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E, in lontananza, Castagnavizza |
Non sempre una foto (soprattutto
se non rielaborata con i potenti mezzi dell’informatica) riesce a trasmettere
il desiderio di condividerla. Ma, a volte, è talmente bella che il negarne la
visione a tutti è davvero un delitto. Pensavo a questo, stamattina, mentre
appena alzata davo un’occhiata alle novità su FB. Se, poi, associo questo fatto
alla circostanza che da tempo cercavo l’occasione per pubblicare la storia dei
Borboni di Francia che sono ancora in molti a non conoscere, il gioco è fatto,
ovvero due piccioni con una fava. Ecco qua ciò
che abbiamo sulla porta di casa.
“La primitiva cappelletta -
costruita in sommità al colle della Castagnavizza, nel 1623, dal conte Mattia
Della Torre e Valsassina - veniva ampliata e trasformata in varie epoche.
Accanto ad essa si edificava anche un cenobio. In tempi diversi, il convento passava
dai monaci carmelitani ai domenicani, infine ai francescani. Attorno al 1796 vi
trovavano ospitalità alcuni sacerdoti francesi emigrati. Tra questi, il vescovo
di Perpignano, Antonio Leirys d'Eponches.
La Castagnavizza, modesto e
sperduto monastero, doveva entrare nella storia di Francia, dopoché nel 1836 vi
veniva sepolto Carlo X, il quale aveva prescelto Gorizia quale residenza
d'esilio per sé e per i suoi familiari, accompagnati da un centinaio di connazionali.
Successivamente, nella
stessa tomba scendevano: il figlio Luigi Antonio (+1844), duca d'Angouléme, in
esilio con il nome di conte di Marnes; la moglie di questi, Maria Teresa di
Francia (t 1851) figlia di Luigi XVI e di Maria Antonietta; la nipote dei
precedenti, Luisa Maria (+ 1864) sposata Borbone Parma, già reggente del ducato
di Parma e Piacenza.
Le salme dei quattro
principi reali francesi, inumate prima del 1883, giacevano a titolo provvisorio
nell'avello dei Torriani, in attesa di una terza restaurazione e dell'ascesa al
trono del duca di Bordeaux, Enrico V.
Enrico, in esilio conte di
Chambord, gravemente ammalatosi a Frohsdorf, nella prima metà del 1883
presentendo non lontana la fine dei suoi giorni, impartiva l'ordine di
costruire, sotto l'altare maggiore della chiesa della Castagnavizza, una cripta
capace di accogliere sei sarcofagi. Egli affidava tale opera di riordinamento
al fedele e vecchio servitore, Louis Obry, il quale - appena deceduto il
principe - partiva da Frohsdorf alla volta di Gorizia per attuare quanto
ordinatogli.
"... Et Obry a bouleversé les caveaux. Il a retiré, les cercueils
du Roi Charles X, de la duchesse et du. duc d'Angouléme et de la duchesse de
Parme qui reposaient dans les caveaux, où ils avaient été. decendus par les
dalles soulevées de l'église.
Il mit les ouvriers qu'il dirigeait lui-méme dans ces caveaux. Il a
réuni et inhumé dans les murs les ossements épars des vieux franciscains. Puís, au fond de la crypte,
sous le maltre-autel, il a édifié un grand caveau qui peut contenir six places,
trois de chaque cóté".
Con l'inumazíone di Enrico
nella nuova cripta - dove si trasferivano anche le prime quattro salme - i
feretri si trovavano e si trovano tuttora nella seguente disposizione: alla
destra (entrando dallo stretto corridoio) al centro Carlo X ed ai lati il duca
e la duchessa d'Angouléme; alla sinistra al centro Enrico V, alla sua sinistra
la sorella Luisa Maria, alla sua destra un posto libero destinato alla moglie
Maria Teresa di Modena.
Nel 1886 vi veniva deposta
la salma della contessa di Chambord, Maria Teresa degli Absburgo d'Este,
duchessa di Modena.
Nel sepolcreto piuttosto
piccolo, con soffitto a volta, i sarcofagi poggiavano, e poggiano tuttora, su
una piattaforma di marmo. Cinque sarcofagi semplicissimi, in stile impero -
opera del maestro scalpellino goriziano Ussai - in marmo bianco di Aurisina; il
sesto sarcofago, quello di Luisa Maria, di metallo lavorato da un artista di
Venezia. Nella parete del corridoio che porta alla cripta giace, dal 1839, in
un loculo chiuso da un vetro, la bara del duca di Blacas d'Aulps Pimodan, nel
1892, in viaggio con la moglie verso il vicino Oriente, faceva una sosta di due
giorni a Gorizia con il proposito di visitare i luoghi dell'esilio dei reali
francesi e la loro sepoltura. I due viaggiatori vi giungevano nel cuore
dell'inverno, con la neve appena caduta sulla città e sulle alture all'intorno.
I coniugi Pimodan, in una
carrozza di piazza, si avviavano alla Castagnavizza, ma l'acciottolato gelato
impediva al cavallo di affrontare la ripida salita della via della Cappella.
Ordinato al cocchiere di attenderli, essi proseguivano a piedi.
Pervenuto sulla terrazza
antistante la chiesa, Pimodan notava un lungo muro bianco "... percé en
son milieu d'une porte grise bardée de fer, que dominent la couronne royale et
l'écusson fleurdelisé.
Suonato ad un'altra piccola
porta, a lato della chiesa, i visitatori venivano accolti da un giovane
"... moitié frère lai, moitié domestique ... " che li guidava alla
cripta sotterranea.
