Si sente stanca, come non è mai stata. Anche respirare è una
fatica. Si volta lentamente a guardare fuori dalla finestra e vede i grandi
alberi viola contro il cielo azzurro. Rimane interdetta: non ci sono così tanti
lillà, nel suo giardino. Poi si scuote. No, non è a Gorizia, nella grande casa
vicino al fiume, la sua casa immersa nel verde. E’ qui, in Africa, a Nairobi. E
quelli non sono lillà, ma jacarande. Chiude gli occhi e si assopisce. Il
cavallo sgroppa. E’ irrequieto e lei fa fatica a tenerlo. Ora si lancia al
galoppo senza preavviso e lei teme di non riuscire a rimanere in sella. Dal
terreno riarso color mattone salgono nuvole di polvere. Non riesce a gioire
dell’aria fresca del mattino e del cielo di smalto per la furia disperata di
quella corsa. Riapre gli occhi e il
cuore le batte all’impazzata. Quello che si muove facendola sobbalzare è il suo
letto d’ospedale che fila attraverso bianchi corridoi e grandi finestre. Il
respiro le muore in gola e si sente cadere lentamente all’indietro. Attorno le
luci si smorzano, le voci sbiadiscono in un mormorio sempre più distante,
finchè arriva finalmente il buio.
Uno dei grandi polmoni di Gorizia si estende a nord, tra via
Montesanto e l’Isonzo. E’ verde di orti e di vigne, una delle antiche zone
agricole della città. Il piano regolatore del dopoguerra decretò la sua
destinazione urbanistica per creare un cuscinetto scarsamente abitato e
facilmente controllabile in direzione del confine con la neonata Repubblica
Jugoslava. Oggi una passeggiata da via degli Scogli a Salcano è un piacevole
cammino tra campi di lavanda e di Rosa di Gorizia, sempre in vista del Sabotino,
del Montesanto e di S. Gabriele. In primavera i ciliegi di Oslavia macchiano di
luce bianca le alture del Collio. D’estate si cammina annusando la fragranza
viola della lavanda e i gelsi, antichi testimoni dell’industria della seta che
prosperava in città, offrono ristoro alla calura. A ottobre i vigneti diventano
d’oro e, chissà come mai, appena comincia il freddo, questa è la zona
predilette per le evoluzioni degli storni prima della partenza per il sud.Il
pomerio cittadino era frequentato dai Borboni, che amavano cavalcare in questa
piccola prateria che circonda la città. Oggi vediamo anziani contadini che
legano le viti e moderne coltivazioni del tipico radicchio goriziano, la Rosa,
eccellenza agricola che viene venduta a peso d’oro. Poco prima di giungere alla
sbarra che segnala il confine con l’abitato di Salcano, dalla strada asfaltata
si diparte sulla sinistra uno sterrato che, dopo un’ampia curva, conduce a un muro di cinta e a un cancello in ferro
battuto, che si apre su un viale alberato e termina davanti ad una bella villa
ottocentesca.
Villa de Nordis è un semplice edificio a due piani,
ingentilito da un breve porticato che sostiene un terrazzo al primo piano,
sormontato da un ampio timpano. L’Imperial Regio notaio Antonio de Nordis, nato
a Vicenza nel 1838 e deceduto a Gorizia nel 1899, arrivò a Gorizia nella
seconda metà dell'Ottocento e sposò la sorella di Oddone Lenassi, Lydia, la
quale portò in dote la villa e il parco, destinatia residenza estiva della
famiglia, com’era costume all’epoca. La coppia ebbe due figlie, Eleonora e
Lydia. Quest’ultima sposò il conte boemo Ferdinando Hornik. La loro unica
figlia Lyduska de Nordis Hornik nacque nel 1921. Sappiamo poco dell’infanzia e
dell’adolescenza di questa ragazza dai magnetici occhi azzurri. Dobbiamo
immaginare che sia stata educata secondo le rigide regole della nobilità, ma
che il padre, ufficiale dell’Imperial Regio esercito, abbia inculcato nella sua
unica figlia la passione per i cavalli e che la sua famiglia multilingue,
com’era frequente a Gorizia in quegli anni, le facilitò l’apprendimento di
numerosi idiomi stranieri. Sappiamo che era caparbia, anticonformista e
decisamente indipendente, per l’epoca.
