Conoscevo Dora Bassi di nome o, come si suol dire, per sentito dire. Non sono esperta d’arte. Tutt’altro. Un quadro mi piace o non mi piace. Nel senso che se un quadro mi piace adoro vedermelo sotto gli occhi tutti i giorni, com’è avvenuto con l’Isonzo visto da Marina Legovini che fa bella mostra di se, in soggiorno, sopra la credenza inglese. Mentre non farei lo stesso con un’opera, anche se di un artista famoso, se l’insieme non mi suscita alcuna particolare emozione positiva.
Premesso un tanto, sapevo dell’esistenza di Dora Bassi
pittrice, tenuto conto che è a lei dedicata la sala mostre annessa
all’auditorium della cultura friulana di via Roma a Gorizia, ed è a lei pure
dedicata la sala polifunzionale di via Garibaldi dove vengono organizzati gli
incontri, anche da parte di questo Blog. Alcune sue opere, molto belle, sono
esposte nella Galleria Dora Bassi di via Roma, a Gorizia, a seguito della
donazione disposta, a favore del Comune di Gorizia, dalle figlie dell’artista
deceduta nell’agosto del 2007.
Ho avuto modo, invece, grazie alla partecipazione ad un
evento organizzato dall’Associazione Judrio, dall’infaticabile
presidente Hans Kitzmuller, di scoprire che Dora Bassi non è stata soltanto una
brava pittrice, ma poliedrica nei suoi interessi e capace di trasmettere
emozioni non esclusivamente attraverso i colori ma anche attraverso la
scrittura. Nell’incontro che si è svolto nella straordinaria cornice della
villa Bassi, che appartiene tuttora ad un ramo della famiglia, a Brazzano di
Cormons, sono stati letti brani dei racconti di un’infanzia e di una giovinezza
che descrivono, in maniera quasi commovente, le emozioni e le tensioni riferite
ad un’epoca in cui il pudore dei sentimenti era considerato una virtù. Man mano
che le frasi disegnavano l’alchimia di un’estate sospesa tra odore del fieno
tagliato ed il frinire delle cicale, al solo socchiudere gli occhi, il parco
della villa si animava di voci e risa e vedevo due bambine che, proprio sotto
la scala di accesso, vicino a dove ero seduta assorta, giocavano con i cinque
noccioli di pesca.
Dopo una settimana di blackout della connessione dati, a
causa di un guasto sulla rete, riprendo quindi a scrivere. Peraltro con
piacere, tenuto conto che la temperatura sta lievemente calando, anche se l’afa
estiva rende ancora penosa qualsiasi azione che non sia la lettura o la
scrittura. Vorrei aver conosciuto questa
donna dalla capacità espressiva così intensa ma, purtroppo, non ne ho avuto
modo anche se per motivi professionali ho conosciuto moltissimi degli artisti
regionali e non. Da Giuseppe Santomaso a Marcello Mascherini, da Federico Righi
a Tino Piazza, tanto per citarne alcuni.
Dora Bassi, invece, la conosceva bene Hans Kitzmuller che,
per il quotidiano il Gazzettino, l’aveva intervistata a proposito di un suo
inedito letterario: Il vertice e l’abisso. Ci racconta il professor Kitzmuller: “Scrivere
per me è un po’ come tornare a casa. Quando comincio a dipingere invece mi
sembra di stare ancora fuori, davanti ad una casa in costruzione”. Dora Bassi
formulava così quello che provava di fronte ad una pagina bianca o ad una tela
vuota. Pittrice, scultrice e scrittrice,
Dora era uno dei talenti più originali e liberi nel panorama delle arti visive
nella nostra regione. Questa necessaria localizzazione è però riduttiva. Chi ha
seguito la sua produzione artistica dagli anni Cinquanta sino ai primi anni del
duemila, chi ha letto oltre ai suoi numerosi articoli e saggi anche quel bel
libro di conversazioni con Gianfranco Ellero, sa che stiamo parlando di
un’artista di vasta e profonda cultura pittorica e letteraria, i cui
riferimenti sono quelli di un’arte del mondo.
La versatilità di
Dora Bassi, le sue metamorfosi, il suo percorso dal neorealismo all’informale e
al mistico filosofico, derivano in fondo da un continuo stato di necessità.
Dora Bassi è sempre stata un’artista in fuga che con sé portava via ogni volta
soltanto la consapevolezza di una forte creatività e il bisogno di esplorare
ogni possibile codice espressivo. Il
tono ottocentesco del suo primo romanzo pubblicato mi aveva sorpreso –
piacevolmente sorpreso. Ma non era soltanto la classica rivisitazione della
memoria legata ad una stagione della vita. L’amore quotidiano, uscito per Lint
nel 1998 è una storia costruita sui sentimenti di tre personaggi femminili, tre
generazioni che intrecciandosi si muovono fra Trieste, l’Isontino e Udine.
