La straordinaria ricchezza del Goriziano: apriamo il forziere e condividiamone la conoscenza.


 Ebbene sì! Ho preso la definitiva decisione di modificare il nome di questo Blog. Non più “Vado a vivere a Gorizia” bensì “Vado a vivere nel Goriziano”. Il motivo è presto detto:  le piccole realtà territoriali, da sempre, cercano di portare in evidenza le peculiarità culturali, artistiche, gastronomiche, ambientali e paesaggistiche. Contrariamente a ciò che avviene, in pratica, a Gorizia, dove – ad esempio - la memoria storica di dei 500 anni antecedenti l’occupazione della città da parte dell’esercito italiano è stata volutamente rimossa. Anche se sulla base della memoria storica si costruisce la propria identità.

Quindi, ho deciso di promuovere il Goriziano o, per meglio intendere lo spirito del luogo, la sua storia, la sua gente, i suoi luoghi e,  perché no, anche la sua cucina, conseguenza di contaminazioni tra est ed ovest. Desidero, in pratica, promuovere il territorio nel raggio di 50/60 chilometri da quella che è la mia città natale, sia in Italia che in Slovenia. Mi sono convinta dell’opportunità  o meglio della necessità di farlo un paio di giorni fa, a Farra d’Isonzo, al termine dell’incontro sui benandanti che si è svolto nel bellissimo complesso museale dedicato alla civiltà contadina ed al quale hanno partecipato persone provenienti addirittura da fuori regione. Parlando con le persone che man mano arrivavano, mi sono resa conto di quanto è ricco il nostro territorio e quindi va aperto il forziere. Ho trovato anche un titolo per la nuova serie di incontri che spero di riuscire ad organizzare nel Goriziano: “Frammenti di storia e storie”.  Chi ha qualcosa da raccontare si faccia avanti. Vi aspetto numerosi.

Nel frattempo, anticipo una chicca alla quale si è fatto cenno proprio nell’incontro di venerdì scorso 18 settembre e che riguarda l’attività di ricerca svolta da Giorgio Mainerio (Parma 1535-1582). Non ho idea di quanti, ai giorni nostri, abbiano mai sentito parlare di questo personaggio eclettico, al quale va il merito se oggi, nelle diverse parti d’Europa, la danza  Schiarazule marazule è ancora in uso. (Anche se forse come danza di folclore e non di tradizione) propiziatrice della pioggia. Mainerio, già in odor di stregoneria (fosse o meno un simpatizzante dei benandanti) ebbe modo di ascoltare tale canto propiziatorio e ne trascrisse la musica armonizzandola in modo da conservarne il carattere arcaico nonché l’atmosfera esoterica. Il testo originale è andato perduto, della danza neppure si conoscono passi e coreografia. Si può soltanto presumere si trattasse di una danza sacra, per la fertilità dei campi; di quelle che si ballano con semplici passi ripetitivi spesso accompagnati da giravolte, per aiutare nell’esperienza estatica, la perdita del se cosciente (forse preludio di viaggi astrali). Di questa danza e del relativo canto che la accompagnava se ne ha notizia ufficiale. In un documento friulano del 1624 il brano, infatti, apparve in una causa del Tribunale della Santa Inquisizione con l’accusa di servire come accompagnamento musicale di un rituale magico per invocare la pioggia. E’ padre Bernardino Morra di Palazzolo della Stella in provincia di Udine a scrivere una lettera-denuncia all’inquisizione lamentandosi che dei cantori notturni non lo lasciassero dormire in pace.

Mainerio è un personaggio a dir poco strano. Un po’ come Menocchio anche se meno fortunato. E’ straordinario sia stato, ai tempi nostri, il medesimo Carlo Ginzburg  (attraverso la sua attività di ricerca storica) a consentirci ora di venire a conoscenza di una storia, o meglio ancora di storie, che più che la polvere del tempo, è stata la Chiesa a voler seppellire. Tempi bui, quelli dell’Inquisizione!  Mainerio sacerdote e mansionario nella cattedrale di Udine si aggiudicò nel 1576 il posto di maestro di cappella nel Duomo di Aquileia. Fu però anche indovino e adepto della magia o quanto meno studioso di scienze occulte (il tribunale dell’Inquisizione avviò un’indagine su di lui senza però giungere a prove conclusive per istruire il processo).  Anche diversi benandanti subirono l’Inquisizione. Ma la loro sorte, rispetto a Menocchio fu migliore, perché non vennero condannati a morte. I benandanti (alla lettera significante "buoni camminatori") erano gli appartenenti ad un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della terra diffuso in Friuli, intorno al XVI-XVII secolo. Di chi erano i Benandanti ne hanno parlato, diffusamente, a Farra d’Isonzo, Paolo Morganti ed Antonella Peressini in una sala affollata, COVID permettendo. L’iniziativa sarà ripetuta visto il gran numero di persone interessate che non hanno potuto intervenire a seguito del superamento del numero massimo consentito.

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