Popolazione residente, una inversione di rotta è possibile.

Non posso negare che Internet ha i suoi vantaggi. Non soltanto è fonte di conoscenza praticamente illimitata ma consente anche di ritornare in contatto con persone che si erano perse di vista nel tempo o di conoscerne delle nuove che, in circostanze normali, mai sarebbe stato possibile incontrare. E’ il caso di Giovanna e Massimo Rapi che ho conosciuto personalmente nei giorni scorsi, (dopo uno scambio di gradevolissime mail con le quali abbiamo condiviso l’amore per il Goriziano) e che ha deciso, assieme alla sua famiglia, di trasferirsi dal Mugello, dove ora vivono, e di venire a vivere a Gorizia. Che dire? Il mio desiderio che, temevo, fosse soltanto un sogno si è avverato. Chi ha modo di visitarla e, quindi, di conoscerla, non può che sperare di viverci. Lei! Città di frontiera, nell’accezione più pura del termine, verde, mite, con un passato glorioso, aureo, drammatico. Sintesi di popoli di tradizioni e quindi di cultura. Un nuovo inizio è forse possibile? Massimo è ottimista e l’ha scritto anche sulle pagine del Dubbio, quotidiano nazionale, l’indomani di un evento, per noi epocale. L'Europa nelle due Gorizie capitali della cultura. Ecco il testo di quell'articolo, pubblicato il 23 dicembre dello scorso anno, sulla prima pagina del Il Dubbio.

"Il 18 dicembre sul confine orientale d'Italia è accaduto qualcosa di visionario e con implicazioni profondamente politiche per il futuro dell'Europa. Era un confine serrato dalla storia recente, ma che si trova ora protagonista di flussi commerciali e migratori intercontinentali, come gli era sempre accaduto per naturale e plurimillenaria vocazione geografica: uno snodo concreto per osservare flussi delle conoscenza e come evolvono le identità nazionali.

In un passaggio d'epoca come quello che stiamo vivendo è sui confini che spesso si gioca la sopravvivenza di una idea di mondo (o civiltà, se vi piace), ed è intorno ai confini che possono avvenire i fatti più interessanti. Sul confine, su quella linea di variazione dei fenomeni che divide e allo stesso tempo suo malgrado mette in contatto, si vedono in tutta la loro forza le tensioni, le frizioni ma anche le prospettive e i disequilibri dinamici che riconfigurano i processi storici e sociali.

Vale anche per le nostre cellule, la cui sopravvivenza dipende dai recettori proteici presenti su quel confine poroso della vita che è la membrana. Recettori gravati del difficile incarico di correttamente identificare e selezionare cosa accogliere della caotica ma fertile gelatina extracellulare: «Ehi, quel che mi si avvicina è un virus che entrato al mio interno mi distruggerà, oppure è un fattore di crescita, o forse un vaccino che mi allena alla difesa, o soltanto uno stimolo al cambiamento?» Difficile capirlo sempre a priori, nel micro come nel macro universo le apparenze e le esperienze ingannano. E vale al contempo per le società umane, per i loro “recettori sociali” così tanto più grandi, raffinati e complessi dei minuscoli omologhi cellulari, da sembrare talvolta persino dotati del dono (apparente ?) della libertà. Caratteristiche indubbiamente apprezzabili, dal nostro punto di vista, ma che non necessariamente portano a scelte più efficaci ed azzeccate.

Noi siamo obbligati a dover sempre capire cosa cambiare e cosa salvaguardare, cosa accogliere e cosa rifiutare.

E' sul limes che in tempi di crisi si sono fatti nel bene e nel male tutti gli “imperatori” (cioè, mutatis mutandis, le scelte di governo), è sul limes che si è plasmato il mondo nuovo (non necessariamente migliore), è attraverso il limes, una linea che è anche un crocevia, che si è deciso che strada prendere. Di sicuro, quel che accade al confine conviene osservarlo bene, ed è per questo che le classe dirigenti sotto pressione (se “ricettive”), in tempi di mutamento hanno sentito l'esigenza di spostare fisicamente presso i propri limes la propria capitale, contro ogni logica superficiale di sicurezza; è valso sia per i grandi imperi dell'ovest che dell'est, quando i palazzi hanno abbandonato le sponde del Tevere e del Fiume Giallo, divenute troppo lontane per udire le voci sul futuro.

Ebbene, lo scorso fine settimana, sul confine orientale d'Italia in cui oggi passano ignorandosi la rotta migratoria balcanica e i container della nuova Via della Seta, è accaduto che la cittadina slovena di Nova Gorica (13 mila abitanti e prati ben curati) è stata nominata Capitale Europea della Cultura per l'anno 2025: titolo che per regolamento viene conferito ogni anno a due città appartenenti a due diversi Stati, membri dell'Unione Europea, con l'aggiunta ogni tre anni di una città appartenente a uno Stato candidato.