Autobiografia e riflessione si confrontano nel bisogno di superare
condizionamenti pesanti, dolorosi e soffocanti di un ambiente inadeguato. Al
lettore attento non sfuggiva però la sensualità di quella scrittura, la carica
erotica di tante annotazioni.
L’amore quotidiano era una resa dei conti col proprio mondo
passato, che aveva il suo centro in un piccolo paese friulano ai piedi del
Collio, Brazzano, luogo dell’infanzia e dalla giovinezza di Dora e quindi un
altro oggetto di amore quotidiano. Appunti lirici, affreschi paesaggistici,
momenti di intimità intensissimi, intarsiavano arricchendolo e variegandolo un
attento studio psicologico condotto con lievità e affetto, intelligenza e
ironia, tratti questi ultimi, peraltro comuni anche a tante altre sue opere di
genere diverso. Il romanzo era entrato in finale tra i primi dieci nel premio
Calvino. Sul risvolto di copertina si leggeva fra l’altro: “Tre generazioni di
donne raccontano l’amore che oltrepassa i confini e quello che ripara i dolori;
l’amore ingenuo dell’adolescenza e quello consapevole della maturità; l’amore
delle madri e quello delle figlie; l’amore romantico e l’amore difficile di
tutti i giorni, l’amore quotidiano. In questo romanzo d’esordio – scritto con
sensuale semplicità – Dora Bassi sa farci appassionare alle vicende delle sue
donne, narrando una storia che molti uomini farebbero bene a leggere…”
La curiosità mi aveva spinto a leggere anche un romanzo
inedito che Dora mi aveva passato per averne un parere. Prima di iniziare a
leggerlo ero sicuro che mi avrebbe di nuovo sorpreso. E così è stato. La
tematizzazione della donna non era dominante in Dora Bassi, e forse è stata
solo un capitolo del suo percorso intellettuale ed artistico. Il secondo
romanzo era infatti completamente diverso dal primo per linguaggio e argomento.
“Nel mio primo libro la scrittura era
più tradizionale, in questo invece è più tesa, perentoria. Questo si spiega
anche con il mio bisogno di adeguamento. Se parlo del passato ricorro ad un
linguaggio classico, se parlo dell’oggi scelgo uno stile attuale. In fondo sono
come Zelig. Questo libro l’ho mutuato dall’arte, nella composizione del quadro
io devo avere a disposizione molti registri espressivi. Ma ho già detto quanto
siano diverse le due cose: Quando si dipinge uno deve costruirsi i simboli. La
parola è simbolica e la ereditiamo già così. Insomma, sotto questo aspetto per
lei la pittura è fatica e la scrittura è gioia!”
In “Il triangolo e il
cerchio” – questo è il titolo del romanzo rimasto nel cassetto – sembra effettivamente
non esserci traccia di chi ha scritto “L’amore quotidiano”, svanito per lasciar
posto ad una voce narrante con un tono dai ritmi spezzati, secchi, realistici e
cinematografici da letteratura americana, una prosa da cui traspare una Dora
Bassi disincantata, spietata, amara e allo stesso tempo acuta, incisiva, dal
fraseggio breve che con immagini nitide e forti alterna osservazioni sull’arte
alla messa a fuoco di un’umanità mediocre e spesso squallida eppure ad un passo
dalla poesia. Le avevo chiesto subito se conoscesse “La luna e sei soldi” di
Somerset Maugham, un libro che la lettura del suo manoscritto per certi versi
mi aveva richiamato per contrasto. Il personaggio di Maugham, liberamente
ispirato a Gauguin, è una figura tremenda che, totalmente assorbita
dall’ossessione di un ideale di creazione artistica, si rivela assolutamente
indifferente ad ogni sentimento umano smascherandone e disprezzandone la
sostanziale stupidità. L’eroe di Dora Bassi viveva invece disastrosamente il
coinvolgimento nella modestia e nella banalità dei rituali dei sentimenti.
L’intervista di Kitzmuller è stata pubblicata su Il
Gazzettino di Pordenone il 22 dicembre 2002
Che rapporto ha Dora
Bassi con la scrittura e la letteratura? “Un rapporto, come ho già detto, molto più
liberatorio che con la pittura. La letteratura è come casa mia, appunto. I miei
compagni di letto che ho sempre sul comodino sono Italo Svevo, La coscienza di
Zeno, e Pablo Picasso. Sono i miei amici del cuore perché rappresentano
rispettivamente, Picasso, l’assoluta libertà che trovo con le parole quando
scrivo, Svevo, la timidezza e la puntigliosità che mi assalgono quando dipingo.