"A droite et à gauche
de l'entrée du caveau, dans des vitrines de chéne, deux drapeaux de soie bordés
d'or; dans un coin, des monceaux debannières Pourissantes. Beaucoup de
couronnes ont disparu; je cherche vainement l'immense couronne de lierre et de
violettes en zinc: peint, apportée il y a quelques années par Mme la baronne de
S . . . et que les douaniers italiens voulaient absolument arréter à la
frontière …"
Descritta la collocazione
dei sei sarcofagi, Pimodan rilevava che "... audessus du tombeau du comte
de Chambord, une couronne royale, qu'un globe de verre protège contre
l'humidité du roc, scintille dans la demiobscurité"
Il diarista riporta anche la
visita fatta a villa Boeckmann ed al palazzo Lantieri, nel quale "... une
plaque de marbre noir, placée au pied de l'escalier rappelle seule le souvenir
de la princesse qui habita la maison".
Giuseppe Caprin in occasione
di una visita alla Castagnavizza verso il 1890 notava nel locale antistante la
cripta "... (alcuni) stendardi, funebre omaggio del legittimismo, appesi
alle mura e seppelliti per sempre in quella prigione della morte ... L'oro
delle bandiere irrugginisce, e la polvere e l'umidità logorano i simboli
ricamati sui drappi di seta e vanno cancellando le scritte: "Notre coeur
ànotre roi".
Le Lièvre visitando, nel
1900 la Castagnavizza così scriveva: "... Lungo le pareti dell'augusto
sepolcreto si osservano ricche ghirlande, stendardi e quadretti nonché altri
oggetti simbolici, ultimo tributo di omaggio dei legittimisti all'ultimo re di
Francia ...
Nel 1915, scoppiata la
guerra italo-austriaca, la collina della Castagnavizza - come tutta la conca di
Gorizia - veniva investita dal turbine bellico che infuriava dapprima sulle
sponde dell'Isonzo e poi sulle alture ad oriente della città.
La posizione strategica
della Castagnavizza (m.190 s.l.m.) - posta alle spalle di Gorizia rispetto alle
truppe italiane che tentavano di passare il fiume per conquistare la città
-fungeva all'inizio del conflitto da caposaldo della difesa austriaca, essendo
un ottimo punto di osservazione sulla sottostante piana dell'Isonzo. Da qui la
necessità del comando italiano di dirigere il fuoco delle sue batterie contro
questo campo trincerato e soprattutto contro l'osservatorio costituito dal
campanile. I ripetuti bombardamenti cagionavano i primi danni alla chiesa ed al
convento.
Le divisioni italiane, dopo
attraversato l'Isonzo, nell'agosto 1916, superavano Gorizia e avanzando in
profondità si attestavano sulle colline ad oriente della città. La
Castagnavizza si trasformava, allora, in un caposaldo della difesa italiana
verso levante, caposaldo sul quale infierivano i bombardamenti dell'artiglieria
austriaca. E' facile, quindi, immaginare i danneggiamenti subiti dal convento e
dalla chiesa posti in cima al colle.
Avvenuta l'occupazione di
Gorizia da parte dell'esercito italiano, Ugo Ojetti -incaricato dal Comando
supremo di inventariare opere d'arte, biblioteche, quadrerie pubbliche e
private e di porle in luogo sicuro - saliva sulla Castagnavizza per rilevare i danni
riportati dal convento e dalla tomba dei Borboni. Nel sotterraneo i sarcofagi
si trovavano intatti, allineati al loro posto. Ojetti notava sul sarcofago di
Enrico V una "campana di vetro" vuota "... La campana era li per
proteggere la corona reale, ma la corona era scomparsa. D'oro, dicevano i fanti
che s'affacciavano alla cripta togliendosi l'elmetto ... Chi se l'era presa?
Gli stessi austriaci? Né i carabinieri né i due frati rimasti sapevano niente
... "
Due mesi dopo questo primo
sopralluogo, Ojetti riceveva una telefonata da un ufficiale addetto al servizio
del generale Cattaneo, Comandante della Piazza di Gorizia. L'ufficiale
segnalava il ritrovamento, nella cucina di una casa abbandonata di via Ponte
Nuovo (attuale viale XX Settembre) di una corona, presumibilmente la corona di
Enrico V.
Ojetti accorreva nel luogo
indicato, rimanendo alquanto deluso "... perché la corona d'oro coi gigli
di Francia era d'argentone e di rame dorati, ma il generale saviamente ordinò
che fosse subito ricollocata nella cripta sull'arca sotto la sua campana"
Nell'interno del cerchio -
così riferisce Ojetti - si legge inciso: "Henrico V Regi. Quam non
portasti nec amisisti sed servasti coronam tuo nobis liceat imponere sepulcro.
Les Royalistes de la Cóte d'Or, 3 Sept. 1883"
Il 12 ottobre, la corona
veniva ricollocata sul sarcofago e si redigeva il verbale di consegna ai due
frati francescani i soli rimasti a guardia del convento. Questo il testo del
verbale:
"Oggi 12 ottobre 1916,
nella cripta sotto la chiesa di Castagnavizza presenti il Signor Generale
Cattaneo, Comandante la Piazza di Gorizia, il Signor Ten. Colonnello Pecorini,
il Tenente Ugo Ojetti addetto al Comando Supremo, il Tenente Sacerdote Adello
Tamburlani, il Sottotenente Emilio Mulitsch di Gorizia, è stata ricollocata
sulla tomba del Conte di Chambord (Enrico V di Borbone) la corona regale che,
ivi posta il 3 settembre 1883, dai "Royalisistes de la Cote d'Or" non
ritrovata in luogo il giorno dell'occupazione, fu rinvenuta il 10 ottobre nella
casa di via Ponte Nuovo".
Il diario storico del
Comando della Piazza di Gorizia menziona, alla stessa data, la ricollocazione
della corona sul sarcofago del Borbone. Proprio mentre stava compiendosi questo
atto riparatore, scoppiava un violento duello di artiglierie, seguito da un
attacco delle fanterie austriache contro i camminamenti scavati sulle pendici
del lato settentrionale della collina.