Lydusca si alza presto. Indossa una semplice camicia bianca
e un’ampia gonna scura. Salta la colazione, cosa che fa sempre arrabbiare sua
madre. Non mette neppure il cappello per proteggersi dai raggi del sole già
caldo di maggio. Scende di corsa nella stalla e sella personalmente il suo
cavallo preferito. Lo accarezza lungamente e poi gli sale in groppa. Esce
finalmente e fa scaldare l’animale. Annusa il profumo di erba fresca e calpesta
il tappeto bianco lasciato dai petali dei fiori di ciliegio. Poi lo incita al trotto e infine lo lascia
galoppare liberamente. Raggiunge in breve l’abitato di Salcano. Va al negozio
di prodotti coloniali di Via Montesanto al numero 258 (se volete togliervi lo
sfizio di cercarlo, il vecchio edificio adibito a emporio è oggi al numero 55
di via IX. Corps). Scende con destrezza, lega il cavallo alla staccionata,
sorride a nonna Marjuta, la proprietaria, e a un nugolo di bambini che le ronza
attorno. Conclude i suoi acquisti, risale a cavallo e torna verso casa. I
bambini sono affascinati dalla contessa, da quei fieri occhi celesti. Le loro
scorribande li portano spesso attorno alla proprietà de Nordis. Sbirciano oltre
il cancello per sorprendere Lyduska che cammina a piedi nudi nel parco, e sanno
che spesso scende sull’Isonzo a prendere il sole. Ma sperano di trovarla lì, in
giardino, perché quella donna bella e impetuosa li accoglie con un sorriso e
qualche dolcetto che riesce sempre a trovare per loro in cucina. I bambini
scappano via, eccitati e insieme intimiditi. Continuano le loro scorribande.
Nonostante il divieto esplicito, sono attratti dalle rovine del vecchio mulino
e del laminatoio, vicino al fiume. Scoperchiano le antiche travi, vanno a
caccia di serpenti e di more. Si impiastricciano le mani e bocca, poi tornano
verso la villa. Sperano che Lyduska offra loro un bicchiere di limonata fresca.
Lyduska era una giovane
affascinante e carismatica, colta e raffinata. Dobbiamo immaginare che
potesse aspirare ad un ottimo matrimonio. Si innamorò invece perdutamente di
Giovanni Piotto, il suo Nanni, un illustre sconosciuto e, a quanto ci consta,
il suo unico grande amore. E dobbiamo immaginare che la faccenda non fosse
particolarmente gradita alla famiglia e
all’entourage della contessa. Ma Lyduska era passionale e molto, molto
determinata. Fu uno zio, il nobile veneziano Francesco Dolfin, a trarre d’impaccio
i de NordisHornik, regalando alla giovane coppia una tenuta in Kenya. Quello
che avrebbe potuto significare una esilio dorato, si tramutò invece per Lyduska
e Nanni in una nuova nuova vita, esotica e avventurosa.
Il vento caldo le accarezza la faccia. Sono ormai in vista
della costa del Kenia, dopo un lungo viaggio in motonave attraverso il
Mediterraneo, il Canale di Suez, il Golfo di Aden e poi l’Oceano. Hanno lambito
l’Egitto, il Sudan e la Somalia. Hanno dormito nelle eleganti cabine, pranzato
nel lussuoso ristorante, hanno ballato e sognato a lungo il loro futuro in terra africana. E ora sono finalmente qua,
davanti alla barriera corallina e alla terra raccontata da Karen Blixen.
“L'aria, in Africa, ha un significato ignoto in Europa: piena di apparizioni e
miraggi, è, in un certo senso, il vero palcoscenico di ogni evento”. Continua
ad ossessionarla, quella frase della scrittrice danese. Lyduska sa che è
arrivata fin qui per cercare finalmente il palcoscenico della sua vita.
Scendono con un tremito di eccitazione la scaletta che li porta in terra
africana.