Ma per natura non sono fedele e ho anche molti altri amori. Alterno spesso
narrativa e monografie su artisti. La letteratura russa tutta e la letteratura
americana. Leggo Dos Passos, Puigg, Kerouac, Graham Green e ho scoperto gli
austriaci Doderer e Bernhard. Sono una grande lettrice. Lo sono sempre stata.
Posso dire anche quelli che non amo: Musil, ad esempio, non sono mai riuscita a
mandarlo giù. Svevo invece mi piace tanto, perché ha, come dire?, un rapporto
imbarazzato con la parola. Questo significa scoprire il peso della parola…
Svevo giustappone le parole come i grani di un rosario.”
Elio Marcon, in arte
Elio Del Monte è il nome del protagonista, un veneto che emigrato in Canada
scopre la sua vocazione per le arti visive e a New York conoscerà un breve
periodo di successo. Nel raccontarne la vita l’autrice si immedesima con
intensa partecipazione e desiderio di capire. “Ho voluto narrare la vicenda di un artista
che vive lucidamente la propria mediocrità assieme al bisogno di espressione
artistica; da un lato è condizionato da legami familiari, dall’altro dal
confronto con i grandi, la cui inarrivabile arte lo soffoca. Uno di questo è
Rothko, che Elio però non riuscirà ad incontrare a New York. Racconto insomma
la storia di tantissimi artisti, la storia dei più. L’ho ambientata a Milano,
Montreal e New York. I luoghi sono quelli degli artisti, delle gallerie e dei
critici d’arte. La voce narrante è quella di Dora del periodo milanese, che
decide di raccontare la vita di un suo amico.”
Perché il cerchio e il
triangolo? “Sono simboli primari
che Elio scopre leggendo la Divina Commedia. Simboli dell’abisso e del vertice.
In tutta la sua vita Elio ha cercato di trasformare in questi simboli tutte le
esperienze, il dolore e il superamento del disagio. Lui è partito sognando
Rothko, un grandissimo che invece è riuscito a compiere questa trasformazione
del proprio travaglio esistenziale in un luogo altro. Anche Elio trova comunque
la sua chiave espressiva. Non se ne accorge però. Quando arriva al momento più
importante della sua arte non se ne accorge!”
La pittura del
protagonista si ispira al filone mistico-filosofico americano degli anni ’70. È
stato un momento anche della pittrice Dora Bassi? “Misticismo?... Sì, inteso come slancio
verso l’infinito e l’essere. Ed è contrassegnato da un’idea della bellezza che
corrisponde al senso di stupefazione di fronte all’inconoscibile. Un tipo di
misticismo tipico degli atei.”
In questo tuo nuovo
romanzo in fondo c’è una donna che racconta un uomo. “È un po’ il contrario di quello che
Flaubert ha fatto con la sua Emma Bovary. Infatti, in realtà Elio c’est moi.
Quando ho cominciato a scrivere di lui, sentivo che tendeva a sfuggirmi di
mano. Dovevo rincorrerlo e immedesimarmi in lui. Le sue sono fughe dalla
famiglia. È uno che si sente limitato dalla grandezza degli altri e
tragicamente sente la limitatezza delle sue risorse. Ricostruendo la vita di
quest’uomo che ho conosciuto, c’è stata una sorta di sdoppiamento di
personalità. Scrivendone mi sfuggiva portandosi via però anche una buona parte
di me. Si tratta di un personaggio che tragicamente sente i propri limiti
invalicabili e la famiglia non fa che ricordarglielo… e allora la rimuove. Non
dà però colpa alla famiglia. È la storia di chiunque si metta in un’avventura
creativa.”
Un conversatore privilegiato con Dora Bassi è stato
senz’altro Gianfranco Ellero. Durante
l’estate del 1989 Ellero registrava lunghissime conversazioni svolte per molti
giorni con Dora nel salotto di Beivars affrontando gli argomenti più diversi.
Queste conversazioni rivelano l’apertura mentale di Dora e la vastità dei suoi
interessi. Sono conversazioni di vent’anni fa eppure si rivelano perlopiù
ancora attuali e continuano in ogni caso ad essere stimolanti. Ne esce un
ritratto della vivacità intellettuale e dell’acutezza di questa artista. Dora Bassi ha vissuto negli ultimi anni a
Gradisca, in un bell’appartamento sino a poco tempo fa ancora pieno delle sue
opere. Uno degli ultimi omaggi lo troviamo nel capitolo a lei dedicato in una
magnifica opera del 2008 di Luigi Vitale con belle foto accompagnate da un
commento di Roberta Corbellini, figlia di Dora che le è stata vicina. Quest’ultimo
testo è una delle cose più interessanti sinora scritte sulla nostra pittrice.
Le riflessioni di Hans Kitzmuller e l'intervista a Dora Bassi sono in fase di pubblicazione nella raccolta "Le domande di Neruda". Una selezione di scritti e saggi che uscirà ad ottobre per i tipi della Edizioni Braitan.
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