Racconta Ojetti: "Il
giorno dopo, al Comando Supremo, il generale conte de G., capo della missione
militare francese, venne a chiedermi notizie minute sul ritrovamento della
corona. Alto, magro, affilato, gli occhi azzurri quanto l'uniforme mi parlava
del conte di Chambord sottovoce, come in segreto. Mi domandò una copia del
verbale, la fotografia del diadema "Merci, merci, cher ami, de ce que vous
avez fait. je l'ai connu, vous savez, le Roi, J'étaís tout petit, il a passé la
main sur mes cheveux ." - D'un tratto vidi tremare la mano che reggeva la
fotografia. Gli occhi del generale della Repubblica erano colmi di lagrime".
Nel corso dell'autunno 1917,
l'offensiva austro-germanica, rompendo il fronte a Caporetto, costringeva
l'esercito italiano alla ritirata, consentendo alle truppe austriache di
rioccupare la regione bagnata dall'Isonzo e di dilagare successivamente nella
pianura veneta.
IL TRASFERIMENTO DEI RESTI
DEI BORBONI A VIENNA (1917).
La Castagnavizza presentava
l'aspetto desolante di ogni campo di battaglia, con le sue trincee, rifugi,
postazioni di mitragliere sui fianchi della collina e tra i ruderi della chiesa
e del convento. Unici locali preservati dalla devastazione, la tomba reale ed
il corridoio sotto la chiesa. I sotterranei, protetti da un solido soffitto a
volta e riparati anche dall'accumularsi delle macerie della soprastante chiesa,
avevano resistito per due anni ai proiettili dei due eserciti contrapposti.
Della sorte della tomba dei
Borboni di Francia si. interessava subito l'imperatrice d'Austria, Zita nata
principessa di Borbone-Parma, nipote di Luisa Maria ivi inumata nel 1864.
La corte di Vienna - essendosi
ormai il fronte di battaglia spostato sulle rive del Piave - disponeva di
iniziare la riparazione del convento. Prima di incominciare i lavori si
provvedeva, però, a porre in luogo sicuro le sei bare trasferendole
nell'interno dell'Austria e mettendole così al riparo da eventuali manomissioni
e danneggiamenti. All'opera di salvamento partecipava, assieme all'imperatrice
Zita, il principe Don Jaime del ramo spagnolo dei Borboni.
Verso la fine di dicembre
1917, il genio militare austriaco incominciava l'operazione di ricupero dei
feretri. Sgombrata anzitutto dal cumulo di macerie la parte della chiesa
sovrastante la cripta, si praticava una larga breccia nel pavimento della
chiesa stessa. Attraverso tale apertura si issavano i pesanti sarcofagi che, caricati
su un treno alla vicina stazione ferroviaria di San Pietro, partivano alla
volta di Vienna il 29 dicembre. Assieme ai sarcofagi viaggiavano anche alcune
corone e ghirlande metalliche.
Gli storici stendardi, ormai
in brandelli, depositati nella cripta fin dal 1883, alcune ghirlande ed altri
oggetti recati dalla Francia in omaggio ai principi esiliati, finivano invece
nel convento francescano di Lubiana, città sede della provincia francescana
della cui giurisdizione faceva parte, fino al termine della prima guerra
mondiale, il convento della Castagnavizza.
Nella primavera 1918, il
Comando austriaco iniziava la riparazione della parte meno lesionata del
convento, cosicché alla fine dell'estate un primo gruppo di monaci poteva
riprendere possesso dell'ala resa abitabile. L'opera di riedificazione del
monastero si interrompeva, però, in autunno, in conseguenza della sconfitta
militare e del crollo dell' Impero austro-ungarico.
Nell'estate 1923, lo
studioso triestino di storia patria, Oscar de Incontrera, saliva alla
Castagnavizza alla ricerca della settima bara, cioè quella di Blacas, che non
risultava essere stata trasportata a Vienna, sei anni prima.
Incontrera scriveva
"... non si profilavano davanti ai miei occhi che mura smantellate e
sgretolate, altari in rovina ed alti cumuli di macerie ingombranti il terreno,
frammisti agli sterpi e alla gramigna. Le intemperie corrodevano quelle pietre
sconnesse continuando l'opera demolitrice ... dei bombardamenti degli anni di
guerra".
I pochi monaci sloveni,
ritornati ad abitare nell'ala del monastero parzialmente riparata, non avevano
fino allora esplorato i sotterranei della chiesa, ritenendoli vuoti. Essi nulla
sapevano, quindi, dell'esistenza del feretro del duca di Blacas, rimasto al suo
posto per tutto il periodo delle alterne vicende belliche che avevano sconvolto
la collina.
Incontrera, con l'assistenza
del Padre vicario, si metteva alla ricerca dell'abbandonato feretro. A mezzo di
una scala a pioli, attraverso l'apertura fatta nel 1917 nel pavimento della
chiesa, lo storiografo triestino raggiungeva il corridoio sotterraneo.
"... Giunto al punto
localizzato anteriormente trovai una larga breccia praticata nel muro ai piedi del
quale giaceva la lapide capovolta, che copriva la tomba. Lo squarcio nella
parete lasciava scorgere una parte della cassa metallica immurata
trasversalmente nell'avello.
Alla luce di una torcia
elettrica si leggeva, un'iscrizione, a lettere dorate, che non lasciava alcun
dubbio: Pierre-Louís-Jean-Casirnir de Blacas d'Aulps, duc de Blacas, marquis
d'Aulps "
Allo scopo di accertare le
condizioni della bara e del suo contenuto, Incontrera si introduceva nello
stretto e basso locale. Scopriva così che alcune assi di legno nascondevano a
malapena la parte più larga della bara, cioè quella corrispondente alla testa
del defunto "... Insospettiti le allontanammo; allora si presentò ai
nostri occhi una macabra visione. Durante il periodo bellico venne, con una
lama tagliente, squarciato in quel punto il massiccio e robusto coperchio, per
frugare nell'interno del sarcofago, scomponendo il corpo imbalsamato! Poi per
nascondere l'infame violazione, avevano coperto il largo foro con quelle
tavole"
Incontrera si faceva premura
di segnalare alle autorità locali (Sovrintendenza alle Belle Arti) il
rinvenimento della bara manomessa e, contemporaneamente, informava i
discendenti del duca di Blacas. Questi davano mandato allo stesso Incontrera di
provvedere alle riparazioni necessarie.