Nova Gorica ha battuto tutti i suoi connazionali: ha sconfitto la sua grande capitale Lubiana, ha superato la costa brulicante di turisti di Pirano accoppiata al porto di Capodistria, è stata preferita al fascino mitteleuropeo di Ptuj, dopo aver già sorpassato, alla prima selezione, le romantiche Kranj e Lendava.

Proprio così, ha vinto Nova Gorica. Ossia quel “piccolo quartiere” spaesato disegnato da un estimatore di Le Corbusier; quell'arioso boschetto punteggiato di rose e moderni rettangoli condominiali e spuntato dal nulla su un grande cimitero sbancato a mano da torme festanti di giovani pionieri delle magnifiche sorti collettive; quel terno secco di casinò scintillanti al neon, anch'essi in qualche modo inno visibile alle “magnifiche sorti”, seppur più prosaicamente, individuali.

Come ha fatto a vincere Nova Gorica? Come ha fatto a diventare Capitale Europea della Cultura con quei concorrenti? Ci è riuscita perché dentro un efficace proposta culturale di rigenerazione urbana ha osato spezzare il paradigma consolidato da 35 anni (la prima Capitale a essere designata fu Atene nel 1985) per cui, ogni anno, il titolo (coi finanziamenti e il conseguente ritorno di immagine) di Capitale Europea della Cultura viene assegnato a turno su base esclusivamente nazionale, secondo una concezione altamente egalitaria ma allo stesso tempo burocratica e reticente dell'idea stessa di identità europea.

All'Italia sarebbe dovuto toccare nuovamente solo nel 2033 (l'ultima Capitale Europea della Cultura in territorio italiano, fu Matera nel 2019), mentre nel 2025, appunto, la capitale designata doveva essere slovena.

Invece Nova Gorica (“Nuova Gorizia”) si è candidata unita con la città di un altro Stato, per quanto si trattasse di sua “sorella”, divisa dai muri della storia; ha preparato con minuzia i suoi progetti insieme a Gorizia, la “vecchia” Gorizia, la “stara Gorica” che era stata per secoli, contemporaneamente ed elegantemente, neolatina, slava e germanica, quasi una Europa in miniatura.

I due sindaci Klemen Miklavic e Rodolfo Ziberna (il secondo, fatto tanto più notevole, con alle spalle una storia familiare di profughi istriani), hanno per la prima volta rivoluzionato la “occhialuta” (la Coscienza del buon Zeno di Italo Svevo ha proprio a Gorizia la sua illuminazione) prudenza redistributiva e spartitoria di chi persiste nell'immaginare gli Europei come incapaci di pensarsi, di vedersi e di sentirsi semplicemente come tali.

All'annuncio della vittoria, frutto anche del coraggio della Commissione giudicante, un boato di scomposta (perciò autentica) e liberatoria esultanza ha attraversato il confine e la piazza Transalpina che ne è il simbolo, scacciando con la gioia il ricordo di tutti quei boati d'ordigno che hanno fatto di Gorizia, a partire dal Prima Guerra Mondiale, uno dei posti più tormentati della storia. Per chi quella storia la conosce o l'ha subita, è stata una catarsi. Con questo nuovo abbraccio, si apre un palcoscenico di rilancio per due città straordinarie per vicende storiche, valore simbolico e conformazione ambientale ed architettonica; concepite ed auspicate ognuna, in epoche diverse dalla Belle Epoque al Secondo Dopoguerra, come città-giardino esemplari per qualità della vita.

Così, senza poter vantare i valori artistico culturali e il passato degli altri contendenti, ma con una chiara idea di che cosa può essere il futuro, Nova Gorica, l'inaspettata gemma urbanistica sbocciata per contrasto e mimesi sulla antica madre, con un gesto generoso ha battuto tutti.

E insieme, nel claim Go borderless!, Nova Gorica e Gorizia dimostrano cosa può essere l'Unione Europea. Toccava alla Slovenia avere una Capitale europea della cultura; ma se l'è guadagnata anche l'Italia. A pensarci bene per la prima volta, se l'è presa l'Europa, e basta."

1 commento:

  1. effettivamente è un bel momento ed è una bella occasione per superare nella cultura di ognuno di noi quel confine che segnato sulle carte e sui campi, si è inserito negli animi. Magari un primo passo potrebbe essere quello di stabilire che c'è una sola Gorizia-Goriza (non ho sulla mia tastiera la lettera giusta) e non c'è né una "nova" e neppure una "stara". e forse trovare la concordia per dare un nome comune alla piazza della Transalpina potrebbe essere un bel segnale

    RispondiElimina