Italiani di ritorno: L’altra anima (spesso imposta) di Gorizia

Gorizia non è mai stata una città semplice. Non lo era prima, quando faceva parte dell’Impero austro-ungarico, e lo è ancora meno oggi. Ma se vogliamo capire qualcosa della sua identità, dobbiamo iniziare da un punto fondamentale: qui nessuno è “di qui” da sempre.

Dopo la Prima guerra mondiale, quando Gorizia fu annessa al Regno d’Italia, la città iniziò a cambiare volto. Arrivarono i primi “italiani di ritorno” – o forse sarebbe meglio dire: italiani in missione. Non erano esuli, non cercavano rifugio. Venivano per occupare, riorganizzare, “bonificare” culturalmente. Erano funzionari, militari, insegnanti, impiegati statali. Arrivavano da Ferrara, Bologna, dalla Toscana, dalla Lombardia. Venivano a portare l’italianità là dove – secondo la narrazione ufficiale – era sempre esistita ma era stata soffocata.

In realtà, Gorizia era una città plurilingue, mitteleuropea, cosmopolita. L’italianizzazione non fu un incontro: fu uno sradicamento. Iniziò con le cattedre assegnate agli insegnanti “puri italiani”, continuò con il cambio dei toponimi, la repressione del friulano e dello sloveno, e culminò nel fascismo con la chiusura delle scuole di lingua diversa, la sorveglianza politica, l’esilio culturale di intere famiglie. E poi, dopo la Seconda guerra mondiale, una seconda ondata. Quella degli esuli. Quella degli italiani feriti, che avevano perso tutto e cercavano di ricominciare. Anche loro, a modo loro, italiani “di ritorno”. Ma da un’altra direzione, con altre motivazioni. E così, nel tempo, l’identità italiana a Gorizia si è stratificata: c’è quella “storica”, borghese, liberale; quella “nazionale”, portata dagli apparati statali dopo il '18; quella “traumatizzata”, portata da chi è fuggito da est dopo il '45. Tre anime, tutte italiane, ma molto diverse tra loro.

Parlare oggi di “italiani di ritorno” significa raccontare un’identità imposta, cercata, sofferta. Una presenza che ha lasciato tracce nei cognomi, nei modelli educativi, nel paesaggio urbano. Ma anche nelle fratture non ancora ricomposte. Gorizia non è mai stata monolitica. E se oggi è una città chiusa, sospesa, forse è anche perché non ha mai davvero digerito queste stratificazioni. Perché nessuno le ha mai raccontate con onestà. Forse è arrivato il momento di farlo.

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