Nell'agosto dell'anno
successivo, Incontrera, ritornato alla Castagnavizza, constatava che i lavori
di ricostruzione degli edifici stavano avviandosi bene.
Nel cantiere di fabbrica
egli individuava "... quattordici lapidi sparse sul pavimento della
chiesa, che ricordano ancora i personaggi che riposavano là sotto, mentre nei
sotterranei si conservavano le 14 stazioni dipinte, da un pregevole pennello
ottocentesco, per ordine della famiglia reale.Stazioni della Via Crucis che,
prima della guerra, fiancheggiavano l'erta salita che da Via della Cappella
portava al sagrato della chiesa".
La scelta della
Castagnavizza, fatta dai principi francesi, quale ultimo luogo di riposo dei
loro corpi, esigeva "... come un dovere morale, di promuovere, con tutti i
mezzi a disposizione, il ritorno di quelle salme nella ricostruita Saint-Denis
dell'esilio"
RICOSTRUZIONE DELLA
CASTAGNAVIZZA E RESTITUZIONE DEI FERETRI (1932).
Mentre la popolazione si
adoperava alacremente a sistemare le proprie abitazioni, parzialmente lesionate
o ridotte in macerie, altrettanto si impegnavano a fare i francescani della
Castagnavizza per la loro chiesa distrutta.
Dopo alcuni anni dalla firma
del trattato di pace italo-austriaco (trattato di Saint-Germain nel 1919) la
Casa generalizia dell'Ordine dei frati minori (francescani) sostituiva i monaci
del convento della Castagnavizza - appartenenti fino allora alla provincia
francescana di Lubiana - con monaci italiani della provincia di Padova.
Il nuovo Padre guardiano, il
trentino Pasquale Valentini - insediatosi assieme a quattro confratelli
nell'ala del convento restaurata nel 1917-18 avviava, come primo atto del suo
nuovo ufficio, le pratiche per ottenere il risarcimento dei danni di guerra subiti
dagli edifici. Prevedendo che la pratica avrebbe richiesto molto tempo prima di
concludersi, il francescano accendeva un mutuo presso l'Istituto di Credito
fondiario, gestito dalla Cassa di Risparmio di Gorizia.
Questa prima disponibilità
finanziaria consentiva di iniziare, nella primavera 1924, alcuni lavori di
ricostruzione della chiesa e della parte del convento ancora in rovine.
Nella stessa epoca, il
Comune di Gorizia prendeva l'iniziativa di un'azione concreta per assicurare
alla città la restituzione di quanto asportato durante la guerra, dal convento
francescano; cioè le ceneri dei principi reali francesi e quanto ornava le loro
tombe.
Anzitutto, la Giunta
comunale " ... ritenuto che le tombe anzidette riescono di lustro e decoro
per la città ... " deliberava in data 24 luglio 1924 di dare mandato
all'esecutivo di interessarsi affinché i resti dei principi reali di Francia
ritornassero alla loro primitiva sepoltura).
Nessuno, però, aveva notizie
precise sul luogo nel quale erano custodite le spoglie. Il prelevamento delle
bare mentre ancora infuriava la guerra in Europa e la confusione seguita in
Austria dopo la disfatta militare, cancellavano le tracce dell'operazione di
salvamento voluta dalla imperatrice Zita, nel 1917.
Basandosi su informazioni
frammentarie, non controllabili, il Comune apriva una pratica per chiedere al
Governo della nuova repubblica austriaca la restituzione di quanto asportato
dalla Castagnavizza. Il 27 agosto 1924 partiva per Vienna una lettera, redatta
in tedesco, con la richiesta al municipio di quella città di informazioni sui
feretri che "dovrebbero" trovarsi nella "Kapuzinerkirche",
accanto alle tombe imperiali degli Absburgo. Contemporaneamente, si chiedeva al
municipio del XIX distretto (Doebling) della stessa capitale austriaca, di
confermare o meno l'esistenza, presso quel convento di carmelitani scalzi,
delle bare contenenti i resti dei principi reali francesi. Ambedue queste note
ufficiali rimanevano inevase.
Per sciogliere i dubbi, il
sindaco di Gorizia, Giorgio Bombi, decideva di inviare a Vienna un funzionario
del Comune per assumere informazioni in loco. In novembre partiva per l'Austria
il funzionario del Comune, Giuseppe Zollia, al quale si accompagnava il Padre
guardiano della Castagnavizza. Preso contatto con la R. Legazione d'Italia a
Vienna - retta a quel tempo dal marchese di Soragna - il delegato del Comune
apprendeva che le sei bare giacevano, effettivamente fin dal 1917, nel
colombario del convento dei carmelitani scalzi di Doebling, mentre i sei
sarcofagi si trovavano custoditi in un edificio secondario del castello
imperiale a Schoenbrunn.
La riposizione di detti
sarcofagi - molto voluminosi e del peso di circa 30 quintali l'uno - era stata
effettuata attraverso una apertura praticata nel muro perimetrale
dell'edificio. Dopo l'introduzione dei sarcofagi, la breccia era stata murata,
precludendo ogni accesso ai locali. Il delegato si limitava pertanto a
"... un'ispezione dei sarcofagi attraverso le sbarre della finestra, che
dava sul cortile del castello. Più facile fu prendere accurata visione dei
feretri nella cripta di Doebling dove essi si trovavano assieme a corone in
ferro, a qualche bandiera ed a quanto altro vi era stato portato da Gorizia ...
".
Si appurava che, per
trasportare quanto prelevato dal sepolcreto della Castagnavizza, partiva dalla
stazione di Gorizia-San Pietro un convoglio di sette vagoni: 2 per le bare, 3
per i sarcofagi, 2 per la truppa di scorta agli ordini di un ufficiale. Gli
oggetti accessori viaggiavano in casse od in gabbie di solido legno.
