L'avventurosa storia di Pierina Emma Savorgnan di Brazzà Cergneu da Gorizia al lago Bajkal

E’ comune che, quando si è giovani, si abbiano molti sogni e aspirazioni per il futuro. In questa fase della vita, si ha la possibilità di esplorare il mondo, di sperimentare nuove cose e di scoprire quali sono le nostre passioni e i nostri interessi. Molti giovani sognano di avere successo nella propria carriera, di trovare un lavoro gratificante e di fare la differenza nel mondo. Altri possono sognare di viaggiare, di esplorare nuovi luoghi e culture, di conoscere nuove persone e di ampliare i propri orizzonti.

I miei sogni d’avventura erano quelli di fare un viaggio lungo la ferrovia Transiberiana. L’immaginavo un'esperienza emozionante e avventurosa, anche se ne sapevo molto poco di essa prima. Questa ferrovia, che attraversa tutta la Russia, è una delle più lunghe e iconiche del mondo, offrendo ai passeggeri una vista spettacolare sulla vasta campagna siberiana e sulle città lungo la strada. Sognare il viaggio sulla Transiberiana rappresentava, per me, la sintesi del desiderio: scoprire luoghi nuovi e sperimentare qualcosa di diverso. Mi rendo conto oggi che, come tutti i sogni, non è sempre necessario prenderli alla lettera. Perché dovrebbe essere utile considerare il significato simbolico del sogno e capire cosa rappresenta per noi personalmente. Ad esempio, il viaggio lungo la Transiberiana potrebbe rappresentare la nostra ricerca interiore, la scoperta di nuove sfide e di nuove possibilità nella vita, o anche la necessità di abbandonare la nostra zona di comfort per raggiungere i nostri obiettivi. Sta di fatto che quello lungo la Transiberiana è un sogno che non ho mai realizzato. E credo proprio che mai realizzerò. Ma al di là del sogno ed in un approccio quindi molto più pratico, storico e geografico, tanto per rimanere coerenti con le nostre origini, c’è un elemento oggettivo di cui sono venuta a conoscenza in tempi molto recenti ed è quello che il lavoro dei friulani nella costruzione della Transiberiana è stato un contributo importante alla realizzazione di quella che può essere considerata una delle più grandi opere di ingegneria del mondo. E si tratta proprio della costruzione della ferrovia Transiberiana, che collega Mosca a Vladivostok, i cui lavori sono iniziati nel 1891 e si sono conclusi nel 1916. Molti operai italiani, tra cui appunto molti friulani, erano stati reclutati per lavorare alla costruzione della ferrovia. In particolare, tenuto conto che gli operai friulani erano noti per la loro abilità nella costruzione di gallerie e ponti. La loro esperienza nella costruzione di opere simili nelle Alpi italiane si era dimostrata utile nella costruzione della Transiberiana, che attraversava diverse catene montuose. La costruzione della ferrovia Transiberiana fu un'impresa monumentale che richiese decenni di lavoro, impegno e sacrificio umano.

I lavoratori impiegati nella costruzione della Transiberiana provenivano principalmente dalla Russia, ma vi erano anche molti lavoratori stranieri, oltre agli italiani, anche cinesi, giapponesi e coreani. Questi lavoratori erano sottoposti a turni di lavoro massacranti, spesso di 12-16 ore al giorno, e venivano pagati in base alla quantità di lavoro che riuscivano a completare. Le condizioni di vita erano estremamente precarie, con poche attrezzature di sicurezza, scarsa igiene e condizioni di lavoro pericolose. Inoltre, i lavoratori dovevano affrontare il clima rigido e i disastri naturali come valanghe, terremoti e inondazioni, che causavano danni alle infrastrutture e mettevano a rischio la vita dei lavoratori. Non è un caso, quindi, se la costruzione della Transiberiana è stata definita "la più grande tragedia umana del XIX secolo" a causa della perdita di vite umane e delle condizioni inumane in cui i lavoratori erano costretti a lavorare. Nonostante le difficoltà, la costruzione della ferrovia fu completata nel 1916, trasformando la Russia e aprendo nuove possibilità di commercio e viaggi.

Ed è su questo tracciato di sassi, di sudore e di sangue che ho scoperto l’incredibile storia della contessa Pierina Emma Savorgnan di Brazzà Cergneu nata a Gorizia il 14 novembre 1846. Era la figlia del conte Ludovico Savorgnan di Brazzà e di Anna Madalen, triestina, di famiglia non nobile. La famiglia non era goriziana; il casato infatti è di Nimis. Ma, come tante famiglie nobiliari aveva casa anche a Gorizia. Infatti, nei registri di nascita disponibili presso la Curia arcivescovile di Gorizia, la famiglia risultava residente al civico 8 di Studeniz, ovvero nell’area dove ancora (seppur in condizioni fatiscenti) si trova palazzo Studeniz, più noto come villa Louise.