Furono anni di scoperte, di emozioni indescrivibili e di
duro lavoro. Furono notti di luna piena affacciati alla savana, con i ruggiti
dei leoni e delle iene a poca distanza da casa. Furono ore e ore di ispezioni e
poi di organizzazione delle piantagioni, di
governo delle maestranze. Impararono la lingua locale e istruirono la
servitù. Frequentarono assiduamente l’esclusiva comunità britannica di Nairobi
e conobbero tutti i suoi più illustri esponenti, compresa Sarah Churchill,
figlia del grande statista, di cui Lyduska divenne grande amica e che ospitò
spesso anche nella villa di Gorizia. Fecero lunghe cavalcate nello sconfinato
altopiano keniota e sperimentarono perfino numerose coltivazioni pioniere per
l’epoca, con metodi naturali che oggi si chiamerebbero “biologici”. Allo
scoppio della guerra Lyduska e Nanni tornarono in Italia e lei si propose come consulente di equitazione
per il Comando Alleato di stanza a Gorizia, nonostante l’antica ferita alla
gamba procuratasi da bambina le avesse
procurato un’osteomielite cronica che spesso la faceva zoppicare
vistosamente. Si divise tra l’Africa e
l’Italia per tutto il periodo della guerra, ma, al termine del conflitto e in
concomitanza con il tracciamento del nuovo confine, rientrò precipitosamente
per difendere la sua proprietà, destinata a finire in territorio jugoslavo.
Lyduska fece appello a tutta la sua determinazione, alle sue illustri
conoscenze e a una capacità di persuasione fuori dal comune. E se oggi si
osserva il tracciato confinario, non può sfuggire come il cuneo che si proietta
idealmente verso nord e che include per intero la proprietà in territorio
italiano non può essere stato la proiezione originaria del confine fra i due
stati. Da allora fu molto difficile sentirsi dire di no, a quella donna che era
riuscita nell’intento di deviare la “cortina di ferro”. Durante uno dei suoi
innumerevoli viaggi dal Kenya all’Italia, di fronte al rifiuto del personale di
bordo di imbarcare una splendida cavallina africana, Lyduska non si perse
d’animo e, con tutta l’autorevolezza di cui era capace disse: “Chiamatemi
subito il signor Cosulich, che ho qualcosa da dirgli”. Inutile precisare che la
cavallina trovò posto nella stiva della motonave, in barba a tutti i divieti.
Nel 1963 il Kenya ottenne finalmente l’indipendenza dal
Regno Unito. Le grandi proprietà private vennero nazionalizzate e la coppia
dovette abbandonare la tenuta situata sugli altopiani. Nanni e Lyduska non si
persero d’animo. Con l’indennizzo ricevuto acquistarono nuovi terreni presso
l’abitato di Karen, la cittadina che prese il nome dalla Blixen. Ricominciarono
tutto da capo. Anche se nel loro cuore rimaneva sempre l’Italia, la loro vita e
i loro interessi principali erano in Africa. E fu durante uno dei rientri, nel
1970, che Nanni Piotto perse la vita in un banale incidente stradale in
Provincia di Udine. Ancora una volta il destino di Lyduska si legò a quello di
Karen Blixen, che pure perdette il grade amore della sua vita, Denis
Finch-Hatton, in un incidente aereo. Come la grande scrittrice, anche Lyduska
non ebbe figli, ma, diversamente da lei, non abbandonò mai l’Africa e, dotata
di buone capacità imprenditoriali, amministrò per tutta la vita e con discreto
successo la sua proprietà.
Ascolta i rumori della notte. La gamba le fa male, scende a
fatica dal letto in cui dorme da sola ormai da molti anni. Nessuno ha più
sostituito Nanni, dentro quel grande letto e nel suo cuore, ma non importa.
Beve un sorso d’acqua, si affaccia alla finestra e sente i ruggiti lontani. Si
siede alla scrivania, accende la lampada e controlla il registro contabile.
Domani dovrà andare a Nairobi per accompagnare il figlio della cuoca dal
medico. Ha una brutta tosse e gli occhi rovinati da un’infezione che non si
decide a passare. Deve fare anche un sacco di commissioni e la sua giornata
sarà piena. Gironzola ancora un po’ per le grandi stanze buie e silenziose. La
gamba duole, ma c’è abituata. Si sente sola ma torna a letto e si consola con
il suo pensiero felice, quello di vivere pienamente una vita che le
rassomiglia. Spegne la luce nella fresca notte africana e attende il sonno
senza timore.