Secondo le intenzioni
dell'imperatrice Zita, il trasferimento delle bare a Vienna doveva avere
carattere temporaneo. L'imperatrice desiderava che i resti della nonna Luisa
Maria, duchessa di Parma, e dei congiunti di questa avessero definitiva
sepoltura nella tomba del castello di Eckartsau. Con la dissoluzione
dell'impero austro-ungatico e la caduta degli Absburgo, tale progetto rimaneva,
ovviamente, irrealizzato.
Si accertava che a
Schoenbrunn si custodivano pure due lampade in ferro e bronzo, una piccola
stele in pietra sormontata da una croce, sei lapidi di marmo nero con le
iscrizioni relative ai defunti. Si diceva, che altri oggetti ornamentali della
cripta si conservavano invece nel convento francescano di Lubiana.
Localizzata così una parte
degli oggetti ricercati, il Comune di Gorizia si rivolgeva all'autorità
politica locale affinché interessasse della cosa gli organi di Governo.
Si faceva presente che -
stante il duplice rapporto di parentela tra la Casa di Savoia con i Borboni del
ramo primogenito e tra i Savoia-Aosta con i Borboni-Orléans - a Roma si poteva
trovare autorevole e valido appoggio alla soluzione auspicata dal Comune e
dalla cittadinanza.
Il Comune riceveva
assicurazioni che la Presidenza del Consiglio, previa intesa col ministro della
Real Casa, intendeva investire direttamente il ministero degli esteri di
"... esperire le pratiche diplomatiche per ottenere la desiderata e dovuta
restituzione"
Gli amministratori del
Comune, dopo assicuratosi l'interessamento della Presidenza del Consiglio e del
ministero degli esteri, facevano appello direttamente -. S.A.R. Elena di
Francia, duchessa d'Aosta, chiedendo il suo intervento personale a sostegno
dell'azione diplomatica da svolgere in sede internazionale.
A fiancheggiare l'azione del
Comune intervenne pure la massima autorità amministrativa della Provincia -
rappresentata allora da Luigi Pettarin che faceva a sua volta pressioni a Roma.
Ad una nuova sollecitazione
del Comune, la Prefettura comunicava, in forma ufficiale, nel marzo 1925, che
"... il Ministero degli affari esteri ha già iniziato le pratiche per
ottenere che i Carmelitani di Doebling siano indotti a restituire alla chiesa
della Castagnavizza le spoglie reali che essi hanno attualmente in custodia"
I contatti diplomatici
impiegavano più di un anno e mezzo per aggirare e superare i primi ostacoli.
In data 19 marzo 1927 la R.
Prefettura informava il podestà, senatore Bombi, che "... il R. Ministro
d'Italia a Vienna è in possesso del consenso, oltre che dei membri della
famiglia avente diritto, anche del Priore dei Domenicani di Doebling. Inoltre
assicura che il Governo austriaco ha dato le disposizioni necessarie, alle
autorità dipendenti, perché siano concesse le possibili facilitazioni alle persone
che si incaricheranno di tale trasporto"
A questo punto, tutto faceva
ritenere che l'arrivo dei feretri dovesse essere imminente. Senonché, a causa
della ritardata liquidazione dei danni di guerra, i lavori alla Castagnavizza
andavano a rilento. Ciò, ovviamente, causava serio imbarazzo ai francescani
esposti al rischio di dover chiedere un rinvio della traslazione.
Il Padre guardiano,
appoggiato dal Comune, esercitava quindi nuove pressioni a Roma, sollecitando
la definizione della liquidazione dei danni di guerra. Il regio Governo
disponeva allora la procedura d'urgenza alla pratica della Castagnavizza e
concedeva le agevolazioni stabilite per gli enti pubblici (legge dd. 10
dicembre 1922), dando disposizioni affinché il relativo incartamento venisse
trasmesso dal ministero dei Lavori pubblici al commissariato per la
liquidazione dei danni di guerra, con sede a Treviso.
Il 15 settembre dello stesso
anno, a cura del Padre guardiano, avveniva - con una cerimonia ufficiosa alla
presenza del Prefetto Cassini e delle autorità civili - la riposizione dei
resti del duca di Blacas d'Aulps nel loculo primitivo, dopoché la bara
scoperchiata durante la guerra era stata riparata. In quell'incontro il
rappresentante del Governo e gli amministratori cittadini concordavano le
modalità inerenti al trasporto delle salme dei principi reali ed alle relative
onoranze all'arrivo delle stesse a Gorizia.
Nell'attesa di avere da Roma
le disposizioni del ministero degli esteri, circa le regole di protocollo da
rispettare nella cerimonia della tumulazione alla Castagnavizza, si prendeva
contatto anche col ministero dei trasporti proponendo la soluzione più idonea
alle varie operazioni della traslazione. Per i pesanti sarcofagi necessitavano
due carri ferroviari da 150 tonnellate, da avviare sulla linea
Vienna-Rosenbach- Jesenice (allora stazione confinaria Italia-Jugoslavia) -
Gorizia Montesanto. Per le bare, un carro ferroviario avrebbe viaggiato a
grande velocità sulla linea Vienna- Salisburgo-Villaco-Tarvisio-Gorizia Centrale-Gorizia
Montesanto.
Siccome le tariffe delle
ferrovie austriache imponevano una tassazione differenziale -notevolmente più
elevata - per il trasporto di oggetti preziosi o di metallo dorato o argentato,
si chiedeva al ministero delle comunicazioni austriaco la concessione della
tariffa ordinaria, sia per il sarcofago metallico, sia per le bare di metallo.