Una regista francese, friulana d’origine, Christiane Rorato, nel 2017 ricostruisce una delle pagine dimenticate del lavoro friulano nel mondo e non a caso intitola il suo film I dimenticati della Transiberiana . Affascinata già da tempo dalla terra dei suoi antenati e specializzata nel recuperare fra le pieghe della storia episodi e personaggi poco noti o del tutto sconosciuti ma che si rivelano importanti e di grande fascino, Christiane Rorato ha regala una rappresentazione commovente sull’epopea degli emigranti friulani che, tra la fine del 1800 e gli inizi del ‘900, tra mille difficoltà e disagi, contribuirono alla costruzione della mitica ferrovia siberiana. Lo svolgimento della storia si arricchisce di tante vicende e intrecci nei quali si affacciano personaggi, a loro volta dimenticati, silenti protagonisti di quel tempo. Christiane Rorato è affascinata da uno di questi, tanto da assumerne lei stessa l’interpretazione nel suo film: la contessa Pierina di Brazzà Savorgnan Cergneu, discendente di una nobile famiglia friulana. Vissuta tra l’Austria e il Friuli, a 50 anni decise di seguire il marito ingegnere, Valentino Floreanut (o Floriani) impegnato nei lavori della ferrovia a Missavaia, sulla riva meridionale del lago Bajkal, dove nel tempo si fece conoscere come “la madre degli italiani”, poiché aiutava gli operai a compilare i documenti e a spedire le loro lettere alle famiglie. Fu coinvolta e travolta come tanti altri nostri connazionali dallo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre e, quindi, di un avventuroso rientro. La sceneggiatura del film ne riprende i passaggi salienti di questa esperienza, un libretto curato da Livia Giordani e le notizie legate alle vicende familiari ci consentono di ricostruire un ritratto di questa donna intrepida e coraggiosa che, rientrata in Friuli visse novant’anni, attraversando tutta la metà dell’Ottocento sino al 1936. Ma partiamo dall’inizio.

La contessa Pierina Savorgnan di Brazzà – secondo quanto racconta Alberto Vidon - arrivò in Siberia seguendo il marito, Valentino Floriani (o Floreanutti) di Nimis, impegnato come concessionario nei lavori sulla tratta della ferrovia Circumbaikalica. A partire dal 1897 si stabiliscono a Irkutsk dove assunse un ruolo di rilievo nella vita sociale sia per la sua condizione nobiliare che per la sua preparazione culturale attestata dalla conoscenza di più lingue. Ottenne anche l’incarico di insegnante di latino e tedesco nel locale ginnasio, e svolse il ruolo di corrispondente dalla Siberia di alcuni giornali europei, tra i quali il Fremdenblatt di Berlino. Negli anni della Prima Guerra Mondiale venne preposta al servizio sulla censura per la regione della Siberia orientale. Il professore Salvatore Minocchi dell’università di Pisa, dopo aver visitato i cantieri sulla Transiberiana nel 1903, così la ricordò in un discorso tenuto al Collegio Romano alla presenza della regina d’Italia Margherita: “Italiana di natali e di cuore, ella fa le veci di un console. A lei, colta e pratica della società, ricorrono i nostri operai, che ella accompagna dal medico, dall’avvocato, negli uffici di polizia e assiste chi ha da aggiornare i passaporti: e, occorrendo, ottiene per loro biglietti ferroviari gratuiti… Per suo interessamento, il dott. Bergmann fornisce medicine gratuite ai bisognosi e fa un trattamento di favore a chi ricorre alla sua clinica.” L’eccezionalità della figura si rivelò fin dall’inizio della sua permanenza in Siberia, infatti quando giunse a Irkutsk nel 1897 vi trovò molti lavoratori italiani che sono senza lavoro per una temporanea mancanza di fondi da parte delle autorità preposte alla realizzazione della Transiberiana. Essi si ritrovano bloccati perché il loro passaporto era scaduto senza che il consolato italiano di Mosca avesse risposto alle loro richieste di rinnovo dei documenti; la contessa allora si prodigò in prima persona, fece convocare gli emigrati e compilare una lista con i loro dati personali. Spedì al console la documentazione, dichiarandosi pronta a rivolgersi alle autorità superiori in assenza di un’adeguata e pronta risposta. Non solo il suo intervento risolse la questione, (infatti grazie al suo intervento deciso giunsero le concessioni dei documenti rinnovati necessari per permettere alle maestranze di riprendere il lavoro) ma poiché il consolato era troppo lontano anche geograficamente dalle necessità degli italiani Pierina Savorgnan di Brazzà ottenne di essere nominata quale rappresentante per la città di Irkutsk. Così continua Minocchi nel suo discorso elogiativo: “Grandi e molteplici sono le sue benemerenze. I nostri emigrati di Irkutsk e delle rive del Bajkal benedicono il nome della solerte e generosa nobildonna che essi amano chiamare col nome di Madre degli Italiani”.