Romano Facca è un ragazzone alto e atletico. Ha appena
finito di potare gli olivi, quando viene ad accogliermi al cancello, è tutto
sudato e con un sorriso soddisfatto. La sua vita è cambiata nel radicalmente
quando una contessa gli ha proposto di diventare il custode della sua
proprietà, in via degli Scogli. Lui ci ha pensato una notte, poi ha detto di
si. Si è sistemato nella dependance, ha acceso la stufa a legna e si è messo a
lavorare. Ha tagliato l’erba, potato e curato i grandi alberi. Ha custodito e
curato la grande casa, il suo straordinario pavimento di seminato veneziano, ha
arieggiato le sale arredate con vecchie poltrone in pelle consunta color testa
di moro, trionfi di caccia e maschere d’ebano. Ha piantato cespugli di rose
antiche e alberi da frutta. Ogni anno ha atteso la contessa, che tornava a
Gorizia con la sua corte stravagante di servitori e di amici. Ha raccolto le
sue confidenza, l’ha aiutata a scendere le scale quando la gamba non le dava
tregua. Ha assistito a cene memorabili
alla presenza di diplomatici e nobiltà, con il fedele maggiordomo impeccabile
nella sua livrea di gala.
Ma l’ha vista anche cenare da sola, sempre con le posate
d’argento e nel rispetto di tutti i dettami del galateo, anche quando non stava
bene e l’assaliva la tristezza. Ha imparato a prendere confidenza con i
cavalli, a montarli e a guadagnarsi il rispetto e la fiducia incondizionata di
quella donna altera e determinata, famosa per il suo sguardo algido, ma capace
di affezionarsi profondamente e di tormentarsi per riuscire a fargli avere in
tempo un regalo per la nascita di sua figlia. Ora quella grande proprietà è
sua. Ha coronato il suo sogno di coniugare il suo lavoro con l’aspirazione di
fare il giardiniere e l’agricoltore.
Cura le antiche rose, organizza un grande orto che si arricchisce ogni
anno di una nuova varietà di verdura, progetta la realizzazione di un
bed&beakfast che renda omaggio al ricordo della contessa. Si ripromette di
riordinare le fotografie, le lettere e tutti i ricordi una vita, conservati
nell’antico baule al primo piano. Ma prima deve completare i lavori di restauro
della villa per preservarne l’integrità, e non è un’impresa da poco. La
proprietà rientra a buon diritto nei circuiti del FAI e periodicamente viene aperta al pubblico per
la bellezza del suo parco e per le reminiscenze storiche e personali della vita
di Lyduska, che meritano di essere conosciute e divulgate, e che contribuiscono
a decifrare una stagione controversa e affascinante della storia di questa
città.
La salute della contessa si aggrava negli anni duemila. Dopo
diversi ricoveri, muore in un ospedale di Nairobi nel 2006. Romano Facca, il
suo ultimo sostegno e ormai il suo ultimo, grande amico s’incarica del
rimpatrio delle ceneri e della loro tumulazione. La tomba di Lyduska de Nordis
Hornik guarda il mare, che è appena un bagliore rosato. Ironia della sorte, è
nel minuscolo cimitero accanto al Santuario mariano di Montesanto, oggi in
territorio sloveno, nella semplice tomba di famiglia, così come lei aveva
desiderato. Alle sue spalle corre la catena delle Giulie, dominata dalla lama
di luce del Monte Nero e dalla cupola di
roccia compatta di Sua Maestà, il Triglav. Il luogo che accoglie le sue spoglie
mortali è intenso e spettacolare, in bilico su due mondi diversi e affascinanti.
Così come la sua vita, divisa tra Gorizia e l’Africa, è la sintesi perfetta di
una vita straordinaria.
Il testo è di Anna Cecchini ed è un estratto del mensile
Gorizia News & Views, Anno n. 3, n. 1 gennaio 2019.
Bellissima e interessante storia GRAZIE
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