In previsione che la
traslazione potesse compiersi nell'autunno di quello stesso anno, il podestà si
rivolgeva al direttore del "Corriere della Sera" Ugo Ojetti,
richiedendo la pubblicazione di un articolo per richiamare l'attenzione di più
vasto pubblico sull'eccezionale avvenimento. Arrivava a Gorizia Cesco
Tomaselli, redattore del citato quotidiano milanese. In una corrispondenza
pubblicata il 15 giugno 1927, l'articolista descriveva, sulla base delle
informazioni del Padre guardiano, quanto era stato asportato - oltre alle bare
- dalla chiesa della Castagnavizza, in particolare gli oggetti donati dai
legittimisti francesi ai loro principi esiliati.
Per inciso, diremo che
all'epoca del sopralluogo di Tomaselli, nel convento della Castagnavizza erano
state raccolte, in due locali dell'ala parzialmente riedificata nel 1917-18,
cinquemila cassette di legno con i resti di altrettanti soldati italiani ed austriaci
morti nelle battaglie in quella zona.
Resti inumati
successivamente nel sacrario militare di Redipuglia (caduti italiani) e nel
cimitero militare di Ronchi dei Legionari (caduti dell'esercito
austro-ungarico).
La notizia delle trattative
in corso tra Italia e Austria per il ritorno delle ceneri dei Borboni,
rimbalzava in Francia. Cosicché, fin dall'agosto 1927, l'agenzia viaggi Lubin
di Parigi scriveva al Podestà di Gorizia informandolo che un folto gruppo di
francesi intendeva assistere alla tumulazione.
Allo scopo di maggiormente
sensibilizzare l'interesse dei francesi, lo storiografo triestino Incontrera
divulgava la notizia in Francia con l'articolo Le retour des cendres des Rois
de France à Gorice .
In ottobre, "France
Illustrée" settimanale diretto allora da F. Veulliot e A. Bonnet "...
ayant été sollecité de dívers cótés ... " si faceva promotore di un
pellegrinaggio alla Castagnavizza. Nell'articolo, pubblicato il 10 ottobre
1927, si accennava brevemente alle vicende delle tombe dei Borboni esiliati.
Riferendosi al trasporto a Vienna, durante la guerra a cura dell'imperatrice
Zita, l'articolista così si esprimeva "... Il faudra un jour écrire le
drame dans Iequel vécut tragiquement cette petite impératríce autrichienne
tiraillée par des sentiments contraires ... Son
sang franqais des Bourbons parla un jour plus haut, il imposa sa loi dans son
áme, et méprisant les conventions protocolaíres elle ne voulut pas que deux
ancétres, Charles X de France et le Comte de Chambord, víssent leur sépulture
profanée . . .".
Il progetto di ambedue i
viaggi sfumava giacché - essendo ancora in alto mare i negoziati con Vienna -
tutto doveva venir differito ad altra epoca.
Circa le formalità da
seguire all'ingresso dei feretri in territorio italiano, il ministero degli
interni disponeva: "alla stazione confinaria di Tarvisio le bare saranno
prese in consegna da un rappresentante della R. Prefettura di Gorizia; gli onori
militari saranno resi da una compagnia di fanteria di cento uomini con fanfara;
un plotone di 30 uomini accompagnerà il convoglio, quale scorta d'onore ".
Fin dall'inizio del 1927 il
ministero degli esteri aveva impartito disposizioni precise anche sulle formalità
da osservare nel cerimoniale alla Castagnavizza. Il ministero prescriveva per
le autorità civili il tight o la redingote, per i militari l'alta uniforme. Il
servizio d'onore doveva essere reso da due plotoni armati di carabinieri in
alta uniforme e da truppa senz'armi in formazione su due plotoni.
In attesa dello sblocco dei
negoziati, il Podestà si adoperava intanto di ottenere dai francescani di
Lubiana la restituzione degli oggetti ornamentali che risultavano depositati in
quel convento: stendardi, paramenti sacri ed altri oggetti appartenenti al
sepolcreto della Castagnavizza. Il tentativo falliva, nonostante l'intervento
della Curia generale dei frati minori, avente sede a Roma.
Lo scambio di
corrispondenza, mirante ad ottenere dal ministero delle comunicazioni austriaco
agevolazioni tariffarie per il trasporto degli oggetti metallici, continuava
ancora nel biennio 1928-29. La tassazione prevista per gli oggetti di metallo,
considerati merce di lusso, costituiva per il Comune oberato da spese per
riparare gli edifici pubblici lesionati dai bombardamenti - un aggravio
finanziario eccedente di molto la preventivata spesa"
Mentre tardava la
conclusione delle anzidette pratiche burocratiche sul piano internazionale,
sopravveniva una complicazione imprevista, cioè il mancato assenso, da parte di
parenti dei defunti Borboni, al trasferimento delle spoglie di questi.
A proposito dell'ostacolo
sotto all'ultimo momento, Monti de Rezé scrive "... par un geste charmant
sur les ordres da M. Mussolini, le podestat de Goritz a pris les mesures
nécessaires pour que la Castagnavizza renaisse de scs cendres; mais jusqu'à
présent, les héritiers de M. le comte de Chambord, par des raisons fort
respectables du reste, ne se sont pas mis d'accord avec le Duce pour que cette
translation soit effectuée ... ".
Da notare che diretto
accenno al preventivo benestare dei congiunti più prossimi, per grado di
parentela, coi principi inumati alla Castagnavizza, lo troviamo già riportato
nel verbale delle determinazioni del Podestà di Gorizia in data 16 aprile 1928.
"... Con lettera di
data 19 marzo 1927 la R. Prefettura di Gorizia comunicò che erano state portate
a termine le pratiche relative alla traslocazione delle salme, e che erano
stati ottenuti tutti i necessari consensi, e daparte delle famiglie aventi
diritto e da parte del Governo della Repubblica austriaca . . . " Nei
documenti dell'archivio del Comune esiste una lacuna sull'ultima fase delle
lunghe trattative di cui si è fatto fin qui parola. Quindi, nulla ci illumina
circa la natura dell'impedimento sorto, quando ormai tutto autorizzava a
ritenere vicina la soluzione. Non conosciamo né la fonte né il movente del
mancato consenso a riportare le ceneri nel sepolcreto fatto costruire
espressamente da Enrico, ultimo del ramo primogenito dei Borboni.
