio parere, nonostante si tratti indubbiamente di una perspicace operazione di marketing territoriale e luogo di innegabile forte attrattiva turistica, (del resto questa è una operazione in uso da tempo in diverse capitali europee, una per tutte il visitatissimo e pregevole Naschmarkt di Vienna, con i suoi banchi trionfanti di spezie) Mercato centrale è infatti un format che negli anni è stato replicato in diverse città italiane: Roma, Torino e, ultimo nato, Milano, ha l'innegabile pregio di riconsegnare al tessuto urbano un luogo di aggregazione e centralità. Ne scaturisce una formula basata sul binomio cibo di qualità e cultura, in uno spazio della convivialità che, favorendo lo scambio e la comunicazione, trovo sia oltremodo virtuoso in momenti di aridità non unicamnete riferita al suolo ed ai territori.

Credo che un tessuto urbano possa far tesoro di esperienze variegate, ben vengano i mercati rionali, come ad esempio a Firenze è Sant'Ambrogio, un mercato che mantiene un assetto più popolare ma ha appunto una funzione diversa. Diversificando dunque, anche lo spazio del mercato goriziano, potrebbe beneficiare di una iniezione di energia, una realtà multifunzionale che valorizzi le eccellenze locali di cui questo territorio è tanto ricco. Credo che una operazione simile potrebbe incontrare il favore dei Goriziani e non solo, ne è prova il successo e la grande affluenza in città, in occasione dell'appuntamento annuale con la manifestazione “Gusti di Frontiera”. Sarebbe bellissimo un luogo multifunzionale a Gorizia! La citta del bel vivere, dellle incantevoli passeggiate di cui si stanno ampliando i percorsi, penso alla passerella ciclopedonale Isonzo – Soca inaugurata solo un anno fa, all'interno del progetto europeo Parco transfrontaliero Isonzo Soca, che favorirà i collegamenti fra Gorizia, Nova Gorica e San Pietro Vertoiba.

Lascio infine la parola ancora a Calvino nel confermare che: “Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni di un linguaggio: le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell'economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.”

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