Gli avvenimenti della Rivoluzione Russa travolsero, comunque, Pierina Savorgnan di Brazzà come i molti suoi compatrioti: la sua abitazione a Irkutszk fu oggetto di saccheggi da parte dei rivoluzionari. Nell’assalto e nei mesi successivi perse tutto. Memorie e averi frutto di vent’anni di lavoro e sacrifici, tutto ciò oltre all’età ormai avanzata la spinse a desiderare di tornare in Italia. Relativamente a questi drammatici avvenimenti, il volumetto di Livia Giordani traccia, anche attraverso gli scritti della contessa pubblicati sulla rivista La Patria del Friuli. Nel maggio del 1921 intraprese un avventuroso viaggio di rientro in patria; dopo aver raggiunto Vladivostok, s’imbarcò, infatti, per l’Europa su una nave giapponese: la Texas Maru, che tra gli altri passeggeri, riportava verso casa numerosi trentini e giuliani ex combattenti dell’Imperial Regio esercito austriaco i quali, fatti prigionieri dai russi durante la Prima Guerra Mondiale sul fronte della Galizia, subìrono la prigionia ed il lavoro forzato in Siberia. Assieme alla contessa e ad altri italiani protagonisti dell’epopea della Transiberiana, scapparono tutti dallo sconvolgimento rivoluzionario. Ma la cattiva sorte si abbattè su alcuni che non ce la fecero a raggiungere Trieste, porto di destinazione, perché morirono durante il lungo viaggio per tubercolosi o altri malanni. La contessa invece riuscì a raggiungere Nimis lasciando un memoriale nel quale descrive gli orrori della guerra civile e le condizioni avventurose del suo viaggio di rientro.”

Al di là della situazione tragica personale di chi ha perso tutto, per Pierina di Brazzà il dolore più grande è stato quello di rimanere inascoltata alla richiesta di aiuto per i tanti italiani che erano rimasti in Siberia senza avere la possibilità di fare ritorno a casa. In un apposito capitolo Per i dispersi e i prigionieri in Russia, Livia Giordani fa sintesi di ciò che è stato fatto e di ciò che si sarebbe potuto fare, portando anche alla luce l’energica azione di sensibilizzazione che don Roberto Merluzzi di Risano, “vulcanico sacerdote che aveva vissuto la trincea con i suoi alpini” e che con Pierina di Brazzà mantenne una fitta corrispondenza. Ma non ci fu “nessun intervento che rompesse il silenzio da parte del consolato italiano di Mosca, dell’Ufficio prigionieri della Santa Sede, della Croce rossa e delle organizzazioni umanitarie che operavano faticosamente.

i I dimenticati della Transiberiana in lingua francese (originale) sottotitolato in friulano è disponibile a questo indirizzo: https://arlef.it/it/progetti/viac-in-friul/

ii A. VIDON, in Sogni e lavoro nelle storie dei Friulani, Sot la nape, p. 84-85 https://opac.rivistefriulane.it/ricerca/dettaglio/sogni-e-lavoro-nelle-storie-dei-friulani-la-ferrovia-transiberiana-in-un-libro-c/8674

iii L.GIORDANI Una contessa italiana dalla Transiberiana alla Rivoluzione. Pierina Savorgnandi Brazzà Cergneu, Gaspari editore, collana i Gelsi, 2021

1 commento:

  1. cara Marilisa, come sempre il tuo modo di raccontare cattura l'attenzione e la simpatia. questo "post" (si dice così?) mi ha fatto venire in mente un libro che ho letto anni fa : Aleph di Paulo Coelho ed. Bompiani.
    Nel suo romanzo più personale, Paulo Coelho compie un viaggio alla scoperta di sé. Come Santiago, il pastore dell’Alchimista, anche Paulo sta affrontando una profonda crisi di fede ed è alla ricerca di un cammino che l’aiuti nella sua rinascita spirituale. L’unica vera possibilità è di ricominciare tutto da capo. Così intraprende un viaggio che lo condurrà attraverso l’Africa, l’Europa e l’Asia lungo il percorso della Transiberiana, un viaggio che gli riporterà energia e passione.
    "La transiberiana è la ferrovia più lunga del mondo. Si estende per 9.288 chilometri, collegando centinaia di città e numerosi paesi, percorrendo l’Eurasia e attraversando sette fusi orari. Nel momento in cui entro nella stazione di Mosca, alle ore ventitré, il sole è già spuntato a Vladivostok, la località dove finisce la strada ferrata." Così viene descritta nel libro e l'osservazione dei fusi orari attraversati è davvero sorprendente; siamo abituati al cambio dell'ora legato ai voli in aereo piuttosto che al viaggio in treno. Ma questo fa parte un po' dello spirito del libro. E, così, "La vita non è la stazione, bensì il treno" e, ancora, "La vita è un treno con molti vagoni. Talvolta ci troviamo in uno, talaltra in un altro. Talaltra ancora passiamo dall’uno all’altro: accade quando sogniamo o ci lasciamo trasportare da qualcosa di inspiegabile". ecco, per dire che il tuo sogno di viaggiare sulla transiberiana è stato anche di Paulo Coelho, magari con finalità diverse, ma ugualmente con la curiosità di scoprire emozioni e sensazioni.
    grazie per i tuoi pensieri

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