La scelta della
Castagnavizza, quale luogo di sepoltura definitiva, veniva comprovata,
anzitutto, dalla costruzione dell'apposita cripta. Inoltre, voci filtrate
dall'ambiente dei legittimisti confermavano tale esplicita volontà del principe
esule. Infatti un giornale locale dell'epoca commentava: "... Rimane
accertato che qualunque dei pretendenti salisse al trono di Francia, i resti
del conte di Chambord non verranno rimossi dal sepolcreto della Castagnavizza,
perché prima della sua fine quel principe si espresse che anche nel caso di una
restaurazione egli proibiva di riportare in Francia le sue ossa.
Comunque, l'opposizione di
alcuni congiunti - dopo favorevolmente superata la lunga trafila burocratica
sul piano internazionale - causava un ulteriore ritardo al programma
prestabilito.
Incorre in una svista Pierre
de Luz quando, accennando alla sepoltura di Enrico V alla Castagnavizza, scrive
"... où ses restes reposent encore". E' comprensibile che Luz,
biografo (d'altronde documentatissimo come pochi altri) dell'ultimo Borbone del
ramo primogenito - seguendo da lontano le annose trattative più sopra descritte
-ritenesse ormai compiuto prima del 1931 il trasferimento nella primitiva
sepoltura. La stessa stampa francese raccoglieva e diffondeva, come accennato,
qualche notizia sui negoziati tra Roma e Vienna. Tali notizie, incomplete o
talvolta deformate, potevano causare interpretazioni erronee.
Alfine, nella tarda estate
del 1932, tutto doveva accomodarsi per il meglio.
Sul felice epilogo della
faccenda scriveva un giornale locale "... La richiesta per la restituzione
delle salme e dei sarcofagi fu fatta dal capo della Casa Borbone-Parma,
principe Sisto di Borbone, ed il priore del monastero di Doebling dava ora la
concessione".
A 40 anni di distanza da
questi avvenimenti abbiamo avviato una interessante corrispondenza con S. A. il
principe Saverio Borbone-Parma. L'attuale capofamiglia di questo ramo dei
Borboni ha voluto, con squisita cortesia, fare alcune precisazioni scrivendo:
"... Mia sorella, l'imperatrice Zita, non si era opposta, al contrario,
alla richiesta di riportare le salme alla Castagnavizza. Però essa non potè
intervenire direttamente, giacché le trattative tra i due governi di Roma e di
Vienna furono svolte a sua insaputa, forse per volere delle stesse autorità
italiane ed austriache".
Il 29 settembre 1932 le sei
bare - partite da Vienna in un vagone ferroviario speciale messo a disposizione
dal Governo italiano - varcavano il confine italo-austriaco a Tarvisio,
continuando il viaggio verso Gorizia. Le accompagnavano il segretario della r.
legazione d'Italia a Vienna, Roberto Chastel, e il Padre guardiano dei
francescani alla Castagnavizza, Giuseppe Degasperi. Le bare giunte alla
stazione Gorizia Centrale, proseguivano in serata per la stazione Gorizia
Montesanto, sostandovi fino all'indomani.
Alcuni giorni prima erano
stati ultimati alla Castagnavizza i lavori di ricomposizione e di collocamento,
nella cripta sotterranea, dei pesanti sarcofagi, giunti precedentemente con
altro convoglio, e si fissavano alle pareti le rispettive lapidi marmoree.
Tanto per far scendere le
varie parti dei sarcofagi di marmo, quanto per calare, in un secondo tempo, le
bare, si praticava un'ampia apertura nel pavimento della chiesa, ai piedi
dell'altare maggiore. L'operazione di discesa nel sotterraneo si effettuava a
mezzo di carrucole e verricelli fissati ad un'armatura di legno costruita a
castello sopra la predetta apertura. Tutti i lavori si svolgevano sotto la
direzione del capo dell'Ufficio tecnico comunale, ingegnere Riccardo Del Neri.
Rispettando il cerimoniale
preordinato dal ministero degli esteri, il 1° ottobre si trasportavano le sei
bare dal vagone ferroviario su altrettante prolunghe di cannone del 6°
Reggimento artiglieria da campagna, di stanza a Gorizia. Le prolunghe venivano
trainate ciascuna da 3 pariglie di cavalli. A fianco di ogni bara, come scorta
d'onore, due carabinieri in uniforme di parata e 4 artiglieri.
Si formava un corteo, aperto
da un plotone in armi di carabinieri in alta uniforme e dal Capitolo
metropolitano con Mons. Sirotti, amministratore apostolico della locale
diocesi. Seguivano le sei prolunghe di artiglieria, con le bare ricoperte da
corone; un secondo plotone di carabinieri; S.E. il prefetto Carlo Tiengo; il
podestà sen. Giorgio Bombi; il preside della provincia comm. Gino Morassi;
autorità civili e militari; i rappresentanti delle famiglie nobiliari goriziane
che avevano dato ospitalità ai Borboni (Coronini, Strassoldo, Lantieri);
organizzazioni sindacali e associazioni cittadine.
Lasciando alle spalle la
stazione "Montesanto", il corteo percorreva via Camposanto (ora via
San Gabriele), via del Torrente (ora via Corsica), via G. B. Formica e via
della Cappella). Sul piazzale a ponente della chiesa, il Padre superiore della
provincia trentina dei francescani, Virgilio Dematté, leggeva l'orazione
funebre e Mons. Sirotti celebrava una messa di requiem.
L'operazione di deposizione
delle bare nei rispettivi sarcofagi, già sistemati nella cripta, iniziava nel
primo pomeriggio. Il lavoro continuava fino a tarda sera, impegnando duramente
le maestranze a causa della ristrettezza del locale (un vano di 5 m per 3 m),
dei volume e del peso dei feretri stessi.
