Gli studenti – e non solo le studentesse – imparano fin dalla prima superiore a ideare, progettare e realizzare capi di abbigliamento e accessori, partendo da uno schizzo e arrivando alla confezione finale.
Si usano macchine da cucire professionali, si studiano le tecniche sartoriali, il disegno, la progettazione e la storia delle arti applicate.
Ma non è solo una scuola tecnica: è un luogo dove si sperimenta. Si lavora con materiali riciclati, si costruiscono borse di stoffa, si incolla la sabbia sulla carta per creare texture sorprendenti.
Ogni anno, una sfilata interna mette in mostra questo lavoro corale: gli abiti realizzati dagli studenti sfilano sulle note scelte e montate dalla sezione cultura e spettacolo. È una festa, ma è anche un segno di competenza.
Da questa esperienza così ricca e concreta nasce, con la semplicità delle cose giuste, una proposta: perché non spostare il museo della moda, oggi sacrificato a Borgo Castello, nella vicina Villa Louise?
Una sede ampia, luminosa, a pochi passi dalla scuola. Un luogo che potrebbe diventare un vero centro culturale delle arti applicate, in dialogo con le scuole, con il territorio, con le nuove generazioni.
Villa Louise è attualmente in fase di restauro grazie a importanti fondi regionali. È di proprietà della Fondazione Coronini, e proprio nei giorni scorsi il direttore – in un’intervista apparsa sulla stampa locale – ha dichiarato che la struttura verrà “messa a reddito” una volta ultimati i lavori, attraverso affitti da incamerare.
Lo dico con rispetto, ma anche con chiarezza: se i fondi sono pubblici, è legittimo domandarsi a chi sarà destinato lo spazio una volta finiti i lavori. Non si tratta di contrapporre privato e pubblico, ma di ricordare che il bene comune non è un concetto astratto: è fatto di luoghi, scelte, priorità.
Una parte di quella villa potrebbe davvero accogliere il museo della moda.
Potrebbe diventare uno spazio di bellezza accessibile, capace di raccontare il lavoro degli studenti, il valore della scuola, la ricchezza dei saperi artigianali.
In questi anni di preparazione a GO!2025, si è parlato tanto di cultura.
Ma la cultura vera – quella che resta – è fatta anche di bottoni cuciti a mano, di gonne disegnate su carta velina, di laboratori rumorosi e sfilate inventate in classe.
Ascoltare queste realtà è già un modo per ripensare Gorizia.
Forse, anche per amarla di più.
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