Il 4 ottobre il notaio
Rodolfo Seculin compilava l'atto di notorietà dell'arrivo delle salme e
dell'avvenuta tumulazione. Firmavano l'atto come testimoni, il Padre
francescano Aldeghieri Romano, il direttore dell'ufficio tecnico comunale ing.
Riccardo Del Neri, Luigi Tubaro, Francesco Glessi, scalpellino.
Contemporaneamente si stilava l'atto di consegna delle bare; atto controfirmato
da Giovanni Erenda, per la R. prefettura di Gorizia a nome del Governo, e dal
Padre guardiano della Castagnavizza Giuseppe Maria Degasperi, a nome dei frati
custodi del convento.
Il giorno successivo il
consigliere di prefettura, Giovanni Erenda, depositava presso l'archivio
notarile distrettuale di Gorizia l'atto (rogato a Vienna dal notaio Vittorio
Coglievina) di consegna dei feretri da parte del Padre guardiano dei
carmelitani scalzi di Doebling al Padre guardiano dei francescani della Castagnavizza.
Da un giornale locale
apprendiamo che il 4 ottobre 1932 "S. A. il principe Sisto di
Borbone-Parma, fratello dell'ex imperatrice Zita, ed il nipote, accompagnati in
automobile dal principe Alessandro della Torre-Tasso - di cui il Borbone era
ospite al Castello di Duino - assistevano ad un ufficio funebre. Il principe
francese si recava quindi ad ossequiare il Prefetto ed il Podestà"
Il 22 novembre dello stesso
anno, la duchessa Anna d'Aosta (dei Borboní-Orléans) proveniente da Miramare -
dove risiedeva da quando il consorte Amedeo duca d'Aosta comandava il 50 Stormo
aereo con sede a Gorizia ritornava alla Castagnavizza per assistere ad una
messa sulla tomba reale. La duchessa, che s'interessava ai lavori di ripristino
della Castagnavizza, vi era salita (13 giugno 1932) quando ormai la cripta era
pronta ad accogliere le ceneri dei reali esiliati.
Il 23 luglio 1933 il duca di
Blacas, pronipote del fedele dignitario della corte di Carlo X, veniva a
Gorizia, accompagnato dal senatore Salvatore Segré Sartorio e da Oscar de
Incontrera da Trieste, per visitare la tomba del bisnonno, apponendo la firma
nel registro dei visitatori.
Nei primi fogli del registro
dei visitatori, iniziato nel 1836,, i frati riportavano il nome delle
personalità salite alla Castagnavizza a rendere omaggio alla sepoltura di Carlo
X. Successivamente i visitatori stessi apponevano la loro firma. Le firme si
contano a centinaia ogni anno, ad esclusione dei periodi di guerra.
Le tragiche vicende, seguite
al secondo conflitto mondiale e conclusesi, per l'Italia, con la sconfitta
militare, costarono alla nostra città la perdita dei sobborghi orientali,
inclusa la Castagnavizza, assegnati alla Jugoslavia.
Dopo molti anni di forte
tensione, la situazione sul nuovo confine si attenuava, portando - in
conseguenza dell'insopprimibile legge della complementarietà dell'economia del
nucleo urbano con quella del contado - alla normalizzazione degli scambi
commerciali e del movimento turistico nei due sensi. Così divenne possibile
maturare contatti sul piano culturale e riprendere ad occuparci di un monumento
storico rimasto oltre confine: le tombe dei reali di Francia che per oltre un
secolo attirarono nella nostra città un cospicuo numero di francesi.
Nel 1972 - ricorrendo il 40'
anniversario della restituzione delle spoglie mortali degli esuli principi -
venne allestita alla Castagnavizza, sotto il patrocinio dell'Ente provinciale
per il turismo, una mostra di ritratti (in fotocopia) e di documenti illustrativi
sulla vita dei Borboni di Francia che scelsero quel convento come loro ultima
dimora.
In questi ultimi anni si è
verificato un incremento negli arrivi di francesi a Gorizia per visitare i
luoghi del soggiorno dei principi esiliati e per rendere omaggio alle loro
tombe. Qualche gruppo portò corone di fiori e targhe ricordo.
In questa succinta rassegna
di avvenimenti relativi alla Castagnavizza, sarebbe fuori luogo scendere in
particolari. Merita, però, fare almeno un breve accenno al soggiorno nella
nostra citta di un appassionato studioso del castello di Chambord M.
Jean-Jacques Boucher, il quale, prendendo contatto col sindaco Pasquale De
Simone, ottenne da questi una serie di documenti (in originale, se doppioni, o
in fotocopia) conservati nell' archivio comunale e riferentisi ai reali di
Francia. Lo stesso studioso francese richiedeva all'autore di queste pagine
altra documentazione iconografica sul medesimo tema. Tutto il materiale
documentario "goriziano", opportunamente ordinato da "M. l'inspecteur
du. cháteau" figurerà -come una pagina di cronistoria francese (1836-1886)
da rivivere per immagini - in un'esposizione permanente che verrà allestita in
una delle sale del castello di Chambord, uno dei più rinomati manieri del
dipartimento Loir-et-Cher.
A proposito dei resti
mortali dei principi francesi custoditi alla Castagnavizza si può concludere
questa nota ricordando che un gruppo di cittadini parmensi aveva lanciato
l'idea di adoperarsi affinché le ceneri di Luisa Maria di Borbone, ex duchessa
di Parma e Piacenza, venissero trasferite a Parma. La cosa cadeva, poi, nel
nulla.
Più recentemente, in Francia
prendeva corpo il progetto di avviare trattative, sul piano internazionale, per
far rientrare in Patria le spoglie degli esiliati Borboni del ramo primogenito.
Benché, finora, si tratti di
voci isolate, non è da escludere che tale operazione venga, un giorno, portata
a termine, dimodoché le vicende delle tombe reali potrebbero avere altri
sviluppi."
Tratto da LE VICENDE DELLE TOMBE DEI REALI DI
FRANCIA ALLA CASTAGNAVIZZA di Luigi Bader.
La bella foto è di Anita Costaperaia
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